CONGRESSO UECF

Febbraio 1963

Intervento di Riccardo Terzi

Portando a questo vostro Congresso il saluto fraterno della Federazione Giovanile Comunista Italiana, credo che il modo migliore di dimostrare la nostra solidarietà sia quello di trattare con impegno i problemi di fondo che noi tutti abbiamo di fronte.

D’altra parte, l’esperienza politica della Francia e dell’Italia hanno molti aspetti in comune, e analoghi sono i problemi decisivi, pur nella differenza delle forme attraverso cui si esprime il potere politico della classe dominante.

I nostri due paesi appartengono al numero di quei paesi capitalistici avanzati, in cui il compito della classe operaia è quello di definire la sua alternativa concreta allo sviluppo del moderno capitalismo, abbandonando gli schematismi del massimalismo e gli atteggiamenti protestatari.

L’azione del movimento operaio nei paesi a capitalismo avanzato, è un’azione decisiva, sia per opporsi fin da questo momento a un tipo di sviluppo che abbia come obiettivo finale una mitica società del benessere, sia per far compiere a tutto il movimento comunista internazionale un balzo in avanti qualitativo.

Qual è oggi la situazione politica nell’Europa occidentale? Quali sono le prospettive che si aprono, quali i pericoli e le possibilità di azione?

Un primo dato indiscutibile è la capacità dimostrata dall’Europa borghese di non condannarsi alla stagnazione, ma di imprimere alle economie nazionali uno sviluppo considerevole, tale da sventare per il momento il pericolo di crisi violente. Il processo di integrazione economica nel MEC è stato, a questo proposito, uno strumento importante. Ma soprattutto va rilevato come il progressivo compenetrarsi degli interessi economici privati con quelli della direzione statale abbia permesso al sistema nel suo complesso, una maggiore stabilità; mentre si riducono le possibilità di movimento di certi gruppi economici, mentre si colpiscono certi interessi settoriali e corporativi, si dà allo Stato la funzione di operare una programmazione capitalistica, che, al servizio degli interessi a lunga scadenza del sistema, ne rafforza la direzione borghese, mediando i contrasti più stridenti.

Saremmo quindi fuori strada se considerassimo l’Europa occidentale come una realtà immobile, incapace di evoluzione: si tratta invece di una realtà in movimento, con la quale bisogna misurarsi, non certo per adeguarsi al processo di sviluppo in atto, ma anzi per imporre uno sviluppo diverso, che nasca non dalla volontà dei monopoli ma dagli interessi reali della classe operaia.

In questo senso, la nostra azione critica nei confronti della direzione politica europea non è fatta in funzione di una economia più disarticolata, giustificata da posizioni nazionalistiche, vogliamo invece una integrazione europea che parta da presupposti diversi da quelli sanzionati nel trattato di Roma, e cioè da presupposti democratici che permettano una partecipazione attiva della classe operaia e delle organizzazioni sindacali alla direzione politica ed economica a tutti i livelli.

 

È questa l’unica possibilità di sottrarre ai monopoli e alle forze reazionarie quell’importante strumento che è appunto l’integrazione europea. A questo problema va ricondotta la grave questione dei paesi ex-coloniali e ai rischi a cui sono soggetti. L’arretratezza delle strutture di questi paesi esige che essi stabiliscano dei rapporti economici con i paesi più avanzati; il pericolo grave è che in questo modo venga imposta a questi paesi una linea di sviluppo borghese, e che in forme diverse si perpetui un rapporto di subordinazione, così da formare un nuovo blocco di forze imperialiste. L’avanzata della classe operaia nell’Europa occidentale e il collegamento dei paesi ex-coloniali con l’avanguardia operaia è condizione per uno sviluppo diverso, che porti i paesi arretrati ad una coerente politica antimperialista.

Questo nesso va ricercato e approfondito per impedire che si giunga alla cristallizzazione di due strategie diverse e separate, l’una per i paesi sottosviluppati, l’altra per quelli a capitalismo avanzato; rimanendo però fermo che il capo di lotta decisiva non può essere che quello che si pone al livello alto di sviluppo.

Nella situazione di capitalismo avanzato in cui ci troviamo, emerge con chiarezza la prospettiva ultima a cui tende la società borghese, la prospettiva cioè di una società che riesce a garantire un certo benessere materiale, almeno nelle zone ad alto sviluppo industriale, ad assicurare lo sviluppo di certi consumi, pagando questo però con l’avvilimento sistematico della libertà operaia, con la crisi delle strutture civili, deformate dallo sviluppo monopolistico, una società quindi disumanizzata, ridotta ad essere lo scheletro di se stessa, e in cui i centri di decisione si identificano sempre più strettamente coi monopoli. Viene in questo modo tracciata una linea di sviluppo che appare definitivo, che mostra in tutto il suo rigore la logica spietata del capitalismo, e la logica del profitto.

È questo l’ultimo terreno di lotta, decisivo. L’alternativa non è più fra stagnazione e sviluppo, ma fra due forme antitetiche di sviluppo, l’una borghese, l’altra proletaria, che si contendono l’egemonia.

I contrasti di classe, quindi, precipitano ed entrano nella loro fase decisiva, la lotta della classe operaia per salvare la propria autonomia si traduce in lotta per il socialismo. Se oggi in Europa esiste una involuzione autoritaria, che si esprime soprattutto nell’asse Parigi-Bonn, se esiste uno svuotamento delle strutture democratiche, ciò non va considerato come un ritorno a vecchie forme di totalitarismo, di tipo fascista, ma come lo sbocco logico di una politica europea dominata dai monopoli, come una tendenza insita nelle strutture stesse della società capitalistica avanzata.

In questa fase di sviluppo, infatti, lo Stato si identifica sempre più con i monopoli, il Parlamento viene sempre più esautorato e si limita a sanzionare delle scelte già compiute.

Gli interessi di conservazione del sistema tendono a restringere nelle mani di pochi i centri di decisione, a subordinare allo sviluppo monopolistico la società intera, a tutti i suoi livelli.

Se quindi il potere politico sfugge al controllo degli organismi democratici, e si identifica col potere economico, il problema delle forme istituzionali del potere perde progressivamente importanza, e viene risolto sulla base delle condizioni politiche particolari. In questo senso non esiste una differenza qualitativa di fondo tra il centro-sinistra italiano e il potere personale di De Gaulle; non sono queste che forme particolari per risolvere lo stesso problema, e in termini analoghi. Sia in Italia che in Francia il problema è quello di garantire le maggiore sicurezza possibile al potere delle classi dominanti, di ridurre quindi il potere di intervento e di controllo da parte delle classi sfruttate.

Il sistema borghese può operare una certa razionalizzazione solo asservendo ai propri interessi tutta la società: le diverse forme del potere non sono che modi particolari di realizzare questo asservimento. In Francia, la personalizzazione del potere e il mito della grandezza nazionale garantiscono l’unità e la solidità della direzione politica. In Italia, dove la dialettica politica ha avuto vicende diverse, anche i mezzi scelti dalla borghesia sono necessariamente diversi: sono quelli del riformismo tendente a spezzare l’unita di classe, dell’allargamento della cosiddetta area democratica, della conquista quindi alla prospettiva capitalista di una parte della stessa classe operaia.

Si tratta comunque, in ogni caso, di una involuzione e di un deterioramento delle strutture democratiche; per questo noi non guardiamo alla situazione francese come a qualcosa di estraneo, che non ci riguardi, ma la consideriamo come una realtà politica nella quale siamo implicati direttamente. Non intendiamo pertanto contrapporre all’asse oltranzista Parigi-Bonn una pretesa realtà democratica di altri paesi; crediamo invece che la situazione critica che si è veneta determinando sia il frutto di una politica europea di cui tutti sono responsabili.

Il fatto è che l’Europa si è costruita sotto l’insegna dei monopoli, e non ha rappresentato minimamente un allargamento delle presenza delle classi lavoratrici e un progresso della democrazia. Non si sblocca positivamente le situazione costituendo un asse più moderato, o appellandosi alla capacità di mediazione degli Stati Uniti d’America, ma solo imprimendo alla politica europea una svolta radicale, la quale è possibile solo se si costituisce un nuovo blocco di forze capace di sostituirsi alle attuali forze politiche dominanti.

La forza egemone di questo nuovo blocco storico non può che essere la classe operaia, con la sua autonomia politica e col prestigio della sua ideologia. Queste mi sembrano le linee generali entro cui muoversi concretamente; il presupposto di una giusta linea politica nel momento attuale, è la consapevolezza degli elementi di novità intervenuti nella società borghese, e la convinzione che di fronte a questa situazione, che ha in sé i germi della degenerazione autoritaria, non si tratta di ricostituire vecchie alleanze democratiche antifasciste, né tanto meno di isolarsi in uno sterile settarismo, ma di costruire intorno ai nodi problematici oggi decisivi una nuova unità a un livello più avanzato, che sia solidamente fondata sull’unità della classe operaia; di unificare politicamente e idealmente, quindi, tutte quelle forze che sono oggettivamente interessate a una politica antimonopolistica. È da questa consapevolezza che parte la nostra esperienza politica, che credo presenti elementi concreti di interesse per tutto il movimento operaio.

La linea su cui si muove la Federazione Giovanile Comunista Italiana si fonda su un concetto originale dell’unità giovanile. L’unità a cui tendiamo non è un’unità generica e indifferenziata, proprio perché crediamo che il mondo giovanile, pur nella sua autonomia, non possa prescindere dai contrasti di classe che investono tutta la società. Pertanto, necessario presupposto dell’unità giovanile è l’unita della classe operaia, a cui va ricondotta ogni prospettiva politica rivoluzionaria. Ma l’unità di classe non è il punto d’arrivo, ma il punto di partenza per la costruzione di uno schieramento di forze più complesso e articolato. Va soprattutto rilevato come nel processo di costruzione di una nuova unità acquisti particolare rilievo il momento della battaglia culturale, sia per affermare l’egemonia della ideologia marxista, sia per stabilire un organico rapporto unitario con quelle forze culturali, che in base ai fondamenti della loro stessa ideologia, sono portate a rifiutare quella prospettiva di alienazione totale che la moderna società capitalistica ci presenza.

Mi riferisco in particolare alle forze cattoliche, con le quali bisogna portare avanti un discorso chiaro intorno ai problemi di fondo del capitalismo avanzato, per ricercare una comune alternativa di libertà, e a quell’insieme di forze culturali che si collocano ai margini del marxismo o che tentano di inserire nel pensiero marxista problematiche di origine diversa, attraverso un processo di sintesi e di arricchimento. Questa nuova unità a cui si deve tendere è quindi cosa ben diversa dall’unità dell’antifascismo, che si realizzava intorno ad obiettivi democratico-borghesi: la nuova unità deve nascere dai problemi della società capitalistica avanzata, e dall’esigenza di una alternativa alla linea di sviluppo oggi in atto. Perché si possa procedere in questa direzione è necessario essere presenti in modo vivo intorno ai problemi oggi decisivi: la libertà operaia, lo sviluppo della democrazia, la pace, l’autonomia della cultura; e di esercitare, su questo piano, una azione che non sia di sola denuncia e recriminazione, ma sappia essere indicazione positiva di soluzioni concrete e qualitativamente diverse. Valga l’esempio della scuola: lottando per una riforma della scuola, che non sia semplice sviluppo quantitativo, ma trasformazione dei contenuti culturali e affermazione intransigente dell’autonomia della cultura, non solo si pongono le basi per una più stretta unità tra mondo studentesco e gioventù operaia, ma si esercita un’azione che va contro la linea di sviluppo capitalistico e prefigura già i contenuti civili della futura società socialista.

Questa considerazione vale anche per gli altri terreni di lotta: noi ci battiamo oggi non per degli obiettivi tattici e transitori, ma per imporre già delle misure socialiste, che rappresentino una conquista di libertà e di civiltà.

È questo che ci distingue da ogni forma di riformismo e di opportunismo: conquistare oggi la coesistenza pacifica, la libertà della cultura, il controllo operaio, vuol dire già porre le basi della società socialista.

L’alternativa socialista non deve essere una prospettiva fumosa e lontana, ma deve concretarsi in precise linee di azione e di lotta. Si tratta quindi di costruire, intorno a questi obiettivi, un nuovo blocco di forze, che sia capace di essere la nuova forza dirigente nel processo di edificazione del socialismo. In questa prospettiva appare evidente l’importanza dell’organizzazione giovanile rivoluzionaria, la quale può operare appunto ad un livello più avanzato, può realizzare nuove ed originali esperienze politiche. I giovani comunisti hanno quindi una funzione autonoma, che si deve però ricollegare a tutta la lotta del movimento operaio internazionale. Noi ci auguriamo pertanto che i giovani comunisti francesi sappiano essere gli artefici di questa nuova unità democratica, che sorga dal basso e si opponga al processo di involuzione autoritaria, che De Gaulle impersona, facendo confluire questo movimento in una direzione avanzata, socialista, in modo da contrapporsi efficacemente alle prospettive ingannatrici del neo-capitalismo.

 

La condizione necessaria perché questo fine sia raggiunto è che l’organizzazione di massa abbia una linea politica precisa, con degli obiettivi chiaramente definiti.

Noi crediamo dunque che i due termini, organizzazione di massa e organizzazione comunista non sono in contraddizione, ma che la giusta realizzazione del carattere politico dipende largamente dalla organizzazione.

A nome dei 50.000 studenti della nostra organizzazione, a nome dei 180.000 aderenti alla FGCI, io vi auguro che i lavori del vostro congresso rappresenti una tappa decisiva per il rafforzamento della vostra organizzazione.


Numero progressivo: F16
Busta: 6
Estremi cronologici: 1963, febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -