CONVEGNO ASSOCIAZIONE AMBIENTE E LAVORO DEL 24-25 GIUGNO 1988
Conclusioni di Riccardo Terzi – Presidente Associazione Ambiente e Lavoro
Mi pare che al termine di queste due giornate intense di lavoro, di confronto, di dibattito possiamo legittimamente trarre un bilancio positivo per il successo politico dell’iniziativa che ha raggiunto quelli che erano gli obiettivi dell’Associazione Ambiente e Lavoro, l’obiettivo anzitutto di avere su un tema politico di grande rilevanza come questo della Valutazione di Impatto Ambientale un confronto di merito serio e qualificato con gli esperti, con i rappresentanti delle varie associazioni interessate ai temi dell’ambiente e con i rappresentanti delle forze politiche. Mi pare anche che, oltre a questo elemento di partecipazione qualificata, si sia verificata un’area di consenso sufficientemente larga. Naturalmente restano sia problemi da approfondire, sia singoli aspetti intorno ai quali esistono valutazioni differenti, come sempre è normale che avvenga. Però credo che siano abbastanza forti gli elementi di convergenza che si sono registrati nel corso dei nostri lavori. E questi elementi di convergenza mi fanno ritenere che sulla questione del recepimento della direttiva comunitaria per la Valutazione di Impatto Ambientale possiamo lavorare nei prossimi mesi per ripetere l’operazione riuscita con la Direttiva Seveso. L’Associazione Ambiente e Lavoro, assieme alla Lega Ambiente, sulla Direttiva Seveso ha fatto un forte ed efficace lavoro di pressione politica e ha lavorato per costruire quegli elementi indispensabili di consenso tali da potere sbloccare una situazione che era rimasta bloccata per molti anni. Io credo che noi dobbiamo, sia pure con modalità diverse rispetto alla Direttiva Seveso, tentare un’operazione analoga, cioè consolidare un consenso politico largo, non svolgere un’opera pura e semplice di mediazione notarile tra le diverse posizioni, ma costruire un impatto legislativo forte sul quale ci sia una convergenza sufficientemente ampia, e svolgere una pressione politica, e una sensibilizzazione di massa dell’opinione pubblica, in modo che si creino le condizioni perché si arrivi in tempi sufficientemente ravvicinati a una decisione in materia.
Qui c’è un punto di dissenso che abbiamo registrato con il Ministro Ruffolo, circa l’opportunità o meno di ricorrere a un decreto, cioè al DPCM. A me sembra che non abbiamo motivi per modificare la posizione che abbiamo presentato nella relazione di Pavanello. Mi pare che negli interventi sia delle forze politiche, sia dei rappresentanti sociali, del sindacato e della Confindustria, vi sia una convinzione comune, di tutti, che il problema è quello di fare bene una legge e di farla in tempi ragionevolmente brevi. Io credo che questo sia il punto fondamentale. Un ricorso alla decretazione rischia obiettivamente di allungare i tempi, e di offuscare quello che è l’obiettivo principale, quello di pervenire a una decisione legislativa nella trasparenza delle posizioni, nella chiarezza di un dibattito politico parlamentare, affrontando in modo organico tutti i problemi di funzionamento dell’amministrazione, di partecipazione sociale, dei diritti di conoscenza d’informazione, e così via.
Il Ministro ieri nel suo intervento comunque interessante, di cui lo ringrazio per l’attenzione che dimostra nei confronti delle nostre iniziative, ha fatto qualche chiarimento di un certo interesse, parlando di una contestualità tra il DPCM e la presentazione di un disegno legislativo. Questo non ci fa superare le nostre preoccupazioni e le nostre riserve. Credo che al primo posto debba stare la definizione di un preciso iter parlamentare che consenta grosso modo entro l’anno di varare una legge in materia di Valutazione d’Impatto Ambientale. Se ci sono delle scadenze, delle urgenze che non stanno dentro i tempi, necessariamente non brevissimi dell’iter parlamentare, si possono vedere gli strumenti, si possono vedere quali possono essere le soluzioni che consentano, in questa fase, al Ministro dell’ambiente, di svolgere comunque la sua funzione. Ma deve essere ben chiaro che noi non percorriamo la strada per cui, in assenza di un dibattito politico chiaro, ci si limita a potenziare un po’ alla cieca i poteri del Ministro. Mi pare che dalla discussione, con i contributi che sono venuti degli esperti, risulti a questo punto sufficientemente chiaro quale sia la sostanza di questo strumento di Valutazione di Impatto Ambientale. È un processo valutativo complesso, interdisciplinare, che tratta, insieme, i diversi aspetti di un determinato problema, e non soltanto gli aspetti strettamente ambientali, ma anche in una certa misura aspetti di carattere socio economico, e che cerca, quindi, di modificare quella che è la situazione attuale, di introdurre delle innovazioni profonde nei meccanismi e nelle procedure di autorizzazione. Io credo che noi dobbiamo avere consapevolezza del fatto che ci sono alle spalle alcune necessarie premesse di carattere politico culturale da cui discende l’efficacia di questo strumento. In particolare ne voglio sottolineare due.
A questo punto del dibattito sulle questioni dell’ambiente, sul rapporto conflittuale, contrastato, problematico tra ragioni dell’ambiente e ragioni delle sviluppo, è venuta a maturazione la necessità di un’inversione di valori e di gerarchie nel rapporto tra questi due aspetti. Non possiamo più ragionare considerando l’attenzione per i temi dell’ambiente come un elemento aggiuntivo dello sviluppo, per cui solo in seconda istanza, si vede come fare fronte ad alcune emergenze di carattere ambientale. Dobbiamo invertire questo rapporto, riconsiderare i temi dell’ambiente come parte essenziale di una scelta strategica circa il tipo di sviluppo. Per questo non mi ha convinto il taglio di alcune cose dette ieri dal Sindaco di Milano, che ha insistito sulla necessità per Milano, per l’area metropolitana milanese, di procedere in una operazione indubbiamente necessaria di potenziamento della rete delle infrastrutture, ma considerando, appunto, che il problema dell’ambiente viene successivamente, che l’importante è procedere in una direzione che è già tracciata, e non rallentare il ritmo dello sviluppo. Io credo che se continuiamo a porre così le questioni, non le poniamo nel modo corretto, rischiamo cioè di avallare la tesi per cui in ultima istanza c’è il primato della politica, e solo dopo, e in modo subalterno, si tiene conto delle ragioni ambientaliste, e del parere degli esperti, mentre le scelte politiche hanno comunque una prevalenza rispetto a tutte le altre preoccupazioni. Allora, se è così, se dovessimo stare dentro a questa impostazione, il VIA diventa uno strumento di basso rilievo, rischia di essere una giustificazione a posteriori di scelte comunque già fatte. Si trovano gli accorgimenti tecnici, scientifici, per giustificare in qualche modo degli indirizzi politici che già sono stati assunti. La seconda premessa politico culturale che mi pare necessaria è il fatto di riproporre con grande decisione le esigenze di una politica di pianificazione e di governo del territorio. Io sono d’accordo con molte cose dette e ribadite anche ora dal prof. Dal Ri. È necessaria appunto una politica di pianificazione. C’è stata in questi anni una certa deriva culturale, con una serie di teorizzazioni che prevedono il passaggio dal piano al progetto, al singolo progetto, rinunciando a qualunque disegno di carattere generale per quanto riguarda l’organizzazione del territorio. Si è chiarito, mi pare bene, come anche lo strumento della Valutazione di Impatto Ambientale si possa inserire dentro una logica di pianificazione: non si tratta di sottoporre a VIA i piani, ma di incorporare dentro i piani tutti gli aspetti ambientali, di avere cioè un intreccio, un raccordo molto stretto tra questi due elementi, in modo che i piani tengano conto in modo organico di tutti gli elementi di carattere ambientale e in modo che anche lo strumento del VIA venga visto in rapporto non soltanto a singoli progetti, ma in rapporto a ipotesi generali di pianificazione. Si sono poste inoltre alcune esigenze di gradualità. Ne ha parlato il rappresentante della Confindustria, mi pare che esigenze analoghe erano sorte nelle considerazioni fatte dall’assessore Vertemati. Io credo che le esigenze di gradualità siano sempre legittime, e anche un po’ scontate. Non credo che rischiamo di procedere troppo velocemente, non ricordo che in questi anni le cose abbiano avuto delle accelerazioni vertiginose. Quindi la gradualità è nelle cose prima ancora che nelle intenzioni.
D’altra parte noi teniamo conto, nelle proposte presentate nella relazione di Pavanello, della complessità del problema, della necessità di non avanzare una linea massimalistica. Distinguiamo tre situazioni diverse, e definiamo una gradualità, con diversi livelli di applicazione della VIA, fino alla semplice dichiarazione che, è stato chiarito, non è un modo per abbassare la guardia, ma è un modo per allargare il campo di intervento. Quello che non può essere accolto è un invito alla gradualità che diventa una specie di manovra di aggiramento, Se ci si richiama al realismo politico, alla complessità del problema, al fatto che poi tutto questo va ad impattare con la pubblica amministrazione che ha i guasti che sappiamo, e quindi non è pensabile che dall’oggi al domani tutto possa funzionare secondo un modello esatto, tutto questo va benissimo, è un invito al realismo che va accolto. Ma una sottolineatura eccessiva degli elementi di gradualità, di sperimentazione, di prudenza, rischiano, in una situazione che già di per sé non consente una grande velocità delle decisioni politiche, di essere un alibi per avere ulteriori rinvii, dilazioni, manovre dirette ad eludere il problema. Infine abbiamo avanzato delle proposte e abbiamo affrontato alcuni problemi relativi alla struttura operativa e relativi al controllo pubblico, al controllo sociale. I problemi della struttura operativa sono ovviamente fondamentali, perché come è stato ricordato anche da Ruffolo, una legge è un atto inefficace se non è corredata da controlli e sanzioni efficaci.
E, d’altra parte, è evidente come in tutto questo campo delle politiche ambientali e della progettazione occorre fare dei passi in avanti molto decisi in materia di partecipazione, di controllo sociale, di controllo democratico. Noi abbiamo avanzato alcune proposte, e qui già si sono dette alcune cose importanti circa il modo in cui dobbiamo affrontare il problema della pubblica amministrazione. Condivido le cose dette da Chicco Testa e da altri.
Dobbiamo andare in una linea che ha alcuni punti fermi. Primo, una linea di decentramento rispetto alla centralizzazione burocratica dello stato. Una linea di decentramento da affrontare anche questa realisticamente, non in modo ideologico: non tutto può essere decentrato, non sempre è utile e opportuno decentrare, si tratta di vedere, a seconda delle materie e dei problemi che si affrontano, qual è il livello ottimale. Però certo non regge una macchina dello stato con il grado attuale di accentramento delle funzioni.
Ci deve essere un rilancio del ruolo degli enti locali e delle Regioni, e quindi una struttura articolata dei poteri e delle competenze. In secondo luogo abbiamo bisogno di costruire degli apparati amministrativi con una loro autorevolezza e con un grado molto esplicito di distinzione tra il ruolo politico e il ruolo tecnico amministrativo. E abbiamo bisogno poi di procedere a una linea di modernizzazione, di efficienza. Allora a me pare importante che nel momento in cui introduciamo delle procedure relative alla Valutazione d’Impatto Ambientale affrontiamo anche i problemi della struttura amministrativa. E qui appunto si colloca la proposta di un servizio apposito, il Servizio d’Impatto Ambientale, come servizio tecnico, qualificato, autorevole, relativamente autonomo dai poteri politici, in grado quindi di dare delle garanzie di oggettività nella valutazione delle questioni che a questo servizio saranno sottoposte.
Quanto poi al problema della partecipazione e dell’informazione, noi abbiamo avanzato un’idea su cui, indubbiamente, dobbiamo ancora lavorare per precisarla meglio, quella della figura del “garante”, una figura, appunto, che possa garantire la trasparenza dei processi, che possa garantire che i diritti d’informazione vengono effettivamente accolti e rispettati. Ora per quanto riguarda questo tema della partecipazione, del controllo sociale e democratico, ci troviamo qualche volta di fronte a posizioni un po’ astratte: a una filosofia della concertazione, per cui il problema è solo di mettere attorno a un tavolo tutti i soggetti interessati, nella convinzione che in quella sede si troverà un punto di equilibrio, un punto di mediazione, o d’altra parte a una titolarità del conflitto, per cui si esclude in partenza la possibilità che possa funzionare un governo pubblico e democratico delle contraddizioni ambientali, e allora non resta che il referendum, non resta che la ricerca di uno sbocco agli elementi di confitto. Non mi convince una teorizzazione né in un senso, né nell’altro. Ci possono e ci debbono essere momenti di concertazione, laddove è possibile, e d’altra parte non è pensabile che gli elementi di conflitto spariscano ed essi vanno tenuti presenti come un elemento della dinamica sociale. Il problema principale che noi abbiamo è quello di avere una dialettica chiara, limpida, tra le diverse funzioni, e di avere anzitutto un rafforzamento della capacita di governo, nell’interesse pubblico, un rafforzamento del controllo pubblico e insieme un rinforzamento del controllo sociale, dal basso, trovando gli strumenti di partecipazione e di conoscenza. Dopo di che questo processo può dare luogo a una concertazione, oppure può dare luogo a un confitto, questo dipende da quella che sarà la dinamica concreta degli avvenimenti.
Con la legge, noi possiamo pensare, se riusciamo a fare una buona legge e a corredarla con delle operazioni che incidono sul meccanismi concreti dell’amministrazione pubblica, di governare questi problemi in modo innovativo rispetto al passato e tenendo conto degli interessi generali della collettività e dei cittadini. Concludo ribadendo l’impegno dell’Associazione a procedere, avendo avuto un incoraggiamento anche dal dibattito, in una battaglia politica per poter ottenere dei risultati, dei risultati politici e legislativi in tempi ravvicinati.
Credo che dovremo ulteriormente precisane le nostre proposte, ulteriormente sviluppare un confronto con i gruppi parlamentari, con le associazioni ambientalistiche, anche con le associazioni imprenditoriali, per costruire le condizioni politiche che possano consentire di ottenere una legge di recepimento della Direttiva Comunitaria entro una scadenza ravvicinata, in modo da completare la risistemazione legislativa iniziata con la Direttiva Seveso.
Busta: 1
Estremi cronologici: 1988, settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Dossier ambiente”, n. 2, settembre 1988, pp. 102-104