CONFERENZA NAZIONALE DEI QUADRI E DEI TECNICI

Museo della Scienza e della Tecnica, Milano 5-6 marzo 1982

Relazione di Riccardo Terzi alla conferenza organizzata dal Dipartimento dei problemi economici e sociali del PCI

1) Arriviamo all’appuntamento di questa Conferenza Nazionale dei quadri e dei tecnici sulla base di un lavoro preparatorio che è stato assai ampio e positivo.

Le organizzazioni di partito hanno mostrato di intendere il rilievo politico di questo problema si sono infittite in questi mesi le iniziative, le occasioni di incontro e di dibattito, nel partito e all’esterno, e si è costruito un rapporto con la realtà complessa e differenziata del movimento dei quadri.

Nel corso di questo nostro lavoro, abbiamo visto crescere l’interesse, l’attenzione, la volontà di discutere e di capire, e già questo è un fatto positivo che è bene sottolineare.

Tutto ciò ci conferma nella convinzione che la questione dei quadri e dei tecnici rappresenti oggi un nodo politico centrale. In questo nodo si intrecciano problemi di grande rilievo: l’unità di classe e la strategia delle alleanze, la crisi economica, le trasformazioni nell’apparato produttivo e l’avvenire dell’Italia come paese industriale moderno; il ruolo del sindacato e la necessità del suo rinnovamento; la democrazia industriale, la costruzione dell’alternativa democratica e di un nuovo blocco sociale.

Sono queste le questioni, tra loro legate, che ci stanno davanti, e che richiedono una grande prontezza e un grande realismo nella comprensione dei processi nuovi che si stanno verificando nella società italiana. Il quadro politico e sociale è in movimento, e chi non sa innovare profondamente i propri schemi, le proprie categorie di giudizio, finisce per restare spiazzato.

È un fatto indubbio che il nostro partito e l’insieme del movimento operaio hanno segnato, sul tema dei quadri, un grave ritardo.

Non abbiamo visto per tempo i processi nuovi che andavano maturando, e siamo stati colti di sorpresa da tutta una serie di fatti non preveduti.

La marcia dei capi della FIAT ha agito come detonatore.

Ha mostrato, con la forza persuasiva dei fatti, quanto già fosse andato avanti un processo di lacerazione all’interno del mondo del lavoro, ha reso visibile lo spessore del problema dei quadri.

Dovremo tornare su questo punto, e cercare di individuare le ragioni di questo nostro ritardo.

In ogni caso non possiamo sbarazzarci di questo problema con qualche giudizio frettoloso, con l’atteggiamento di sufficienza di chi riduce un problema sociale così complesso al corporativismo, al qualunquismo, o al livore reazionario di un gruppo sociale ristretto, manipolato dalle manovre padronali.

Negare l’esistenza del problema è il modo sicuro di non risolverlo, ed è la via che porta a nuovi più gravi contraccolpi.

C’è bisogno, invece, di una riflessione attenta, di un esame critico, e di una correzione tempestiva dell’azione del movimento operaio, che rischia altrimenti di andare incontro ad una prospettiva di gravissima difficoltà, di isolamento, di indebolimento della sua forza contrattuale.

Il tempo a disposizione è molto stretto.

È in questa fase che saranno definiti gli sbocchi dei processi in atto, e sarà deciso il senso di marcia del movimento dei quadri.

La prossima stagione contrattuale, sotto questo profilo, sarà un banco di prova decisivo. È necessaria dunque una forte accelerazione di tutta la nostra iniziativa, e ogni ulteriore ritardo non può avere più alcuna giustificazione.

Ci sentiamo talora dire che, con questa iniziativa, ci mettiamo anche noi sul terreno del “corteggiamento” elettoralistico.

Ma che senso ha una tale obiezione? Noi siamo un partito nazionale, una forza politica che vuole svolgere una funzione di governo, e che deve pertanto affrontare con impegno tutti i problemi della società italiana.

E inoltre, si tratta in questo caso di un problema che è interno al movimento dei lavoratori, che chiama in causa direttamente l’unità di classe, la rappresentatività del sindacato e l’ampiezza dello schieramento sociale su cui può far leva una politica di trasformazione.

Non faremo, dunque, alle forze conservatrici il regalo di lasciare nelle loro mani una parte così estesa e importante del mondo del lavoro, e anzi ci impegniamo a contrastare tutte le manovre politiche che puntano alla divisione, alla rottura, a un’utilizzazione del movimento dei quadri come massa di manovra in senso anti-operaio e antisindacale.

 

2) In che senso è possibile parlare di un movimento dei quadri? Ed è giusta una tale espressione?

La situazione attuale è contrassegnata da forme organizzative e da esperienze ancora assai varie, non consolidate.

Ancora non c’è una salda struttura organizzativa, c’è un movimento fluido e composito: tentativi di dar vita ad un vero e proprio sindacato, associazioni professionali, momenti di aggregazione a livello aziendale.

E manca allo stato attuale, un patrimonio culturale sufficientemente solido, una lucidità di prospettiva, una strategia a lungo raggio.

Ma tuttavia ci sono dati sufficienti per ritenere che siamo di fronte ad un movimento che è in fase di espansione, che risponde ad esigenze oggettive, e che viene acquistando sempre più nettamente una propria identità, una propria coscienza collettiva.

Un tale processo costituisce, a nostro giudizio, un fatto positivo, una tendenza progressiva: non dimentichiamoci che si tratta di un gruppo sociale in cui è stata largamente prevalente nel passato una condizione di passività, una ricerca di soluzioni solo individuali, e allora l’avvio di un principio di organizzazione segna un passo avanti, in quanto conduce ad una coscienza di esigenze e bisogni collettivi.

Si configura così, almeno potenzialmente, un soggetto politico, che tende a conquistarsi un proprio spazio autonomo nella società e che perciò è spinto a porsi nuovi interrogativi, a definire una propria identità sul piano politico e ideale.

Guardando le cose in questo modo, ci sembra errato vedere come segno prevalente quello del corporativismo. Esistono indubbiamente anche posizioni e rivendicazioni di tipo corporativo; pensiamo, ad esempio, al rilievo che ha avuto la richiesta di un “riconoscimento giuridico”, che non ha alcun valore pratico ma ha solo il significato di sanzionare un particolare e distinto status sociale, e di definire la realtà dei quadri dentro confini rigidi, come un corpo sociale chiuso. In realtà ogni gruppo sociale attraversa, nella fase iniziale, uno stadio corporativo, una fase nella quale prevalgono gli interessi immediati di gruppo, e l’accento cade sugli elementi di specificità, marcando le differenze rispetto agli altri strati sociali.

Si tratta allora di valutare, al di là di questi aspetti, qual’ è il senso profondo dei fenomeni, qual’ è la sostanza sociale di un dato movimento: se esso esprime necessariamente una tendenza conservatrice, di restaurazione, se il corporativismo è quindi un suo tratto sostanziale, o se all’opposto esso è il tramite attraverso cui si esprimono problemi nuovi, che è necessario affrontare e che sono imposti dallo stesso sviluppo della società.

L’ipotesi da cui partiamo, e che cercheremo più avanti di motivare, è che siamo in presenza di un problema reale, oggettivo, e non di un qualsiasi episodio trascurabile di corporativismo; e da qui, da questa premessa, facciamo discendere un atteggiamento politico positivo, un riconoscimento del movimento reale che si è sviluppato, una volontà di confronto aperto intorno ai temi che esso solleva.

 

3) Occorre rispondere ad una obiezione politica che può essere sollevata, e che è presente in alcuni settori del movimento operaio. L’obiezione si fonda su questo schema di analisi: la tendenza di fondo che opera nella composizione di classe è verso una progressiva omologazione di lavoro operaio e lavoro impiegatizio, in quanto l’introduzione delle nuove tecnologie fa saltare le separazioni e le gerarchie del passato e configura l’insieme delle attività lavorative come controllo di processi meccanizzati.

Ne deriva che il “movimento dei quadri” esprime soltanto una resistenza conservatrice, un tentativo estremo, e storicamente perdente, di ripristinare le vecchie gerarchie. Esso sarebbe quindi, secondo questa analisi, un movimento non di forze ascendenti, ma declinanti. E inoltre, è tale la varietà e la differenziazione interna di questo strato di lavoratori, che ogni idea di unificazione dei quadri potrebbe reggere solo come idea corporativa.

Questo schema di interpretazione nega, come si vede, il problema stesso. Ora, è proprio una tale posizione, largamente diffusa nella cultura del movimento operaio, che ha impedito di vedere per tempo i processi nuovi e ha determinato un ritardo sempre più grave.

Nel momento stesso in cui il problema viene negato sul piano teorico, esso si afferma vistosamente nella realtà pratica.

L’errore sta nel fatto di confondere la tendenza che conduce ad un’assimilazione del lavoro operaio e del lavoro impiegatizio (tendenza reale, che va tuttavia più attentamente analizzata e precisata) con un’altra questione, che è distinta e non riconducibile alla prima, la questione appunto dei quadri intermedi e dei tecnici.

Essa non viene assorbita entro un processo di generale proletarizzazione, anzi assume in modo più spiccato un proprio rilievo autonomo.

Le trasformazioni in atto nell’organizzazione del lavoro e nelle tecnologie richiedono infatti tutta una serie di funzioni organizzative superiori, ad alta specializzazione, richiedono compiti più complessi di coordinamento, creano nuove figure professionali nel campo della ricerca, della progettazione, del marketing, configurano quindi un nuovo strato sociale, che ha obiettivamente una propria collocazione distinta nel processo produttivo.

Ecco che allora la questione dei quadri non appare più come difesa corporativa di un antico ruolo gerarchico oramai tramontato, ma come un problema nuovo che sorge sulla base dei processi più avanzati. La figura del quadro, come organizzatore e coordinatore del lavoro, non è destinata a scomparire, ma si ripropone in forme nuove.

Non regge più una funzione di natura essenzialmente gerarchica, di pura trasmissione del comando, sia perché si richiedono funzioni più complesse e qualificate, sia per l’improponibilità di una restaurazione autoritaria nelle relazioni industriali. Chi si illude di poter imboccare questa strada e di poter risolvere in questo modo la propria crisi di ruolo, si mette in un vicolo cieco. Illusioni di questa natura sono talora presenti e vanno combattute.

Si tratta invece di nuove forme di organizzazione del lavoro, che sollecitino la responsabilità e la partecipazione di tutti i lavoratori, di qualificare la funzione del quadro sulla base di una effettiva capacità professionale, secondo una linea di sviluppo che identifica autorità e competenza, ruolo direttivo e professionalità, di garantire quindi il diritto alla formazione e all’aggiornamento.

C’è dunque da realizzare un processo di ridefinizione e rivalutazione del ruolo dei quadri intermedi. Nuova organizzazione del lavoro, sviluppo tecnologico, professionalità, produttività, sono i parametri di tale processo.

Per questa via si può giungere ad un livello qualitativo più alto di tutta la nostra organizzazione produttiva, e tra quadri e operai si può aprire un rapporto fecondo di collaborazione. È questa la prospettiva che proponiamo al movimento dei quadri, che solo così può avere un ruolo di progresso, e che rischia altrimenti di chiudersi in una linea corporativa senza sbocco.

 

4) L’universo sociale dei quadri è assai composito e differenziato, ed è difficile fissare una definizione univoca, tracciare dei confini precisi.

C’è tutto un lavoro di ricerca che è ancora agli inizi e che dovrà svilupparsi, dal quale potremo ricavare elementi di conoscenza e di giudizio più puntuali e approfonditi.

Mi sembra che, in ogni caso, si debba considerare l’area dei quadri come una fascia di raccordo tra e dirigenza e lavoro esecutivo, che è per sua natura estremamente fluida, soggetta ad un processo continuo di trasformazione.

E occorre tener presenti le grandi differenze che esistono, tra settore e settore, tra piccola e grande industria, tra industria e terziario e pubblica amministrazione.

Questa collocazione “mediana” del quadro si riflette anche nei livelli di coscienza e nelle posizioni ideologiche, che risultano essere ambivalenti e percorse da interne contraddizioni. Se è vero che ci sono molti elementi di ideologia interclassista, che è riscontrabile una psicologia da ceto medio, sono altrettanto vere e presenti tendenze di segno diverso, posizioni politiche avanzate, progressive, anche con una punta di radicalismo, e un’influenza non trascurabile della cultura operaia, dovuta anche al fatto che molti quadri provengono dall’ambiente operaio e in esso si sono formati.

Ci sembrano di poca utilità, pertanto, generalizzazioni sommarie, definizioni nette, che possono cogliere solo un lato del problema, e non la sua intrinseca complessità.

Questo richiamo all’estrema articolazione, sociale e ideale, della categoria dei quadri non significa negare legittimità ad un movimento che presenta comunque alcuni tratti comuni e che tende a esprimere alcune esigenze di carattere collettivo.

L’elemento che a noi pare essenziale è quello di carattere funzionale: l’assunzione, cioè, di un compito di coordinamento organizzativo, la responsabilità di direzione su altri lavoratori, i margini di autonomia nella gestione del processo lavorativo. Ciò può consentire una definizione dei quadri ancorata a fatti oggettivi, e quindi con un grado sufficiente di rigore e di chiarezza.

 

5) Diversa è la collocazione dei tecnici, che non svolgono direttamente funzioni di carattere direttivo, ma si qualificano per il loro lavoro altamente specializzato.

È opportuno tenere distinte queste due figure, anche se in molte situazioni esse tendono a sovrapporsi e a combinarsi in vario modo. Appare probabile che nella prospettiva questa distinzione tra quadri e tecnici divenga sempre meno significativa, in quanto il quadro ha bisogno di una crescente qualificazione tecnico-professionale e il tecnico assume assai spesso, tranne che nel settore della ricerca, funzioni che sono anche di carattere direttivo e organizzativo. La distinzione, quindi, non è rigida, e si tratta, in entrambi i casi, di lavoratori che sono esterni al processo produttivo vero e proprio, che hanno una collocazione obiettivamente distinta rispetto alla massa dei lavoratori esecutivi, e hanno pertanto esigenze comuni di autonomia, di professionalità, di valorizzazione del loro ruolo.

Per questa ragione, pur tenendo presenti le distinzioni, consideriamo che il problema dei quadri e dei tecnici sia un problema politico sostanzialmente unitario. È il problema di quella fascia di lavoratori, i cui livelli di responsabilità e di professionalità sono tali da configurare un’area sociale distinta, non riconducibile entro una concezione “egualitaria” del mondo del lavoro.

Se l’attenzione politica è in questo momento concentrata particolarmente sui quadri, ciò dipende dal fatto che abbiamo qui un movimento organizzato, che ancora non c’è tra i tecnici, in quanto essi hanno subito meno un processo di crisi del proprio ruolo. Ma la sostanza politica del problema è la medesima: essa sta nel fatto che all’interno del mondo del lavoro viene avanti un’articolazione complessa, una differenziazione di ruoli.

Nei punti alti dello sviluppo, la “centralità operaia”, come fatto materiale, è già entrata obiettivamente in crisi. Si riduce il peso numerico della classe operaia tradizionale e si allarga lo spazio ricoperto da nuove figure professionali: tecnici, ricercatori, quadri intermedi, lavoratori del terziario avanzato, intellettualità tecnico-scientifica.

È un processo, questo, necessario, da cui dipende la tenuta dell’economia italiana rispetto ai paesi più avanzati di evitare una prospettiva di declino e di emarginazione.

Se ha ancora senso parlare di centralità operaia, è questo un senso tutto politico; la classe operaia può svolgere un ruolo di avanguardia solo in quanto è capace di una visione politica più ampia e di innestare processi di unificazione del mondo del lavoro che vanno di gran lunga al di là del proprio nucleo centrale.

In altri termini la centralità operaia può esistere nella stessa misura in cui viene liquidato ogni residuo di operaismo.

Quadri, tecnici, terziario avanzato: a questi settori che sono complessivamente in espansione, è necessario guardare come a parti essenziali del movimento dei lavoratori, come a protagonisti necessari del processo di trasformazione. Necessari per il ruolo che hanno, per la loro collocazione nel processo produttivo, per il patrimonio di conoscenze di cui sono portatori.

Senza il contributo di queste forze, il movimento operaio non riesce ad avanzare, a incidere sui processi di ristrutturazione, a governarli, e rischia di chiudersi in una lotta solo difensiva.

 

6) Nel quadro di questa visione ampia ed articolata del mondo del lavoro, andrebbe fatto un discorso specifico anche per quanto riguarda i dirigenti, che possono essere interlocutori positivi, e non solo controparte. Ma è un tema che non rientra direttamente nella problematica di questa Conferenza, e che dovremo affrontare in altre sedi.

Si può osservare che la mancanza di una politica di valorizzazione dell’area dei quadri ha portato in molti casi, ad una dilatazione non giustificata del numero dei dirigenti, a promozioni di carattere clientelare o comunque non al ruolo che viene effettivamente svolto.

È questa una tendenza che va contrastata, definendo in modo più rigoroso le funzioni dei dirigenti. Una situazione particolare esiste in quei settori del pubblico impiego nei quali manca un’area contrattuale autonoma per i dirigenti.

Vi è in questo caso un fenomeno opposto rispetto a quello prima ricordato: il fatto cioè che funzioni dirigenziali non sono pienamente riconosciute come tali, il che può portare a processi di burocratizzazione, a una carriera professionale basata essenzialmente sugli automatismi e sull’anzianità, e quindi ad una scarsa imprenditorialità nella gestione e nella scelta del personale direttivo.

 

7) In tutto il settore del pubblico impiego, per il quale si richiede un esame differenziato, l’esigenza fondamentale è quella di elevare la produttività e l’efficienza e di valorizzare la professionalità.

In questo campo hanno operato negativamente le pressioni di natura clientelare, determinando distorsioni e favoritismi.

Occorre dunque un’operazione di risanamento e di riforma. Una pubblica amministrazione efficiente è condizione necessaria per realizzare una programmazione democratica dell’economia.

Ciò richiede una politica verso il personale basata sul riconoscimento della professionalità e del merito e non sugli automatismi burocratici, sulla formazione e l’aggiornamento professionale, su procedure che consentano margini di autonomia decisionale e di responsabilità, su una circolazione e mobilità tra il settore pubblico e quello privato, che è attualmente inceppata sia per il diverso trattamento economico, sia per ostacoli di carattere legislativo.

 

8) Dal rapido esame che abbiamo fin qui compiuto, dovrebbe risultare già abbastanza chiaro come all’interno della classe lavoratrice vi sia una crescente articolazione e differenziazione.

Lo spostamento di peso tra industria e terziario, tra operai e tecnici, ha modificato la composizione di classe e nel prossimo futuro questa processo si ulteriormente accentuando.

La conseguenza di questa tendenza è l’entrata in crisi di quel modello politico-organizzativo del movimento basato essenzialmente sul “nucleo centrale” della classe operaia e sull’idea che esso debba funzionare come elemento trainante e come modello di organizzazione per l’intero movimento. Tutta l’esperienza sindacale degli anni ’70 si è sviluppata su questa base: essa ha fatto leva sulla forza d’urto e sulla volontà radicale di cambiamento della massa operaia, sullo straordinario potenziale di lotta che essa esprimeva, e a partire da qui ha cercato di innestare un processo più generale, di coinvolgere altri strati, di rimettere in discussione modelli di organizzazione sociale e del lavoro, gerarchie consolidate, valori, di avviare dunque un cambiamento sociale profondo.

Non è in discussione il valore e la portata di questa straordinaria esperienza operaia. Ma occorre saper vedere il punto di crisi a cui essa è giunta e si impone, nelle condizioni attuali, una revisione profonda, una svolta politica, una riconsiderazione critica delle stesse idee-forza su cui quella esperienza si reggeva. Prendiamo, ad esempio, l’idea dell’egualitarismo, che era espressione coerente di tutta quella impostazione, e che ha avuto, per tutta una fase, una grande forza di mobilitazione anche ideale. Oggi è evidente che questa idea-forza è entrata in crisi, che è diventata un ostacolo all’allargamento della influenza del movimento operaio. Anche chi continua a difendere questo principio lo deve fare con tutta una serie di cautele, di precisazioni, di correttivi. Resta certamente valida la battaglia per una uguaglianza di carattere normativo, per l’abolizione di privilegi ingiustificati, ma il criterio dell’egualitarismo nella politica salariale conduce ad effetti inaccettabili, a distorsioni profonde, a contraddizioni tra i lavoratori. Il fatto è che siamo entrati in una fase diversa che richiede altri punti di riferimento, e lo sviluppo del movimento può più avvenire sulla base degli anni passati. L’unità di classe può essere ricomposta solo attraverso il riconoscimento esplicito delle articolazioni reali, delle diversità, e comporta quindi la costruzione di un movimento poli-centrico, differenziato, in cui possono avere spazio momenti di autonomia e di organizzazione specifica per singoli gruppi sociali, e in modo particolare per i quadri e i tecnici.

Il recente congresso della CGIL ha indicato come tema centrale quello della riunificazione del mondo de lavoro, il che comporta un recupero della capacità rappresentativa del sindacato in diverse direzioni: non solo verso gli strati più alti, ma anche verso l’insieme di quelle forze che sono escluse dal mercato ufficiale del lavoro, verso il lavoro precario e sommerso, verso i giovani in cerca di occupazione.

Ma questo recupero di rappresentatività, che è condizione vitale per un sindacato che non voglia ridursi ad essere, di fatto, una sorta di “corporazione operaia”, non può avvenire con dichiarazioni di principio, con appelli all’unità, ma implica la costruzione di nuove forme organizzative, di nuovi strumenti, e una capacità reale di risposta ai problemi differenziati che sono posti dai diversi comparti del mondo del lavoro.

 

9) Il rapporto del movimento dei quadri con le organizzazioni sindacali è segnato da una forte tensione conflittuale.

Non è difficile, certo vedere le ragioni di questo stato di cose.

Vi sono obiettive difficoltà e contraddizioni; vi sono le conseguenze di una politica sindacale che ha concorso al livellamento egualitario c’è, non ancora superato, un clima di diffidenza reciproca. C’è stata anche in molte fabbriche – lo dobbiamo ricordare – una pratica di intolleranza e di violenza. Non si sono ancora valutati, in tutta la loro portata, i guasti gravissimi provocati dall’ondata estremistica, dall’azione di gruppi minoritari che hanno potuto per lungo tempo agire indisturbati, senza che ci fosse una reazione, una risposta decisa da parte della maggioranza dei lavoratori.

È stata tollerata una situazione inaccettabile, senza vedere che veniva deturpata l’immagine stessa del movimento operaio, che ogni concessione all’estremismo era nei fatti un regalo all’avversario di classe. Lo stesso effetto hanno avuto tutti quei fenomeni, dall’assenteismo alla micro-conflittualità di reparto, all’uso di forme di lotta irresponsabili, i quali hanno fatto apparire la classe operaia come un fattore di ingovernabilità dell’impresa, come una forza non di cambiamento e di progresso ma di disordine e di crisi.

Tutto questo ha pesato e pesa tuttora nell’orientamento dei quadri, dei tecnici, dei dirigenti che sentono il loro lavoro e il loro ruolo legati alla sorte dell’impresa, al suo buon funzionamento, al suo sviluppo.

Si pone dunque ora per il movimento sindacale un problema nuovo e difficile: vi è una fascia estesa di lavoratori che contestano la sua rappresentatività, che si organizzano in modo autonomo.

E alcuni settori puntano esplicitamente alla costituzione di un sindacato dei quadri.

La situazione è certamente difficile, perché i processi sono già andati molto avanti, e ciò che oggi si impone è una svolta assai complessa, impegnativa, una manovra di correzione che investe tutta una serie di aspetti della politica sindacale.

Tuttavia, non credo si debba considerare compromessa la possibilità di un recupero, di un rapporto nuovo e positivo con la realtà dei quadri e dei tecnici.

I settori più sensibili e responsabili del movimento dei quadri cercano un confronto, sia pur critico e dialettico, con le organizzazioni sindacali, avvertono che non può funzionare una soluzione corporativa, che i loro problemi non sono risolvibili in una logica chiusa e separata, ma si inseriscono necessariamente in una visione complessiva dei rapporti di lavoro, che, in ultima istanza, senza un rapporto positivo con il movimento sindacale essi non possono avere una sufficiente forza contrattuale.

D’altra parte, anche all’interno del sindacato si è avviata un’importante riflessione, e si stanno mettendo a punto proposte e piattaforme.

In sostanza, il dialogo è già cominciato, e noi dobbiamo fare tutto il possibile pe esso non si interrompa, ma possa a soluzioni positive, a intese anche parziali, alla costruzione di un rapporto politico che consenta di risolvere, con spirito unitario, i problemi e le difficoltà che ancora permangono.

Si tratta di un processo che non potrà certo essere breve. Occorre partire dalla situazione reale, dall’esistenza di varie forme associative dei quadri, con le quali è necessario un confronto, senza pregiudiziali.

Non sta certo a noi prendere posizione a proposito delle diverse ipotesi di organizzazione dei quadri; sarà l’esperienza concreta del movimento a decidere, a definire e precisare man mano il percorso che risulterà essere più produttivo.

Pensiamo che, in ogni caso, forme autonome di organizzazione dei quadri abbiano una loro ragion d’essere, e possano continuare a svolgere la loro funzione, senza che ciò debba comportare un’incompatibilità con la milizia sindacale.

La questione centrale non è di formule organizzative ma di contenuti; di obiettivi, di proposte. Su ciò si misura la validità o meno del movimento, il suo carattere progressivo o corporativo.

Come comunisti, non intendiamo essere osservatori esterni, ma nella misura del possibile vogliamo partecipare, con le forze di cui disponiamo, a questa difficile esperienza di movimento, per influire su di essa, per orientarla in una direzione positiva, perché essa assuma il significato di uno stimolo costruttivo nei confronti dell’intero movimento operaio, e non si rinchiuda in una difesa angusta di interessi settoriali o in una logica di restaurazione.

Alcune misure immediate possono essere prese per la composizione dei consigli dei delegati, che sono e devono restare la fondamentale struttura di base del sindacato, momento di rappresentanza di tutti i lavoratori.

Il limite attuale dei consigli sta anzitutto in un difetto di rappresentanza, in quanto i meccanismi elettorali in vigore non garantiscono una presenza adeguata di tutti i gruppi sociali.

A ciò si può ovviare con rappresentanze orizzontali, facendo sì che i quadri, i tecnici, certi settori impiegatizi, si eleggano i loro delegati, in una proporzione corrispondente alla loro effettiva consistenza numerica, come già avviene in alcune situazioni.

Non basta certo questa riforma per risolvere problemi politici che sono generali, ma questo può essere un passo in avanti importante.

Le garanzie formali sono elemento non accessorio della democrazia, e per lo strato dei quadri e dei tecnici, che sono componente minoritaria, il problema delle garanzie è di particolare importanza.

Essi possono trovare una loro collocazione nel movimento sindacale, se funziona una democrazia sindacale in cui essi abbiano la possibilità effettiva di partecipare alle decisioni, di concorrere alle scelte, di essere determinanti per i problemi che li riguardano direttamente, di essere a tutti gli effetti parte attiva del movimento sindacale.

In questo senso vanno esaminati il funzionamento delle assemblee, la possibilità di riunioni per i quadri e di appositi gruppi di lavoro, i metodi di consultazione di tutti i lavoratori.

 

10) Questa esigenza di partecipazione si pone, in particolare, per le scelte che dovranno essere fatte in occasione dei rinnovi contrattuali. È questo un primo banco di prova, un’occasione che deve essere colta per dare avvio ad una significativa inversione di tendenza.

Si pone anzitutto un problema di metodo: attraverso quali procedure avviare un’effettiva partecipazione dei quadri e dei tecnici alle scelte, alla definizione delle piattaforme, alla gestione delle lotte contrattuali. L’obiettivo non può che essere quello di un sistematico coinvolgimento, e in tale direzione si vanno già precisando alcune proposte concrete, come quella delle consulte, che può rappresentare una soluzione positiva, a condizione che questi organismi siano largamente rappresentativi del movimento dei quadri e siano, soprattutto, investiti di un effettivo potere decisionale.

La questione dei contenuti delle piattaforme presenta notevoli difficoltà.

Vi è, da un lato, l’esigenza di una netta inversione di rotta rispetto alle impostazioni egualitarie del passato, di una rivalutazione della professionalità, di una politica retributiva che ristabilisca un più largo ventaglio tra i diversi livelli, che corregga gli effetti negativi dell’appiattimento.

D’altro lato, ci sono margini obiettivamente ristretti, per il perdurare dell’inflazione e per la scelta che responsabilmente il sindacato ha compiuto di contribuire, con il proprio comportamento, ad una politica anti-inflazionistica, escludendo quindi di premere sull’acceleratore delle rivendicazioni salariali.

Da questi due elementi deriva una situazione contraddittoria, una difficoltà reale, e ciò richiede da parte di tutti atteggiamenti responsabili ed equilibrati.

Non è compito nostro entrare più direttamente nel merito di questo problema, su cui dovranno pronunciarsi democraticamente i lavoratori, nelle loro diverse componenti. Ciò che a noi sembra necessario è che risulti chiara un’inversione di tendenza, che la scelta di valorizzazione della professionalità sia un criterio-guida, e non un correttivo marginale. Ciò è tanto più necessario, se non si vuole che sia rimesso in discussione il meccanismo della scala mobile e il valore unitario del punto di contingenza. Le soluzioni tecniche possono essere diverse. Alcune organizzazioni dei quadri propongono la formazione di un’area quadri, al di fuori dell’inquadramento unico.

È una proposta che va valutata, ma che suscita perplessità e riserve. Non ci sembra, infatti, che l’ostacolo da rimuovere sia il meccanismo dell’inquadramento unico.

Attraverso questo strumento sono state superate divisioni “corporative” del tutto immotivate tra operai e impiegati, e si è teso a ricostruire una scala di valori professionali effettivi, rendendo possibile un’area di intreccio tra operai e impiegati.

È certamente discutibile e perfettibile l’applicazione pratica, ma ci sembra importante non abbandonare lo strumento, non tornare indietro rispetto all’ispirazione politica generale che era alla base della scelta dell’inquadramento unico. In questo contesto ci sembra possibile, una volta abbandonate le esasperazioni dell’egualitarismo, risolvere positivamente il problema dei quadri, dei lavoratori ad alta professionalità, rivedendo anche profondamente i criteri dell’inquadramento rispetto alla situazione attuale, per farli aderire alle trasformazioni che sono avvenute o sono prevedibili. In sostanza, il problema non può ridursi a una qualche concessione di carattere salariale, o solo alla creazione di un nuovo livello, ma occorre una riconsiderazione complessiva: dei criteri dell’inquadramento, per farli corrispondere al reali livelli di professionalità, della struttura del salario, e delle forme della contrattazione. Ci sembra necessario che le voci della professionalità e della produttività abbiano un peso rilevante nella composizione del salario. E ciò implica la definizione di un’area contrattuale a livello aziendale, che può, in modo più aderente alle singole situazioni, valorizzare il contributo dei quadri e dei tecnici, e stimolare l’impegno produttivo di tutti i lavoratori.

Un altro aspetto che va considerato è quello della politica fiscale, in quanto l’appiattimento delle retribuzioni è stato ulteriormente accentuato dalla forte pressione fiscale che si è esercitata sulle fasce medio alte dei lavoratori.

È necessaria pertanto una revisione delle aliquote, che per effetto dell’inflazione creano oggi una pressione eccessiva ed ingiusta su una massa considerevole di lavoratori.

 

11) Per quanto riguarda la richiesta del riconoscimento giuridico attraverso la modifica dell’articolo 2095 del Codice Civile, abbiamo già espresso più volte le nostre motivate riserve, e le riconfermiamo.

Ci rendiamo però conto che vi è la necessità, per il movimento dei quadri, di un qualche risultato sul terreno politico, e che questa rivendicazione ha assunto un valore emblematico, al di là di ogni considerazione sui risultati pratici che ne possono derivare.

Tenendo conto di questa esigenza politica, e al fine di sbloccare la situazione di stallo che si è determinata nella discussione sull’articolo 2095, i nostri gruppi parlamentari hanno preso l’iniziativa di proporre un disegno di legge per i quadri intermedi, che ha un duplice significato: esso vuole anzitutto indicare una volontà politica nei confronti di un gruppo sociale che pone, legittimamente, il problema di una valorizzazione del proprio ruolo e delle proprie capacità professionali.

In secondo luogo, cerchiamo di affrontare questo problema non in astratto, con vuote dichiarazioni di principio, ma con una serie di proposte concrete, intervenendo per una correzione dell’attuale legislazione là dove ci sembra che essa sia inadeguata e non consideri con la dovuta attenzione le particolari esigenze dei quadri. Affrontiamo, con questo spirito, i problemi dell’orario di lavoro, della formazione, del collocamento, e così via, disponibili ad accogliere altre proposte e suggerimenti, da parte degli altri gruppi parlamentari, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni dei quadri.

È auspicabile che possa determinarsi al più presto un’intesa per una iniziativa legislativa unitaria.

Con la nostra proposta, tendiamo a riaprire una discussione e a chiarire la posizione degli altri partiti, che hanno sostenuto ufficialmente la tesi del riconoscimento giuridico, ma in realtà non hanno preso in proposito nessuna decisione definitiva, essendo presenti in ciascuno di essi perplessità e riserve.

È bene che, a questo punto, ciascuna forza politica definisca con chiarezza la propria posizione, e si lavori per una conclusione unitaria, per la quale non ci sono ostacoli di principio.

 

12) Abbiamo indicato una serie di obiettivi, abbiamo cercato anche di esprimere un nostro orientamento su problemi che sono di carattere essenzialmente sindacale.

Ma ciò che in ultima istanza risulterà essere decisivo è l’orientamento politico della grande maggioranza dei lavoratori, la loro capacità di cogliere tutta la portata del problema di lavorare quindi con lucidità e convinzione per una nuova e più larga unità della classe lavoratrice.

Per questo, sentiamo che spetta al nostro partito una funzione insostituibile una responsabilità che non possiamo delegare ad altri. Se c’è grande interesse ed attesa per questa nostra conferenza, è perché si considera che le nostre posizioni, le nostre scelte, possono avere una grande influenza sull’orientamento della classe operaia.

In questa direzione dobbiamo dispiegare tutta la nostra capacità di iniziativa, perché senza una discussione di massa le cose che diciamo qui rischiano di essere, alla prova dei fatti, povere di risultati.

Il problema è quello di tradurre nella realtà, nei comportamenti effettivi, la linea politica che abbiamo cercato di definire.

Certo, dobbiamo sapere che e un processo, che sono inevitabili resistenze, incomprensioni, ma appunto per questo, appunto perché c’è una forza di inerzia che può essere vinta solo al prezzo di un lavoro faticoso e tenace, dobbiamo avvertire, perciò, la necessità e l’urgenza di una forte mobilitazione del partito.

Chiusure settarle, forme di operaismo o di estremismo: si tratta di fatti e di orientamenti tuttora presenti, si tratta di una battaglia che è, ancora aperta, ancora da vincere. Ogni volta che allentiamo il nostro impegno, vediamo riaffiorare il rischio di un arretramento, di un ritorno ad una coscienza di classe angusta, alimentata dall’azione e dalla demagogia di gruppi estremistici.

Occorre che sia chiara la partita politica che si svolge intorno al problema dei quadri e dei tecnici. Non si tratta di fare qualche concessione, qualche compromesso: se ragioniamo in questi termini, se riduciamo il problema a una manovra tattica o diplomatica, prendiamo una strada sbagliata e infruttuosa. La questione è più complessa e impegnativa. È in atto, nel paese, una offensiva anti-operaia e anti-sindacale, e c’è il tentativo di utilizzare i quadri come massa di manovra per operazioni di restaurazione, per uno spostamento a destra dell’asse politico. L’attivismo di alcune forze politiche, a partire dalla Democrazia Cristiana, ha un obiettivo chiaro: determinare un processo per cui il movimento dei quadri agisca, come è stato alla FIAT, come elemento di contrapposizione al sindacato, come fattore di divisione e di rottura.

È chiaro allora che non si tratta di una “rincorsa” strumentale, ma di un’esigenza politica che è vitale per il movimento operaio.

È necessaria una battaglia politica: contro l’operaismo angusto, contro le posizioni di chiusura, che impediscono alla classe operaia di svolgere una funzione dirigente, e, d’altro lato, contro la frantumazione corporativa, contro quelle spinte, presenti anche nel movimento dei quadri, cha vanno nel senso di una contrapposizione all’insieme del movimento sindacale.

Con i quadri, con le loro organizzazioni, vogliamo avere una discussione politica chiara ed esplicita. Non ci limitiamo ad accogliere acriticamente tutte le loro posizioni e rivendicazioni. Ci sono richieste legittime, che è necessario accogliere, ma c’è anche, in molti casi, un tentativo non accettabile di scaricare sul sindacato tutte le responsabilità, di dare un giudizio sommario e liquidatorio sull’esperienza sindacale di questi anni.

In realtà, – occorre ricordarlo -, se non ci fosse stata in tutti questi anni la forza contrattuale del sindacato, se non ci fosse stato un grande movimento di lotta, una mobilitazione di massa dei lavoratori, oggi la situazione sarebbe più difficile per tutti, e lo stesso movimento dei quadri non potrebbe avere lo spazio per un proprio sviluppo.

Noi sentiamo con forza l’esigenza di una correzione, di una svolta, e lo abbiamo detto in modo non equivoco, ma si tratta di operare una svolta che rafforzi il sindacato e la sua capacità di rappresentanza, che renda possibile uno sviluppo, un rafforzamento del movimento e non invece, come alcuni si propongono, un ritorno all’ indietro e un ridimensionamento della forza contrattuale e dello spazio che il movimento sindacale ha conquistato nella società italiana.

 

13) In questi anni ha agito all’interno di alcune grandi fabbriche, con una propria strategia, il partito del terrorismo. L’operazione politica è chiara: far leva sulle posizioni estremistiche e portarle alle estreme conseguenze, organizzando una sistematica azione di violenza contro i quadri e dirigenti, indicati come nemici della classe operaia, come agenti dello sfruttamento capitalistico, come funzionari del capitale. L’ondata di violenza che ha colpito queste forze è stata brutale e sanguinosa.

Per combattere con efficacia contro la violenza dei gruppi terroristi non basta condannare i loro atti criminali, ma occorre risalire alle origini, intervenire sul loro possibile terreno di coltura, impedire quindi che essi possono trovare all’interno delle fabbriche un clima politico che consenta, in vario modo, una giustificazione o una copertura per i loro atti di violenza.

E soprattutto si tratta di spezzare i canali del reclutamento, di impedire che, nonostante i colpi subiti, l’organizzazione del terrorismo possa ricostituirsi e trovare nuovi aderenti. Il tentativo è di avere alcuni nuclei organizzati nelle fabbriche, e a questo fine si fa ricorso ad una campagna di propaganda basata sulla denuncia della condizione operaia, si cerca un collegamento con i problemi reali e con le rivendicazioni più concrete e minute, puntando a creare un clima di esasperazione.

In sostanza, abbiamo a che fare con una azione politica, e non con una violenza cieca e irrazionale, e la battaglia può essere vinta solo sul terreno politico.

La lotta contro il terrorismo si unisce quindi all’azione più generale per far avanzare tra i lavoratori una concezione politica basata sulla ricerca dell’unità, delle più larghe alleanze sociali, sulla convinzione che alla classe operaia spetta un ruolo dirigente nazionale, nel quadro della democrazia politica e nel rifiuto di ogni forma di violenza.

 

14) Attraversiamo una fase di crisi della nostra economia nazionale, ed è su questo terreno anzitutto che si misura la capacità politica del movimento operaio, la sua maturità come forza dirigente, la possibilità di costruzione di un vasto sistema di alleanze.

La crisi è profonda, anche se non mancano segni positivi, elementi di dinamismo e di iniziativa di alcuni settori produttivi, soprattutto nella piccola e media impresa.

Sono fuori luogo facili ottimismi, e sono del tutto velleitarie quelle analisi che indicano la soluzione della crisi nel libero funzionamento del mercato, nella vitalità delle forze spontanee che possono essere messe in moto. L’esperienza di altri paesi ci dimostra come le ricette del liberismo comportino una fase prolungata di recessione e un aggravamento drammatico delle tensioni sociali. La crisi pone, con urgenza, la necessità di una programmazione, di una capacità di governo dei processi economici e sociali.

È questa una condizione necessaria per scongiurare una prospettiva di decadenza, di emarginazione del nostro paese nella divisione internazionale del lavoro.

Da qui deriva la possibilità e la necessità di una alleanza di tutte le forze produttive, per una politica di sviluppo.

Le condizioni per rendere possibile una tale prospettiva sono: un elevamento generale della produttività, un impegno nella ricerca e nell’innovazione tecnologica, un piano di investimenti nei settori-chiave, con l’obiettivo anzitutto di ridurre la nostra dipendenza dall’estero e di eliminare, quindi, le cause strutturali dell’inflazione.

Quadri e tecnici sono forze necessarie per realizzare una politica finalizzata all’obiettivo di un nuovo sviluppo. Vi è qui il terreno fondamentale di una collaborazione, di un impegno comune tra tutte le componenti del mondo del lavoro.

Il compito che ci sta davanti è quello, assai impegnativo, di governare i processi di ristrutturazione, di affrontare realisticamente i dati della crisi per trovare le possibili vie di uscita, di misurarsi quindi con problemi della produttività, della mobilità del lavoro, dell’efficienza aziendale, della riconversione e del risanamento del tessuto produttivo.

La crisi è un dato obiettivo, non eludibile. Su di essa si innesta una manovra politica, un’offensiva anti-operaia, che cerca di scaricare sui lavoratori tutti i prezzi della crisi e di colpire la loro forza contrattuale.

Ma questa manovra può essere contrastata e vinta solo se il movimento dei lavoratori riesce ad essere all’altezza della situazione, se sa proporre soluzioni, indicare obiettivi concreti e realistici, se insomma riesce ad essere, pur nel mezzo della crisi, forza dirigente nazionale, e non si chiude in una battaglia difensiva.

Là dove questo non è avvenuto, dove la classe operaia non riesce a farsi carico delle esigenze generali e cerca di tenere ferme rigidità non più sostenibili, avviene che si incrina il rapporto con i quadri e con i tecnici, e più in generale si indebolisce la possibilità di alleanze sociali e politiche.

Decisivo è, nell’attuale situazione, l’impegno sul fronte della produttività.

C’è da combattere una battaglia politica e teorica contro quelle posizioni, false e devianti, che identificano la produttività con l’intensificazione dello sfruttamento, e che considerano pertanto che questo obiettivo non può avere altro significato al di fuori della logica capitalistica.

In realtà, ogni progresso comporta un aumento della capacità produttiva e reciprocamente ogni sviluppo della forza produttiva apre la possibilità di nuove conquiste, di nuovi e più avanzati obiettivi.

Di questo si tratta, oggi: di respingere il ricatto delle forze conservatrici che vorrebbe annullare le conquiste ottenute dal movimento operaio, sostenendo che esse non sono più compatibili con le condizioni di difficoltà e di crisi della nostra economia; e di indicare la via di un nuovo possibile sviluppo produttivo, basato sull’innovazione tecnologica, sulla ricerca, su una nuova organizzazione del lavoro, e anche sull’impegno e sulla mobilitazione della classe lavoratrice.

 

15) La battaglia per un nuovo sviluppo produttivo che veda la partecipazione e l’impegno attivo di tutti i lavoratori, si lega strettamente alla necessità di una democratizzazione dell’impresa.

Si vede sempre chiaramente come sia necessario che i lavoratori possano conoscere i dati della situazione e siano chiamati a partecipare responsabilmente alle decisioni.

Ci si scontra, invece con una resistenza miope, con una tendenza a centralizzare la massa delle informazioni e delle decisioni, a mettere i lavoratori di fronte a fatti compiuti, a scelte drastiche di ridimensionamento, che comportano sacrifici pesanti, senza che venga sollecitato il loro contributo nella ricerca delle soluzioni più adeguate.

In molti casi è inoltre evidente che si vuole esercitare un’azione discriminatoria nei confronti delle avanguardie sindacali più combattive, che la crisi è utilizzata come occasione per decapitare il sindacato, per dare un colpo alla sua forza, per disperdere i suoi quadri. Questa linea di centralizzazione e questa resistenza ad introdurre momenti di partecipazione democratica colpiscono direttamente i quadri e i tecnici, che vedono così frustrata e sminuita la loro professionalità, che finiscono per essere solo esecutori di direttive che vengono dall’alto e di cui non possono valutare tutte le implicazioni.

Per queste ragioni, il tema della democrazia industriale appare oggi di primaria importanza, e può costituire il terreno di una battaglia comune a tutti i lavoratori, operai e impiegati, tecnici e quadri intermedi.

Per avanzare su questo terreno, è necessario definire proposte, indicare soluzioni nuove, vedere attraverso quali strumenti e istituti può realizzarsi un nuovo modello di democrazia industriale. È un campo ancora tutto aperto, che va sperimentato con coraggio, superando remore ideologiche e incertezze.

Non si tratta di offuscare il carattere conflittuale che ha avuto l’esperienza del movimento sindacale in Italia, ma di vedere come si può portare l’intervento dei lavoratori, le loro possibilità di controllo e di decisione, su un terreno più alto, sulle scelte di politica industriale, sugli indirizzi di fondo e sulla strategia delle imprese.

Ciò può avvenire con l’istituzione di appositi organismi, che vedano la partecipazione di tutte le parti sociali, e che possano controllare l’andamento dell’impresa, disporre di tutti gli elementi di conoscenza, discutere gli obiettivi e i programmi, ferma restando l’autonomia di decisione delle parti sociali.

Occorre aprire una discussione approfondita intorno a questo problema, valutare le diverse ipotesi e proposte che possono essere avanzate. Noi ci proponiamo, come partito, di prendere rapidamente un’iniziativa in questa direzione,

 

16) Da tutte le cose dette, appare chiaro come la nostra iniziativa verso i quadri a i tecnici si inscriva in un disegno politico di ampia portata e cerchi di guardare in avanti, alle prospettive generali del paese, alla possibilità di un suo rinnovamento, all’obiettivo di un nuovo tipo di sviluppo.

È nostra convinzione ferma che solo un ricambio politico può portare il paese fuori dalle secche della crisi e può avviare quell’opera vasta di rinnovamento che è necessaria. Per questo abbiamo posto all’ordine del giorno il tema dell’alternativa democratica, intendendo questa nostra linea politica non solo come ricostruzione di un tessuto unitario tra le forze della sinistra, ma anche e soprattutto come mobilitazione delle forze sociali, come costruzione di un nuovo blocco sociale, imperniato sull’alleanza di tutte le forze produttive.

Mentre il vecchio blocco di potere entra in crisi, non ha più capacità di guida politica e anzi si frantuma in tutta una serie di spinte corporative che creano un pericoloso stato di ingovernabilità, diviene urgente gettare le basi di un’alternativa politica, e chiamare le forze più vive della società italiana a contribuire ciascuna con la propria fisionomia autonoma, alla rinascita e al rinnovamento del paese.

Il tema dell’alternativa è un tema attuale, maturo, come è dimostrato dal declino della centralità democristiana, soprattutto nei punti più avanzati dello sviluppo e dai risultati mediocri che hanno saputo produrre tutti gli ultimi governi basati su una permanente discriminazione a sinistra.

Può esserci l’opportunità di tappe intermedie, ma è necessario che già da ora prenda avvio tra i partiti della sinistra e con le altre forze democratiche un dibattito chiaro sulla prospettiva e uno sforzo di elaborazione comune, di convergenza programmatica e di iniziativa unitaria intorno ad alcuni obiettivi prioritari per rilanciare tutta la battaglia per le riforme.

 

17) Si richiede, quindi, un lavoro di ampio respiro.

Siamo soltanto inizi, e dopo questa conferenza nazionale si tratta di dare continuità al nostro impegno, di verificare nell’esperienza concreta le indicazioni politiche che stiamo cercando di definire, di passare dalle enunciazioni ai fatti, sapendo che siamo attesi ad una prova di coerenza.

C’è un campo vasto di iniziativa politica, di collegamento sociale, di ricerca: occorre che il partito, a tutti i livelli, si attrezzi per questo lavoro, e dia responsabilità a tutti quei numerosi compagni tecnici, ricercatori, quadri che hanno qualità e competenze, spesso di primordine, ma che non sono stati sin qui valorizzati e che non hanno trovato nel partito una collocazione adeguata.

Il problema della partecipazione, della democratizzazione delle decisioni, della valorizzazione delle competenze, si pone anche all’interno del partito, ed è più in generale aperta, in tutta la vita politica del nostro paese, la questione di un raccordo con il mondo della scienza, della tecnica, con gli specialisti, con tutti coloro che sono portatori, in diversi campi, di effettive capacità professionali.

C’è il pericolo di una burocratizzazione dei partiti politici, di un loro distacco dalla società, di una concezione della politica come sfera separata, come campo riservato ai politici professionali, si configura perfino la tendenza ad un “linguaggio” specialistico che non parla ai sentimenti comuni della gente. Dobbiamo contrastare con estrema decisione questa tendenza negativa, e possiamo farlo anzitutto mandando avanti all’interno del nostro partito un processo nuovo e coraggioso di rinnovamento, di apertura verso la realtà sociale esterna, di sviluppo della democrazia e della partecipazione.

Solo un partito aperto e rinnovato, capace di un dialogo fecondo con la società, potrà essere il protagonista e l’artefice di una alternativa politica, con altre forze, di una continua e tenace ricerca dell’unità dei lavoratori, dell’unità delle forze di progresso.



Numero progressivo: F1
Busta: 6
Estremi cronologici: 1982, 5-6 marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -