[CONTRO LA POLITICA-SPETTACOLO]

Lettera a W. Veltroni, direttore de L’Unità, per segnalare importante iniziativa a Milano di CGIL e CRS sulla transizione italiana

Al Direttore de L’Unità Walter Veltroni

Caro Direttore,

penso che un giornale come l’Unità dovrebbe sottrarsi alla logica perversa della politica-spettacolo, per la quale contano soltanto le parole e i gesti di un’oligarchia sempre più ristretta. Ti voglio perciò segnalare un’importante iniziativa che si è tenuta a Milano, organizzata dalla CGIL e dal Centro per la riforma dello Stato, che ha cercato di approfondire i diversi aspetti della transizione italiana, di andare finalmente oltre i facili slogan e le banalità da “seconda repubblica”.

Che per tre giorni centinaia di persone (quadri del sindacato, intellettuali, lavoratori, giovani, dirigenti politici) si ritrovino insieme in una discussione intensa e in uno sforzo di ricerca, mi sembra essere questo un fatto degno di nota, una testimonianza della vitalità democratica che è ancora attiva nel tessuto della società italiana.

Ma tutto ciò fatica a trovare i canali della comunicazione, a divenire visibile, a incidere quindi nella vita politica del paese. Io qui mi riferisco ad una iniziativa specifica di cui sono stato partecipe, ma credo che la dimensione del problema sia assai più ampia. Quanti sono in Italia i momenti di ricerca e di incontro, quante le sedi di impegno civile e politico che non riescono a superare le barriere frapposte dai mezzi di comunicazione?

Se la politica oggi appare così angusta ed opaca, ristretta ad un ceto politico avvitato su se stesso, ciò è anche un effetto di questi meccanismi distorti della comunicazione.

A questo stato di cose occorre reagire.

Io mi ostino a ritenere che non esiste solo ciò che viene rappresentato, che non tutto è ridotto ad immagine ed apparenza, e che il compito nostro sia proprio quello di portare alla luce i movimenti profondi della società, di fare politica in un rapporto vivo con la realtà del paese.

Se anche la sinistra dovesse ridurre il suo orizzonte politico alla scelta del leader e alle tecniche di comunicazione da adottare per la più o meno prossima scadenza elettorale, allora la stessa distinzione tra destra e sinistra finirebbe per divenire del tutto evanescente.

Esiste una sinistra solo se al modello leaderistico-plebiscitario viene opposta una diversa concezione e una diversa pratica della democrazia.

Di ciò appunto abbiamo discusso a Milano, ponendo al centro il problema delle forme e dei luoghi della democrazia, della ricostruzione di un sistema politico nel quale agiscano non solo cartelli elettorali, ma soggetti politici forti, capaci di dare vita a movimenti collettivi reali e non effimeri.

Oggi la tendenza prevalente è un’altra, e anche la sinistra sembra essere trascinata dalla corrente.

Non potendo certo dar conto di un dibattito che è stato assai ampio, mi limito a sottolineare quello che mi è sembrato essere il filo conduttore essenziale.

Parlare dell’Italia “nella transizione” significa parlare di una situazione ancora tutta aperta e non predeterminata nei suoi sbocchi. Tutto è rimesso in discussione e in movimento, e quindi la posta in gioco è eccezionalmente alta, e non si tratta solo della posta “politica” – chi vincerà le elezioni -, ma soprattutto della posta sociale, ovvero del modello di società che segnerà il nostro futuro. Si tratta insomma di decidere se capitalismo e società debbano necessariamente coincidere, se l’unico orizzonte di vita possibile è quello della competitività totale, o se c’è un cammino percorribile verso forme nuove di coesione, di socializzazione, di trascendimento del mero interesse economico individuale.

Insomma, che cos’è una società normale, ovvero qual è la norma che la deve regolare?

Per non restare invischiati in un gioco politico tutto contingente, abbiamo bisogno di un’azione di lungo respiro, che riannodi il filo che unisce politica, società, cultura, che ricostruisca quindi un quadro di insieme nel quale prenda senso il nostro agire individuale e collettivo.

Se invece i tavoli del confronto restano separati, se c’è da un lato una politica autoreferenziale, e dall’altro l’accademismo dei saperi e l’oggettività delle tecniche, allora su ciascuno di questi tavoli finiremmo sconfitti o subalterni. Politicismo ed economicismo si tengono per mano.

Come vedi, non mi limito a sollevare solo un problema specifico di tecnica e di professionalità giornalistica, ma colgo l’occasione per avanzare qualche ragionamento più generale, che forse può interessare anche i lettori dell’Unità, i quali hanno avuto notizia solo dell’intervento conclusivo del Segretario generale della CGIL. Credo che anche a Sergio Cofferati non debba far troppo piacere il fatto di essere incluso, lui solo, nella cerchia ristretta di quella aristocrazia politica che ha il monopolio dell’informazione, perché egli sa bene che il sindacato e il movimento democratico nella società è un grande patrimonio collettivo. Si compie un errore grave se si pensa che anche per il sindacato possa funzionare il modello di un leader che è tutto, mentre il resto è solo truppa.

Il mio giudizio sull’attuale stato della vita politica è, come si può capire da questi accenni, un giudizio pessimistico. In generale, la grande stampa di informazione ha l’effetto di confermarmi in questa mia valutazione, perché riesce a presentare il quadro della realtà politica in un’ottica ancora più distorta di quanto non sia nella realtà. Ma è davvero un’amara soddisfazione. Mi piacerebbe vedere di più, nell’Unità, uno sforzo serio in una diversa direzione, per restituire voce e parola ai soggetti, più numerosi di quanto si pensi, che vorrebbero fare, ma non sanno come e dove sia possibile fare qualcosa che non si perda nel vuoto.

Riccardo Terzi


Numero progressivo: L52
Busta: 9
Estremi cronologici: [1995]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Altro
Serie: Cultura -