CONVEGNO SULLA RIFORMA DELLO STATO

Roma, 1978

Intervento di Riccardo Terzi

Il problema dell’organizzazione della vita democratica, di un suo sviluppo che sia adeguato alla nuova maturazione civile del paese, solleva contemporaneamente questioni di carattere istituzionale e questioni politiche tutt’altro che semplici. Che si debba procedere in direzione di un’espansione della democrazia e della partecipazione popolare è una convinzione pressoché generale. Solo dei conservatori ottusi potrebbero ignorare questa necessità. In realtà, tutto il travaglio di questi anni può essere compreso solo se si prende atto del fatto che la società civile, nelle sue diverse espressioni, non si adatta più alle vecchie regole della rappresentanza politica, ma vuole acquistare un peso maggiore, vuole esercitare un’influenza più diretta, vuole affermare cioè un’idea nuova e più pregnante della democrazia.

Si tratta indubbiamente di un processo positivo, che spinge in avanti l’intera situazione politica, e a cui abbiamo dato un contributo decisivo con lo sviluppo della nostra azione di massa. E tuttavia occorre anche vedere le incognite e i pericoli che tale nuova situazione racchiude.

Il pericolo fondamentale è che si determini una scissione tra la società civile e la società politica, che la spinta alla partecipazione non si risolva in un ordinamento democratico più maturo e più ricco, ma si sviluppi invece in modo separato, su basi corporative, e nel rifiuto della dimensione politica.

Non è un pericolo immaginario, perché già vi sono molti segni inquietanti di questo offuscamento della politica.

Al fondo della crisi attuale credo che vi sia questa questione irrisolta, questa difficoltà accentuata a ricondurre ad unità spinte divergenti, interessi contrapposti. I metodi tradizionali di mediazione interclassista tipici del governo democristiano non funzionano più come nel passato, e stenta ad affermarsi una visione più moderna e più avanzata dello Stato e dei suoi compiti di direzione politica. Il tema dello Stato e del suo ordinamento si impone quindi come un tema fondamentale, e indubbiamente in questa direzione c‘è è per il movimento operaio un cammino da percorrere, una ricerca nuova da sviluppare, superando definitivamente quella fase in cui l’idea stessa della ragion di Stato appariva come la sostanza dello spirito conservatore.

Le esperienze di partecipazione che si sono realizzate nel corso degli ultimi anni non hanno risolto il problema, in alcuni casi anzi hanno costituito una risposta sbagliata, e hanno accentuato le difficoltà. Vi è stata infatti la tendenza, favorita soprattutto da alcune correnti del pensiero cattolico, a costruire esperienze di una democrazia di tipo comunitario, chiuse in un ambito delimitato, nelle quali si annullano le questioni di indirizzo politico generale e si riflettono soltanto le esigenze immediate di una data comunità concreta, sia quella della scuola o del quartiere, o degli utenti del servizio sanitario, e così via.

Attraverso questa via i cittadini non divengono protagonisti della vita democratica dello Stato, ma si organizzano come gruppo di pressione, come controparte, per far valere interessi determinati e circoscritti. Non partecipano come cittadini, ma come genitori, come utenti, come inquilini, e quindi come figure sociali menomate, parziali.

L’istanza democratica di cui è portatrice la classe operaia è cosa ben diversa, essa investe la natura dello Stato, la sostanza del potere politico.

Se è abbastanza semplice fissare questa distinzione sul piano concettuale, è però estremamente difficile indicare nel concreto quali possono essere le modalità, gli strumenti, i modi di essere di una reale democrazia politica.

E tale difficoltà si accentua, come è evidente, nelle grandi concentrazioni urbane, dove l’istituzione democratica del Comune, anche con le forme di decentramento amministrativo oggi previste, non riesce a stabilire un collegamento sufficiente con tutto il complesso della realtà sociale. La formazione dei consigli di circoscrizione ha certamente migliorato la situazione: essa è una conquista democratica importante, alla condizione che questi nuovi organismi siano i depositari di un potere effettivo, siano concepiti come un’articolazione di base dello stato, e non come i veicoli di una partecipazione impotente e di un generico rivendicazionismo di quartiere. Ma ciò non basta, ciò non può esaurire le istanze di partecipazione.

Mentre dobbiamo rifiutare ogni tendenza e trasferire nell’ordinamento dello stato forme corporative di rappresentanza, e dobbiamo far sì che a tutti i livelli dell’ordinamento siano rappresentati gli interessi generali della collettività, è però certamente utile e necessario che le decisioni politiche avvengano sulla base di un confronto con gli interessi sociali organizzati.

In modo più sistematico può essere perseguito un metodo di consultazione, su tutte le questioni di rilievo generale, con le organizzazioni sociali che riflettono i diversi interessi, non sempre sufficientemente rappresentati dalle forze politiche.

Se è vero che la società civile ha oggi una sua più robusta costituzione, e che non si può identificare immediatamente con le rappresentanze politiche, allora deve essere cercato un punto di congiunzione, devono essere ricercate quelle procedure che consentano, tra le forze sociali e le assemblee elettive, un confronto permanente, un rapporto, da cui tutta la vita democratica può ricevere un impulso positivo.

Ciò naturalmente non deve avvenire a detrimento del primato della politica, non deve condurre alla paralisi delle decisioni che è inevitabile quando non si ha la forza di scegliere, di prendere posizione anche contro determinati interessi costituiti.

In sostanza, a me pare che si tratti di potenziare e di valorizzare tutto il sistema delle assemblee elettive, a cui debbono essere ricondotte in modo unitario tutte le decisioni politiche, e che d’altro lato si debba sviluppare il tessuto associativo delle varie organizzazioni sociali e stabilire con esso un rapporto più diretto, pur nella chiara distinzione delle diverse sfere di competenza.

Ma pare pertanto positivo il passaggio alle elezioni dirette dei consigli di circoscrizione, e credo che anche per l’ente intermedio la via più opportuna sia quella della diretta investitura popolare.

D’altra parte, il richiamo all’articolazione sociale, alle diverse e contrapposte posizioni di classe, è necessario per porre su basi concrete e realistiche il problema della democrazia. L’abuso che si fa di espressioni come “partecipazione delle masse”, “democrazia di massa”, è rischioso ed equivoco, perché viene meno l’attenzione per le posizioni sociali concrete, che sono tra loro assai differenziate, ed inoltre con ciò sembra configurarsi un modello di democrazia in cui si annebbia il confronto pluralistico tra le diverse posizioni politiche. La critica che noi rivolgiamo alle società socialiste che si sono storicamente formate sta proprio nel fatto che esse hanno organizzato una “democrazia di massa” che penetra profondamente in tutti gli aspetti della vita sociale, ma che non è vivificata dal confronto, anche conflittuale, di posizioni diverse.

Si potrebbe dire che c’è un eccesso di democrazia e un difetto di libertà. La via che noi proponiamo è un’altra, perché riteniamo essenziale il pluralismo politico, ed anche perché cerchiamo di risolvere in modo diverso il problema del rapporto tra individuo e società, di salvaguardare gli spazi di libertà individuale, di autonomia del soggetto, pur nel quadro del processo avanzato di socializzazione che contraddistingue necessariamente la società moderna.

Chiarire questo complesso di questioni è necessario ed urgente, perché proprio su questo terreno si cerca di organizzare una polemica culturale verso il Partito Comunista, che sarebbe portatore di una concezione della democrazia secondo la quale l’istanza della partecipazione popolare va a detrimento del pluralismo e snatura i caratteri fondamentali della democrazia rappresentativa. L’esperienza compiuta in questi ultimi anni, a partire dalla svolta politica del ‘75, consente al nostro Partito e al movimento operaio di affrontare questi temi con maggiore precisione e con maggiore rigore. Non può più bastare un certo modo un po’ approssimativo di trattare la questione del “modo di governare”, che sembrava ridurre tutto il problema alla correttezza amministrativa e alla consultazione dei cittadini. Questi due aspetti sono certamente importanti, ma non possono essere risolutivi.

In effetti, il dibattito si è spostato rapidamente in avanti, e ha fatto giustizia di troppo facili impostazioni propagandistiche. Partendo dal punto di osservazione della realtà milanese, voglio sottolineare l’importanza della discussione sul nuovo assetto istituzionale a cui dar vita, problema questo assai complicato in una realtà metropolitana le cui dimensioni sono tali da rendere del tutto inadeguati gli strumenti oggi esistenti. Non può valere la semplice difesa dell’autonomia comunale, di fatto già compromessa, né possono essere convincenti soluzioni basate essenzialmente sull’associazionismo dei Comuni. Si rischierebbe infatti di lasciare inalterato lo squilibrio tra città e hinterland, e di ridurre la programmazione a una dichiarazione di buone intenzioni. La questione dell’ente intermedio assume pertanto, in questa realtà, un’importanza rilevante, perché si tratta, in sostanza, di individuare l’ambito e le funzioni di un governo metropolitano.

Un secondo aspetto su cui si è concentrata l’attenzione è quello del rapporto con le organizzazioni sociali, di un modo di governo quindi che coinvolga il più possibile nelle decisioni politiche i protagonisti della vita economica.

Ciò ha impedito che attorno alla Democrazia Cristiana, chiusa in una linea di rigida opposizione, si coalizzasse un fronte di forze economiche e sociali, ed è per questa via, operando direttamente sulle basi sociali, che si può determinare una nuova dislocazione delle forze politiche, a cui certamente non si perviene con discussioni infinite sul quadro politico e sulle formule di governo.

La nostra proposta per una politica di ampia collaborazione democratica ha dato avvio ad una polemica, concentrata sul fatto che una tale proposta condurrebbe ad una sorta di regime uniforme, senza la necessaria distinzione tra maggioranza e opposizione. Non è un’obiezione irrilevante, ed occorre chiarire con molta nettezza che la nostra prospettiva non può essere quella della generalizzazione, a tutti i livelli e in tutte le situazioni, di uno schieramento unitario, di un’intesa politica tra tutti i partiti democratici, che insomma non si tratta di guardare con sospetto pregiudiziale alla contesa, allo scontro politico, alla libera dialettica di maggioranza e opposizione. Il problema è quello di dare una soluzione valida a situazioni che altrimenti si trovano esposte ad una crisi permanente, ad uno stato di precarietà insostenibile, e inoltre si tratta di affrontare la questione degli equilibri politici senza pregiudiziali ideologiche, senza chiusure di principio, verificando la possibilità di una convergenza sulla base dei programmi.

Per questo, appunto, non è più a lungo sostenibile una situazione che vede da un lato intese programmatiche assai ampie, e dall’altro il permanere di una preclusione nei nostri confronti: ciò dà luogo a situazioni ibride, confuse, e determina necessariamente gravi difetti di funzionalità e di efficienza.

È proprio la linea della Democrazia Cristiana, è questo tentativo di eludere una risposta chiara sulla questione dei rapporti con il nostro Partito, che conduce a una anomalia istituzionale, a un intorbidamento dei rapporti politici, a uno stato di cose dove non si rintraccia più la linea di demarcazione tra chi ha la responsabilità del governo della cosa pubblica e chi si colloca all’opposizione. La DC vorrebbe un Partito Comunista che rimanga escluso da ogni effettiva funzione di governo, e che contemporaneamente si lasci definitivamente alle spalle ogni ruolo di opposizione.

Non mi sembra che noi possiamo accettare di rimanere nel limbo delle anime innocenti ma non battezzate. L’esigenza della chiarezza nei rapporti politici, del funzionamento corretto della democrazia, è dunque un’istanza che dobbiamo far valere, rifiutando espedienti e bizantinismi politici.

Come in molte altre situazioni, anche per la Regione Lombardia si pone questo problema, si rende urgente un chiarimento politico, si deve porre la Democrazia Cristiana di fronte alla necessità di una scelta.

Certo, noi crediamo comunque che pur nella conflittualità delle posizioni, nella distinzione dei ruoli, sia possibile lavorare per un’intesa su alcune questioni di interesse generale, sia necessario un confronto positivo, così da evitare lacerazioni e contrapposizioni frontali da cui deriva in ogni caso un cattivo funzionamento delle istituzioni.

Entriamo dunque, io credo, in una fase politica nuova, di movimento, nella quale è possibile realizzare un assetto democratico più avanzato, basato sul rilancio di tutto il sistema delle autonomie locali e su una più chiara e adeguata definizione dei rapporti tra le forze politiche.


Numero progressivo: F20
Busta: 6
Estremi cronologici: [1978, gennaio?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -
Note: L'identificazione del convegno non è certa, si tratta probabilmente di quello organizzato dal Centro studi e iniziative per la riforma dello stato e dall'Istituto Gramsci, a Roma, il 23-25 gennaio 1978