ATTI DELLA CONFERENZA CITTADINA
Milano 22, 23, 24 febbraio 1973
Relazione di Riccardo Terzi in qualità di Segretario del Comitato cittadino di Milano e membro del Comitato Centrale
La città di Milano è stata al centro, in questi ultimi tre anni, di uno scontro sociale e politico di grande ampiezza, che ha imposto alla nostra organizzazione di partito delle prove difficili e impegnative, tali da richiedere una continua attenzione, una pronta sensibilità politica, una capacità di analisi degli sviluppi complessi e contraddittori, e tali inoltre da imporre una saldezza di orientamento e una rigorosa linea di condotta. Quando abbiamo tenuto la nostra precedente Assemblea Cittadina, nel Febbraio dei ‘70, eravamo all’indomani delle grandi lotte operaie dell’autunno sindacale ed eravamo già entrati nel clima torbido della provocazione, con gli incidenti davanti al Teatro Lirico, con l’attentato criminale di Piazza Fontana, con l’avvio di una campagna di repressione contro il movimento operaio e democratico. Si erano già delineati con chiarezza i due fattori decisivi della situazione milanese: la forza e la combattività del movimento operaio, la sua crescente unità e maturità politica, e dall’altro lato la violenza della controffensiva di destra, lo sforzo organizzato e deciso di arginare l’avanzata della classe operaia, di fiaccarne la forza e la compattezza, di riportare indietro tutta la situazione politica. Questi due elementi sono i punti di riferimento necessari per comprendere appieno gli sviluppi della situazione milanese, i suoi intrecci complessi e la sua drammaticità. La storia di questi tre anni è la storia di uno scontro sociale e politico di grande ampiezza e portata, che ha avuto un posto di primo piano nell’intera vita nazionale, e per questo i lavori di questa Conferenza Cittadina hanno un loro rilievo particolare, sono un momento significativo e importante delia vita interna del Partito e del suo rapporto con le altre forze politiche. Dobbiamo mettere in luce innanzitutto, io credo, la grande capacita che il Partito ha avuto di far fronte con fermezza alla situazione, di non lasciarsi travolgere dagli avvenimenti, di guardare con obiettività e con lucidità alla sostanza delle questioni politiche. Possiamo oggi sottolineare, con un certo orgoglio, questa maggiore maturità e unità del Partito.
L’asprezza della lotta ha temperato le nostre organizzazioni, le ha irrobustite sotto il profilo dell’iniziativa di massa e della capacità politica, ha anche instaurato in tutto il corpo del Partito un più severo costume di milizia comunista, una più salda disciplina. Tutti coloro che hanno tentato, dall’esterno o dall’interno, di far opera di disgregazione, di introdurre i germi del frazionismo e dello spirito di gruppo, sono andati incontro ad un fallimento clamoroso.
Quanto più si fa aspra la battaglia politica, tanto più appare chiaro che l’unità e la disciplina del partito sono tra le ragioni essenziali della sua forza: questa coscienza è oggi viva in tutto il Partito, e si è manifestata con chiarezza nel dibattito che ha preparato questa Conferenza Cittadina, nel carattere che esso ha avuto di ricerca e approfondimento collettivi, in uno spirito di reale volontà unitaria e di adesione sostanziale alla nostra linea politica generale definita dal XIII Congresso. Nel contempo, questo spirito di partito non ha significato un arroccamento, ma anzi ha reso possibile una più larga iniziativa politica.
E su questa linea dobbiamo procedere ulteriormente, dando a tutto il nostro lavoro un rigore politico e di metodo ancora maggiore e mettendo in campo questa nostra forza con maggiore coraggio nel rapporto con le altre forze politiche, nel confronto e nel dibattito, nell’iniziativa articolata capace di rivolgersi a tutta la realtà cittadina. È questo, d’altra parte, ciò che contraddistingue un partito che sia degno di questo nome: un partito esiste ed è vitale in quanto ha una forza interiore e in quanto pone la sua candidatura alla direzione politica dello Stato, si pone cioè un compito di egemonia nazionale.
E ciò comporta, come è evidente, una capacità di stringere rapporti politici, di costruire un sistema di alleanze. «Soltanto chi non ha fiducia in se stesso, diceva Lenin, può aver paura di stringere alleanze temporanee anche con elementi incerti. Nessun partito politico potrebbe esistere senza tali alleanze».
È quindi con fiducia, con decisione, che dobbiamo andare ad una iniziativa politica larga, unitaria, che si rivolga a tutta la città, che affronti i problemi di tutte le diverse categorie sociali, avendo la coscienza e l’ambizione di un “partito di governo”, il cui apporto è indispensabile per far uscire il paese dalla situazione di crisi e di marasma in cui l’hanno gettato le classi dirigenti capitalistiche.
Questa stessa Conferenza Cittadina deve avere questo respiro politico, deve esprimere una nostra proposta politica organica, che sia un’occasione di confronto, di dibattito e di iniziativa nella città. La situazione di Milano è tale, d’altra parte, da rendere quanto mai urgente un’iniziativa politica unitaria, uno sforzo comune di tutte le forze democratiche, per impedire che la logica della sovversione antidemocratica faccia nuova strada, che la crisi attuale precipiti aggravando tutti i problemi e mettendo in pericolo non solo le conquiste del movimento operaio e popolare, ma le stesse istituzioni democratiche. L’urgenza e la gravità dei problemi non consentono pause di riflessione o rinvii, e sarebbe grave se prevalesse nelle forze politiche la logica dell’interesse di parte, del calcolo tattico, dell’integralismo di partito o, peggio ancora, di corrente. Ciò renderebbe insolubile la crisi attuale e aprirebbe il varco all’azione eversiva dei gruppi reazionari. È stato detto nel nostro ultimo Comitato Centrale (nel rapporto del compagno Berlinguer) che nessun partito può da solo far uscire il paese dall’attuale condizione di crisi. «Quel che occorre, oggi, è l’attuazione di un programma di vero e proprio rinnovamento e risanamento nazionale e ciò richiede un impegno comune e una collaborazione di tutte le energie popolari e democratiche». Questo vale certamente, in modo particolare, anche per Milano, e tutta la nostra linea di condotta è ispirata da questa consapevolezza. Ogni qualsiasi altra posizione sarebbe irresponsabile e deleteria, sarebbe un imperdonabile atto di miopia politica.
Per questo occorre con molta forza combattere contro ogni tendenza integralista e settaria, da cui deriva una concezione angusta dei compiti della classe operaia, un immiserimento della sua iniziativa politica, una rinuncia ad affrontare i grandi temi del rinnovamento democratico nazionale. Questa nostra posizione di principio non sempre viene colta in tutto il suo valore, e talora anche viene coscientemente deformata, vedendo in essa solo un tatticismo deteriore, una manovra, oppure, all’inverso, un abbandono delle nostre autonome posizioni ideali e di classe.
Occorre dunque chiarire, alla luce dei fatti e della nostra azione pratica, il significato non strumentale della politica unitaria del nostro partito, il suo valore politico effettivo, la sua efficacia concreta nella lotta per la democrazia, e insieme occorre chiarire che la nostra ragione d’essere, come partito di classe e rivoluzionario, non si esaurisce in nessuno degli atti politici concreti, ma rimanda continuamente ad una prospettiva di fondo, che potrà essere solo il risultato di un processo intricato di lotte sociali e politiche e che interessa un’intera epoca storica. In questo appunto sta la nostra forza: nell’essere un partito capace di fare politica oggi, di prospettare soluzioni valide per l’immediato, e nel carattere non empirico, non contingente, di questo «far politica», nel rigore teorico e scientifico che è alla base delle singole scelte concrete. E questa – è bene ricordarlo a certi presunti marxisti-lenisti improvvisati e ignoranti – è appunto la sostanza dell’insegnamento politico del marxismo.
Il dibattito che ha preparato questa Conferenza Cittadina è stato, da questo punto di vista, una prova importante di maturità politica: esso ha messo in luce una salda coscienza di classe, una volontà di rigore e di chiarezza ideologica, ha dimostrato come il partito sia tutt’altro che disarmato di fronte agli attacchi dell’avversario, sia pronto anzi a combattere la sua battaglia con nuovo slancio ed impegno, ed inoltre si è trattato di un dibattito vivo, legato all’attualità politica, pronto a cogliere i dati nuovi della situazione, i compiti immediati, le esigenze di una iniziativa capace di incidere subito, in modo positivo, sugli sviluppi della situazione politica.
Veniamo dunque, ora, alla sostanza del problema politico che ci sta di fronte. Dal nostro XIII Congresso a oggi si è attuata nel paese una svolta di grave significato, che ha mutato profondamente il quadro politico nazionale, e che non può essere intesa come un «colpo di mano», come una manovra tattica di breve respiro, ma che viceversa ha il significato di un tentativo organico di spostare verso destra gli equilibri politici e sociali, di creare un nuovo blocco di potere, di uscire dalla crisi politica sulla base di un assetto conservatore che garantisca stabilmente le posizioni di potere delle classi dominanti.
Il governo Andreotti, a giudicare almeno dalle sue intenzioni, non è, nella storia politica del nostro paese, un incidente passeggero, una parentesi priva di significato, non è uno di quei governi «balneari» che si fanno perché un governo deve pur esserci, e il cui destino è solo quello di preparare nuove soluzioni politiche. E non è nemmeno, come fu nel caso del governo Tambroni, una disperata avventura reazionaria, tale da richiedere immediatamente una prova di forza generale e decisiva nel paese. Il governo Andreotti unisce in sé grandi ambizioni ed una volontà di realismo, costituisce dunque un pericolo reale, che può essere sventato alla condizione, anzitutto, che si parta da un’analisi esatta della situazione, dei rapporti tra le forze politiche e tra le forze sociali, delle contraddizioni e delle tendenze che caratterizzano la presente fase politica. Non occorre certo qui ripetere l’analisi politica generale che è stata ampiamente sviluppata dal Comitato Centrale dei Partito.
È piuttosto nostro compito esaminare i rapporti che intercorrono tra la situazione nazionale e quella milanese, rapporti che hanno avuto, in tutta questa fase politica, un’importanza di primo piano. La svolta a destra ha i suoi logici antecedenti in tutta la vasta offensiva conservatrice che si e dispiegata nel paese fin dal ‘69, e che ha avuto proprio a Milano il suo epicentro. Questa centralità di Milano nel quadro politico nazionale ha una sua spiegazione abbastanza evidente, se solo si ha presente il ruolo di centro economico e finanziario di Milano, le implicazioni vastissime che quindi avrebbe nella nostra città l’attuazione di una reale politica di riforme, e se si considera inoltre la complessa articolazione sociale che caratterizza la realtà milanese e che la fa essere, dunque, un banco di prova decisivo nella lotta per la conquista, all’uno o all’altro campo, degli strati sociali intermedi. Già in Gramsci era chiarissima l’importanza strategica della situazione di Milano. Egli affermava in un articolo de L’Unità, che meriterebbe di essere citato per intero: «A Milano sono i maggiori centri vitali del capitalismo italiano: il capitalismo italiano può essere solo decapitato a Milano (…). Il problema di Milano non è quindi una questione locale: esso è un problema nazionale e in un certo senso anche internazionale. Gli operai di Milano devono persuadersi di ciò e dalla comprensione dei doveri formidabili che incombono su di loro devono trarne tutta l’energia e tutto l’entusiasmo che sono necessari per condurre a termine il compito necessario».
Occorre qui richiamare alla nostra memoria lo sforzo gigantesco messo in atto dalle forze dominanti, nel corso di questi ultimi anni, per creare nella nostra città quel clima di tensione e di provocazione che ha preparato il terreno alla svolta a destra e che ha impegnato il movimento operaio in una dura battaglia democratica. Ricordiamo, dopo la strage di Piazza Fontana, le violenze poliziesche, che hanno avuto spesso conclusioni drammatiche, l’esplosione della violenza fascista contro le sedi di organizzazioni democratiche e contro singoli militanti, gli oscuri episodi che hanno portato alla morte di Feltrinelli e di Calabresi, la violenta campagna propagandistica tesa a creare un clima di linciaggio contro le forze della sinistra, le iniziative di importanti esponenti dell’apparato dello Stato, come il prefetto Mazza e il procuratore De Peppo, tendenti a presentare un’immagine distorta della realtà milanese, ad accreditare l’idea calunniosa di un attacco alla democrazia proveniente dal movimento operaio e dalle forze di sinistra, l’uso spregiudicato della provocazione, spesso camuffata dietro un’apparenza “di sinistra”, come nel caso delle Brigate Rosse e di consimili gruppi di avventurieri, l’irresponsabile azione di repressione nelle scuole e nelle università milanesi. È questo un quadro sommario e certo incompleto di quanto e accaduto a Milano in questi 8 anni. Su alcuni di questi problemi mi soffermerò più avanti, essendo necessario trarre, in modo preciso, una lezione politica da queste nostre esperienze così gravi e drammatiche.
A Milano, dunque, vi sono state le prove generali dell’offensiva di destra, e tuttavia – è questo l’altro elemento essenziale da tenere presente – questa offensiva, pur avendo avuto una parte importante nel deterioramento del clima politico generale del paese, non si può dire che abbia ottenuto nella nostra città gli obiettivi cui tendeva, avendo incontrato una resistenza salda e combattiva delle forze democratiche e del movimento operaio. Il rapporto tra la situazione nazionale e quella milanese è quindi complesso, non immediato: le forze reazionarie hanno scelto Milano come base delle loro operazioni e, partendo da Milano, hanno via via allargato ed esteso la loro trama eversiva, in altri centri vitali del paese e soprattutto nel Mezzogiorno, facendo leva qui su una situazione di disgregazione sociale e civile, sulla condizione disperata e priva di prospettive di settori sottoproletari o semiproletari, che hanno potuto in una qualche misura soggiacere alla cinica demagogia delle forze di destra. Questa offensiva ha ottenuto qualche risultato, ha provocato fenomeni di sbandamento, di allarme, di demoralizzazione; ha determinato cioè un certo spostamento nei rapporti sociali, da cui ha potuto prendere le mosse il tentativo conservatore del governo Andreotti. Si tratta però di un fenomeno non ancora consolidato: le basi su cui si regge l’attuale coalizione di governo hanno tuttora un carattere precario, provvisorio, trattandosi appunto di ceti sociali che avvertono un’esigenza indeterminata di ordine e di stabilità politica, che, delusi dalle fallimentari esperienze del recente passato, hanno assunto nei confronti del governo di centro destra una posizione di attesa, si sono in parte riconosciuti nelle sue dichiarazioni di efficienza e di concretezza operativa, e che tuttavia hanno ancora un atteggiamento politico incerto, che già cominciano ad avvertire il carattere mistificatorio della “concretezza” di Andreotti e possono pertanto essere riconquistati alla battaglia democratica, se questa riesce a svilupparsi con incisività e con chiarezza di obiettivi, sostenuta da un arco di forze largo e qualificato. Sotto questo profilo, la situazione di Milano è particolarmente significativa: infatti, nonostante la violenta offensiva reazionaria, nonostante i legami di complicità che si sono stretti tra i fautori della provocazione ed importanti settori della vita economica e degli apparati dello Stato, il quadro politico generale non ha subito quella netta involuzione a destra che si e effettuata a livello governativo, ed anzi si è venuto intrecciando un rapporto nuovo tra le forze democratiche, si è sviluppata, attorno ad alcune questioni di grande rilievo (l’antifascismo, la lotta per la pace, i problemi della scuola, le lotte sindacali), un’iniziativa comune delle forze politiche. Pur con tutte le difficolta e le contraddizioni che caratterizzano questo rapporto politico tra le forze dello schieramento antifascista, è un dato di fatto inoppugnabile l’esistenza di una situazione aperta, suscettibile di sviluppi positivi.
In altri termini, l’offensiva di destra, che è partita da Milano, che ha concentrato nella nostra città la sua azione provocatoria, ha incontrato proprio a Milano una capacità di resistenza del tessuto democratico, che non ha consentito a questa offensiva di conseguire dei successi decisivi e di mutare di segno la situazione politica complessiva della città. Questo dato è confortato anche dalla situazione esistente nella Provincia e nell’intera Regione, che vede presenti tendenze positive, processi nuovi di collaborazione tra le forze democratiche, nonché un rafforzamento delle posizioni del nostro Partito, anche nelle zone che sono state tradizionalmente più retrive e conservatrici.
Ciò è testimoniato anche dai risultati elettorali dello scorso anno, che hanno smentito tutte le ipotesi che prevedevano uno spostamento a destra della situazione e che hanno invece confermato la grande forza del movimento operaio, la solidità delle sue basi di massa.
Tuttavia anche a Milano si sono prodotti certamente dei fenomeni negativi, di sbandamento di alcuni strati sociali, di riflusso su una linea conservatrice, ed è altrettanto evidente che non possono dirsi sventati i pericoli di involuzione e di deterioramento, che sono continuamente alimentati da ben individuate forze politiche ed economiche.
Il dato saliente della situazione di Milano è pero nella presenza di fenomeni di segno diverso: nel rapporto unitario che si è mantenuto e per molti aspetti rafforzato, tra le forze democratiche, nella solidità dello schieramento antifascista, nella maturità democratica della grande maggioranza della popolazione, nel senso di equilibrio che ha saputo prevalere e che ha spuntato le armi della provocazione.
Ciò costituisce, nel quadro nazionale, un dato interessante e positivo che mette in rilievo i limiti e le contraddizioni dell’operazione di centro-destra, le cui basi reali nel paese sono ancora fragili e vulnerabili. Non è certo senza significato il fatto che le stesse correnti conservatrici della DC milanese, che sono maggioritarie nel Comitato Cittadino di quel partito, non si propongono, almeno per l’immediato, un ribaltamento della maggioranza di centro-sinistra che regge l’Amministrazione Comunale, non puntano cioè ad un allineamento di Milano rispetto agli equilibri nazionali, ma si limitano ad un’azione di pressione, alla minaccia della crisi, usata come mezzo di ricatto, ad una più aggressiva azione di contrattazione con i propri alleati, si propongono cioè l’obiettivo di un condizionamento del centro-sinistra in senso moderato, di una più spiccata funzione della DC al suo interno, senza voler forzare la situazione oltre un certo limite. Questo atteggiamento della DC milanese discende da una valutazione politica, che tiene conto della prospettiva ancora incerta che si profila a livello nazionale, della possibilità di un mutamento degli indirizzi di governo anche a tempi ravvicinati, e tiene conto inoltre dei rapporti politici esistenti a Milano, di quella situazione che abbiamo prima cercato di analizzare, che non consente di realizzare con facilità e senza rischio brusche sterzate a destra, e che consiglia piuttosto, anche alle forze politiche conservatrici, un atteggiamento di prudenza. Riteniamo false e devianti, quindi, quelle rappresentazioni della realtà milanese che tendono ad accreditare l’idea di una città ingovernabile, in preda alla violenza, soggetta ad una sorta di collasso delle sue strutture civili e democratiche. Ciò non corrisponde alla situazione reale, ed è interesse dei circoli reazionari diffondere questa immagine apocalittica, per potere, su questa base, sostenere la causa di una restaurazione autoritaria, che sarebbe appunto resa necessaria dallo sfaldamento degli istituti democratici, dall’assenza di altri strumenti validi di ordinamento della vita civile. In questa logica si collocava il famoso rapporto Mazza, e si colloca ora il rapporto del questore Allitto-Bonanno, e su questa linea ha operato con insistenza gran parte della stampa padronale, a Milano e in altre parti d’Italia. Particolarmente vergognoso è, in tutti questi casi, il tentativo di far ricadere sul movimento operaio le responsabilità delle stato di tensione esistente, ignorando la trama delle provocazioni fasciste e offrendo anzi a queste forze, che sono nella città isolate e condannate dalla coscienza civile, una copertura e un diritto di cittadinanza politica.
Dobbiamo dire, in modo esplicito, che un questore, come quello attuale, che dà una mano ai fascisti, che li aiuta nel loro sforzo ipocrita di presentarsi come una forza legale, e che contemporaneamente ha la sfrontatezza di sostenere, contro ogni evidenza, l’esistenza di legami organizzativi tra il nostro Partito e i gruppi estremisti, non è degno di ricoprire un così alto incarico e deve essere al più presto sostituito.
Questo richiamo alla vera realtà di Milano, certamente scossa da episodi gravi di provocazione, minacciata dall’azione oscura delle forze reazionarie, ma non per questo piegata e disgregata, vale anche per rispondere a quelle teorie che sostengono essere già in atto un processo generale di trasformazione in senso fascista delle strutture dello stato, tale da investire tutti gli apparati di governo e l’intero schieramento delle forze politiche governative, per cui, essendo in una fase di reazione trionfante, non resterebbe altra via che quella di una lotta disperata ed estrema. Guai se dovessimo accogliere queste semplificazioni grossolane e demagogiche. Ciò ci impedirebbe di comprendere i reali connotati delle varie forze politiche, gli elementi di differenziazione, in una parola la dinamica delle forze politiche in tutta la sua complessità. La demagogia è un’arma a doppio taglio, e si ritorce alla fine contro chi la usa. Così, coloro, che, ricorrendo ad una forzatura propagandistica, identificano la DC con il fascismo, e su questa base definiscono i loro atteggiamenti concreti, non dimostrano con ciò una maggiore intransigenza rivoluzionaria, ma solo la loro insipienza politica. Certo, una volta assunte queste premesse errate, è chiaro che ogni iniziativa unitaria con la DC o con altre forze di governo appare come un segno di tradimento, e tutta la nostra impostazione politica appare aberrante.
Di qui viene la necessita di un’azione di chiarimento incisiva e puntuale attorno a questi temi, di una vera e propria opera di “educazione politica”, per sgomberare il campo dalle facilonerie e dalle faziosità, per contrastare, sul terreno dell’analisi politica rigorosa, l’azione nefasta degli anticomunisti di professione.
Dobbiamo richiamarci, a questo proposito, al metodo dell’analisi differenziata che fu proprio del compagno Togliatti, sempre pronto a cogliere in una data situazione concreta tutti gli elementi di contraddizione su cui può far leva l’azione politica della classe operaia. Anche nel momento della più aperta dittatura fascista, Togliatti non rinuncia a questo metodo. Al V Congresso dell’Internazionale Comunista, nel 1924, egli cosi espone la posizione del Partito: «Noi affermiamo, per quel che concerne l’Italia, di aver adesso di fronte un nemico terribile, assai forte, che non possiamo pensare di poter abbattere in uno scontro frontale. Dobbiamo porci il problema di isolare questo nemico, di provocare il distacco da lui di tutti i suoi temporanei alleati, facendone per un periodo transitorio – magari per un solo momento, ma con qualche risultato politico – degli alleati della classe operaia, e di utilizzare tutte le fessure esistenti nell’insieme dei raggruppamenti borghesi e semi-borghesi, per favorire contemporaneamente il processo di disgregazione di questo blocco, di questo insieme, e lo sviluppo della classe operaia e contadina». E conclude dicendo che il partito comunista deve compiere, nello sviluppo della situazione politica italiana, una manovra politica, che questo è il compito fondamentale del Partito. Ebbene, è grazie a questa duttilità tattica, a questa intelligenza politica, che il nostro Partito ha potuto affermare la sua egemonia nella lotta contro il fascismo e conquistare alla fine la vittoria definitiva su di esso. Certamente non siamo disposti a tornare indietro, a ricadere nella fase dell’infantilismo. È questa una questione politica sostanziale, che non ammette transigenze e concessioni. Abbiamo di fronte a noi una situazione complessa, non facile, rischiosa: il nostro giudizio deve essere guidato da una analisi quanto mai rigorosa, non possiamo permetterci il lusso della superficialità, perché ogni errore, in questa situazione, lo si paga a duro prezzo. Più volte, in questi ultimi tempi si sono presentati al partito dei problemi concreti di comportamento politico di non facile soluzione.
Si trattava di prendere posizione attorno a iniziative politiche, promosse da altri raggruppamenti, che, pur essendo contrassegnate da una linea di opposizione al centro-destra, non corrispondevano alla nostra politica, in quanto rinunciavano in partenza ad un allargamento dello schieramento, non avevano cioè la forza di penetrare nelle contraddizioni del blocco dominante, di farle sviluppare, di rivolgerle in una direzione progressiva. Abbiamo scelto – ed è stato giusto – una linea di chiarezza, perché risultasse evidente la nostra posizione, non confusa con iniziative di segno diverso. I comunisti hanno una propria linea politica, e la intendono perseguire con coerenza.
Non è vero che si tratta di essere dovunque, di essere presenti ad ogni manifestazione. È questo un modo di pensare vicino all’opportunismo, che porrebbe il partito in una posizione debole e codista. Quando riteniamo non giuste, non efficaci, determinate iniziative, non possiamo avallarle con la nostra adesione, e questa è una regola di comportamento che deve valere per tutti i militanti, i quali non giudicano mai a titolo personale, ma dibattono nel Partito e operano secondo le decisioni del Partito.
Credo che questo metodo sia quello più adeguato per tenere alti il prestigio e l’autorità del nostro Partito: potranno esserci dissensi circa le nostre scelte, ma nessuno può accusarci: di doppiezza, di opportunismo, di tatticismo deteriore. È questa non è cosa di poco rilievo, è la condizione per essere una forza politica rispettata, anche quando avversata.
Le nostre organizzazioni hanno perfettamente inteso il valore di questa linea, hanno sentito questa esigenza di rigore, che anche il Comitato Centrale e la Commissione Centrale di Controllo hanno voluto sottolineare con particolare forza.
Dunque, la situazione milanese – è questo il nostro giudizio – è l’espressione di un equilibrio di forze instabile ed aperto. Proprio perciò è prevedibile che la politica della provocazione avrà nuovi sviluppi, che nuovi tentativi vi saranno per ottenere ciò che finora non è stato ottenuto, per conseguire cioè a Milano un risultato politico tale da aprire definitivamente la strada nel Paese alla restaurazione conservatrice. L’attivismo dei gruppi reazionari si dispiega in modo tenace ed insidioso: ne abbiamo avuto la prova anche nelle ultime settimane, che hanno conosciuto una nuova pagina dolorosa, quella dell’uccisione dello studente Franceschi, e che più in generale sono state contrassegnate da una nuova controffensiva di destra, nel campo della scuola e dell’Università anzitutto. Ne è una prova ancor più indicativa l’atteggiamento di intransigenza del padronato nel corso delle vertenze contrattuali, di quella dei metalmeccanici in primo luogo: lo scontro sociale ha ormai acquistato un grado di tensione e di durezza eccezionali ed è evidente che questa linea dura del padronato ha la sua ragione non solo nell’immediato interesse economico, ma anche e soprattutto nell’esigenza di fare un nuovo passo sulla via dello spostamento a destra, di favorire l’operazione politica avviatasi con il governo Andreotti.
Questo attivismo reazionario si presenta come un fatto grave ed insidioso, sia per lo schieramento di classe che lo sostiene, sia per la copertura che riesce a ottenere, e in qualche caso anche la complicità, da parte di settori importanti degli apparati dello Stato, che spesso hanno una loro funzione autonoma, indipendente dalle stesse decisioni del governo, e ciò avviene data la loro natura di corpi burocratici, sottratti a qualsiasi controllo democratico, che si sono formati secondo criteri antipopolari e che sono largamente impregnati della ideologia reazionaria.
A Milano abbiamo avuto molteplici dimostrazioni di questo stato di cose, e non occorre qui enumerarle, trattandosi di fatti conosciuti che abbiamo con chiarezza denunciato di fronte all’intera opinione pubblica milanese.
La gravità della situazione quindi ci è ben presente, sappiamo che la strategia della tensione non è stata arrestata, che nuove prove dovremo superare, nuove importanti battaglie democratiche dovremo combattere, tra le quali spicca già fin d’ora quella per affossare la vergognosa proposta sul “fermo di polizia”, questo sfrontato biglietto da visita con cui si è voluto presentare il governo Andreotti.
D’altra parte però, sappiamo che questo è soltanto un lato della realtà, che Milano è anche la città dove è presente un movimento operaio forte, maturo, organizzato e dove l’unità democratica e antifascista non e stata scalfita, ma continua ad essere un patrimonio di coscienza civile vitale e fecondo, capace di dare coesione ed efficacia all’iniziativa di tutte le forze popolari e democratiche.
Da qui, da questo giudizio sulla situazione milanese, possiamo trarre delle valutazioni politiche di ordine generale. Se è vero, come noi riteniamo, che l’operazione di centro-destra non si è ancora consolidata ed affermata, che le sue basi sono precarie, che esiste nel paese una larga disponibilità democratica, che all’interno della stessa maggioranza di governo esistono conflitti, incertezze, posizioni differenziate, allora la nostra linea politica deve tenere conto di ciò, e deve svilupparsi in modo articolato e multiforme, così da avviare un processo politico di tipo nuovo, che a tempi brevi conduca al fallimento del tentativo conservatore oggi in atto.
La situazione interna alla Democrazia Cristiana riflette in modo significativo questo stato di cose. Infatti, non solo continua ad essere esplicita la posizione di dissenso delle correnti di sinistra – e già questo rappresenta per la DC un problema che non può essere eluso, in quanto viene messa a repentaglio la sua fisionomia di grande partito popolare -, ma anche in altri settori del partito si viene delineando una linea ancora sfumata che tende a preparare nuovi indirizzi politici.
La DC, consapevole della complessità della situazione e dei rischi cui è esposta la politica impopolare del centro-destra, non vuole identificare completamente le proprie sorti con le sorti di questo governo, e tende a tenersi aperta una possibile via di uscita, pur continuando per ora ad assicurare al governo tutto il suo appoggio.
Per queste ragioni la nostra opposizione, che è assolutamente chiara e inequivoca, non può configurarsi, se vuole essere efficace, come una lotta frontale di lunga durata, che opponga le forze dell’opposizione all’intero blocco dei partiti di governo. Non possiamo dimenticare, infatti, la debolezza politica del governo, i suoi margini di manovra ristretti, come è stato clamorosamente confermato anche dalla recente votazione sui fitti agrari. Vi è cioè uno scompenso tra l’atteggiamento di tracotanza del governo Andreotti e la sua reale condizione di debolezza.
L’ipotesi di lotta frontale presuppone invece l’idea che gli schieramenti attuali siano definiti, non modificabili a tempo breve, per cui si tratterebbe soltanto di condurre una lotta di opposizione più decisa, più sistematica. Una tale impostazione finisce per contribuire, in definitiva, a stabilizzare la situazione, a cristallizzarla, a rinsaldare gli attuali schieramenti politici, e per questo la giudichiamo profondamente sbagliata.
È questo un rischio da tener presente, in quanto può esserci, in alcuni settori della classe operaia e soprattutto tra i ceti intellettuali, una tendenza spontanea in questa direzione, che viene poi ad essere alimentata dalla propaganda dei vari gruppi estremisti. Ciò può avere un’influenza anche all’interno del Partito Socialista, in alcuni suoi settori, nei quali si può ripresentare il segno della vecchia tradizione massimalistica. Spetta dunque al nostro Partito una grande responsabilità, in quanto grande forza di opposizione e di classe: la responsabilità di indirizzare secondo una linea giusta ed efficace la lotta contro il governo, di impegnare su questa linea tutto lo schieramento popolare, di chiarire davanti alle grandi masse i termini reali dello scontro e le scelte tattiche e politiche oggi necessarie.
Le esperienze fatte dal nostro Partito a Milano vanno analizzate in questa luce, e meritano qualche parola di chiarimento. L’asse fondamentale della nostra iniziativa è nell’obiettivo della costruzione di nuovi rapporti politici, che mettano in moto un processo di segno opposto rispetto al centro-destra, e che quindi concorrano attivamente ai preparare uno sbocco politico, una alternativa di governo. Anzitutto, questi rapporti politici si sono avviati sul terreno della iniziativa antifascista. Questo problema alla legalità democratica e antifascista è, come hanno sottolineato i nostri organismi dirigenti, la questione centrale per un’inversione di tendenza. L’azione del “Comitato antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano” ha avuto una parte centrale nella vita politica milanese, e certamente l’importanza di questa azione dipende in modo diretto dall’ampiezza dello schieramento politico, dalla presenza di tutte le grandi forze politiche cittadine, il che ha significato un motivo di fiducia nella possibilità di condurre con successo la lotta antifascista, e un ostacolo serio alla azione dei gruppi reazionari. Non sono certo mancate le difficoltà, ma abbiamo saputo di volta in volta superarle con un’intelligente condotta politica, mettendo l’accento sui temi di fondo dell’antifascismo e della difesa della Costituzione. Questa esperienza deve allargarsi, estendersi nei quartieri della città, rilanciando la funzione dei comitati antifascisti e facendo di essi un punto d’incontro di tutte le forze politiche democratiche. Deve essere, senza esitazioni, respinta la posizione di coloro che tendono a snaturare i Comitati antifascisti, a restringerne lo schieramento unitario, a respingere la collaborazione della DC e delle altre forze di governo, non comprendendo che è proprio attraverso questa politica unitaria che vengono messe in crisi le condizioni politiche su cui si regge il centro-destra. Ed occorre, soprattutto, ridare slancio all’iniziativa antifascista, affrontando da un lato le questioni più immediate, esercitando una pressione sulle pubbliche autorità perché si realizzi finalmente una politica dell’ordine pubblico che stronchi le provocazioni fasciste, perché si ponga fine una volta per tutte allo scandalo vergognoso di S. Babila, perché i provocatori fascisti non godano più dell’impunità, ma vengano severamente puniti secondo la legge. Ed occorre promuovere, attraverso gli organismi unitari, iniziative e manifestazioni che realizzino una crescente partecipazione, che mobilitino nuove forze, nella convinzione che la democrazia vive se diviene sempre più un fatto di massa, una coscienza collettiva, se si ha la forza di coinvolgere anche strati ora passivi, di smuovere gli atteggiamenti di inerzia e di indifferenza.
L’antifascismo deve essere la causa di tutto il popolo, e quanto più sarà forte questa coscienza unitaria, tanto più rapidamente potranno essere respinte e battute le manovre oscure della reazione e la vita politica del nostro paese potrà avviarsi su una via di rinnovamento.
Dobbiamo pertanto sostenere con molta forza quelle iniziative che si propongono di sconfiggere le manovre fasciste sul terreno dell’azione di massa e della mobilitazione unitaria: particolarmente importante è, in questo senso, la petizione popolare per un’inchiesta parlamentare sul neofascismo e per lo scioglimento delle organizzazioni paramilitari fasciste. E dobbiamo fin d’ora prepararci a fare delle celebrazioni del 25 Aprile un momento eccezionale dell’iniziativa antifascista, considerando che questo è l’anno in cui ricorre il trentesimo anniversario della caduta dei fascismo e dell’inizio della guerra partigiana. In questo quadro, dobbiamo anche prestare molta attenzione alla situazione esistente negli apparati dello Stato, porre con molta forza l’esigenza di una loro trasformazione democratica, incoraggiare tutte le forze che dall’interno sono disponibili per un’azione di questo tipo, evitando di favorire, con atteggiamenti sbagliati e settari, una linea di tendenza che conduca a creare un fossato incolmabile tra le forze della democrazia e i corpi burocratici dello Stato. Per avanzare sulla via democratica al socialismo, la condizione necessaria è che la Costituzione antifascista sia pienamente realizzata e che tutta la vita dello Stato sia conforme ai suoi principi.
La situazione esistente nelle forze di polizia, negli alti gradi dell’esercito, nella burocrazia statale e nella magistratura, lo spirito conservatore e reazionario che in generale caratterizza queste istituzioni, ciò costituisce un nodo politico decisivo, che dobbiamo affrontare con più impegno, seguendo anche in questo campo la linea dell’iniziativa unitaria e della costruzione di nuovi rapporti. La convergenza tra le forze politiche si è sviluppata con nuova ampiezza anche sui temi della politica internazionale.
La causa di pace e di indipendenza del popolo del Vietnam, per la quale il movimento operaio italiano e milanese ha lavorato con tanto impegno nel corso di tutti questi anni, ha potuto ottenere, in questa ultima fase decisiva, il sostegno di un arco di forze assai largo, e a Milano in particolare questa unità qualitativamente nuova, ha avuto un significato politico eccezionale.
All’Arco della Pace si sono ritrovate insieme tutte le forze politiche democratiche, le tre Confederazioni Sindacali e vi è stata anche – fatto nuovo e significativo – l’adesione morale dell’Arcivescovo di Milano. E a questa ampiezza dello schieramento unitario ha corrisposto anche una effettiva partecipazione di massa, nelle iniziative centrali e nelle numerosissime iniziative di quartiere.
Noi sottolineiamo il grande valore di queste esperienze, di cui siamo stati i principali animatori, e siamo convinti di avere nel modo più giusto interpretato le indicazioni dei dirigenti vietnamiti, i quali sempre hanno saputo congiungere la fermezza dei principi e l’estrema decisione della lotta all’azione di unità e di solidarietà internazionale, e che hanno più volte espresso, nei confronti della nostra azione, un apprezzamento che ci onora e che ci stimola ad intensificare la nostra battaglia internazionalista. Si apre ora, dopo la firma dell’accordo di pace per il Vietnam, cui ha fatto seguito anche l’accordo nel Laos, una nuova fase politica, che è stata ampiamente analizzata dal nostro Comitato Centrale, ai cui lavori e alle cui conclusioni io credo che possiamo far riferimento, senza trattarne qui in maniera diffusa. Vorrei soltanto sottolineare l’esigenza che il Partito sappia proseguire, con le altre forze democratiche, il confronto e la ricerca di convergenze, sia in relazione alla situazione nuova apertasi nel Vietnam, la quale richiede una ferma vigilanza perché gli accordi siano integralmente rispettati, sia in relazione all’attuale situazione europea, aperta a nuovi sviluppi interessanti.
Il Comitato Centrale dei Partito ha sottolineato con forza e con accenti nuovi il problema dell’Europa, prendendo atto delle nuove posizioni che si sono venute manifestando, dei risultati già conseguiti sulla linea della distensione e della sicurezza e indicando la prospettiva di «una Europa occidentale che sia democratica, indipendente e pacifica: non sia né antisovietica né antiamericana, ma al contrario, si proponga di assolvere una funzione di amicizia e di cooperazione con l’America e con l’Unione Sovietica, tra esse, con i paesi sottosviluppati e con tutti i paesi del mondo: nella linea e nella prospettiva della pacifica coesistenza e collaborazione.»
È questa una proposta politica che consente un confronto costruttivo delle posizioni, una ricerca comune attorno ai temi della sicurezza europea, del processo di distensione, di una nuova collocazione internazionale dell’Europa nel cui quadro si apra anche per l’Italia la possibilità di una iniziativa rinnovata, autonoma e positiva. I tempi sono maturi per una nostra iniziativa efficace, non solo propagandistica, essendo numerose le forze che cercano di liberarsi dalla logica dei blocchi contrapposti, di porre in modo nuovo il problema delle relazioni con il campo socialista, di dare a tutta la politica estera del nostro paese un indirizzo nuovo, autonomo, aperto ad accogliere tutti gli elementi di novità presenti nella situazione internazionale.
Anche su questo terreno occorre dare battaglia, contrastare la linea di servilismo del governo Andreotti, lavorare per una prospettiva di rinnovamento. A Milano vi sono in questo senso possibilità che dobbiamo pienamente utilizzare.
Vi sono rapporti già abbastanza estesi con altre importanti città europee, sia del mondo capitalista che di quello socialista, vi sono relazioni di carattere economico, politico, sindacale. Vi sono inoltre numerose organizzazioni di amicizia e solidarietà internazionale, che possono avere un ulteriore sviluppo. Possiamo quindi intervenire con una nostra iniziativa più organica e continuativa perché sempre più Milano, anche nell’interesse dei proprio sviluppo economico, abbia una funzione di primo piano nell’allargamento dei rapporti internazionali, nell’opera di distensione e di collaborazione reciproca. Dirò più avanti dell’impegno internazionalista del partito, essendo ora necessario non perdere di vista la questione di cui ci stiamo occupando, quella dei rapporti unitari tra le forze politiche milanesi. Questi rapporti sono il: risultato di una nostra tenace iniziativa, che ancora però ha un carattere troppo ristretto in quanto si è sviluppata in modo prevalente a livello provinciale e solo in una misura limitata ha impegnato seriamente anche le nostre organizzazioni di base.
Dobbiamo compiere, in questo senso, un deciso salto di qualità, mettendo in grado tutto il Partito di contribuire attivamente all’allargamento dei nostri rapporti politici, stimolando le iniziative unitarie e dando in questo senso indicazioni di lavoro più precise e concrete. Già la situazione oggi è notevolmente più avanzata, c’è una attenzione maggiore, ci sono anche esperienze importanti nei Consigli di zona, nei comitati di quartiere, nei comitati antifascisti.
Per ottenere da tutto il partito un deciso impulso nella nostra iniziativa verso le altre forze politiche, è necessario porre con estrema chiarezza una questione di ordine teorico, che e stata più volte nella storia del movimento operaio motivo di discussione e di contrasti: si tratta del problema del rapporto tra le forze politiche e le forze sociali.
Nei momenti di difficoltà e di isolamento tende a manifestarsi la pericolosa illusione che, indipendentemente dai rapporti politici sia possibile realizzare alla base, al livello della realtà sociale immediata, un’unità popolare di tipo nuovo, che non ha bisogno di mediazioni politiche. Ecco allora sorgere il culto del momento “sociale” contrapposto al momento “politico”, della spontaneità, della iniziativa di base. Ciò è un errore in linea teorica innanzitutto, essendo la coscienza di classe, come ci ha insegnato Lenin, non un prodotto spontaneo della condizione di sfruttamento ma il risultato di una azione esterna, che solo il partito politico può realizzare. Ed è un errore inoltre di ordine storico, in quanto la situazione italiana non può essere intesa indipendentemente dalla presenza delle forze politiche, le quali agiscono, direttamente o attraverso organizzazioni loro collegate, come momento concreto di organizzazione della coscienza collettiva, di espressione e rielaborazione degli interessi di classe.
Ed è questo un dato di grande valore positivo, perché solo così vive una democrazia reale e solo attraverso le mediazioni politiche la classe operaia può affermarsi come una classe dirigente e può costruire la sua egemonia sulla intera società nazionale. Là dove manca questa dimensione politica, questa capacità di rapportare i propri interessi immediati a quelli generali, di inquadrarli entro una concezione dello Stato, non vi è certo una spontaneità incorrotta e tendenzialmente rivoluzionaria, ma vi è, per usare un’espressione di Gramsci, «l’apoliticismo animalesco», l’individualismo gretto che si oppone per sua natura a qualsiasi azione politica organizzata. Il rapporto con le forze politiche, e con gli altri organismi che comunque esprimono una concezione politica, è quindi il tramite necessario per realizzare una politica di alleanze anche sul terreno sociale, la quale altrimenti resterebbe parola vuota, obiettivo astratto e illusorio. D’altra parte, la stessa esperienza concreta ci dimostra la giustezza di questi principi, ci dimostra che l’ostacolo maggiore alla nostra iniziativa è l’indifferenza politica, il qualunquismo, l’incapacità di guardare al di là dei propri interessi immediati. Noi dobbiamo quindi, realisticamente, considerare e analizzare i rapporti di forza esistenti tra le forze politiche, giudicarli come espressione significativa degli orientamenti delle varie classi sociali, e dare quindi battaglia sul terreno politico, sia per realizzare quelle convergenze che si presentano possibili, sia per modificare a nostro vantaggio i rapporti di forza esistenti.
Nella situazione della città di Milano la configurazione delle forze politiche è particolarmente complessa ed è da segnalare, accanto alle tre grandi componenti storiche che contraddistinguono il nostro paese (la comunista, la socialista e la cattolica) l’esistenza di un’area di “democrazia laica”, che è l’espressione di ceti tipicamente urbani, e che concorre in misura considerevole a definire l’equilibrio complessivo della città.
Sarebbe un errore trascurare questo fenomeno e rinunciare ad una nostra iniziativa anche in questa direzione. Più in generale, noi ci proponiamo di avere un confronto politico con tutte le forze dell’arco costituzionale, e di rendere chiara la discriminante fondamentale che passa tra l’antifascismo e il fascismo. Non a caso si è tentato da parte dei gruppi reazionari di far cadere questa discriminante, di restituire al neo-fascismo quel diritto di cittadinanza politica che ha storicamente perduto. Le iniziative del “comitato cittadino anticomunista”, le manifestazioni della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, erano appunto un tentativo in questo senso cui si sono vergognosamente prestati alcuni esponenti dei mondo politico milanese, rivelando cosi la loro natura di fascisti camuffati. Ma questo manovre sono state smascherate, ed il partito neofascista è rimasto nel suo isolamento politico e morale.
Un esempio importante del rapporto tra i partiti dell’arco costituzionale è dato dall’esperienza del comitato per l’Università, che ha saputo intervenire in una situazione quanto mai difficile e prospettare una linea giusta, fondata sulla organizzazione di una reale vita democratica e sulla risoluzione dei problemi strutturali dell’Università. Il nodo politico dell’Universalità è, a Milano, uno dei più importanti e urgenti. Siamo giunti ormai ad una situazione intollerabile: l’invecchiamento cronico delle strutture universitarie, il loro mancato adeguamento, hanno condotto la situazione ad un punto di crisi gravissima, per cui l’Università non assolve più in modo adeguato alla sua funzione di organizzazione degli Studi scientifici e rischia di andare incontro ad uno svilimento pericoloso dei suo ruolo nella società, che potrebbe favorire un rilancio anche in questo settore dell’iniziativa privata.
D’altra parte a questa crisi la classe dirigente e le autorità accademiche fanno fronte attuando una politica di restaurazione autoritaria, che non fa che esasperare i problemi ed i contrasti. I risultati sono davanti agli occhi di tutti: la chiusura della Bocconi, la anormale situazione della facoltà di Architettura, i problemi irrisolti dei corsi serali e della facoltà di scienze politiche, la gestione commissariale dell’Opera Universitaria, il presidio della polizia davanti alle Università, il disagio crescente in cui si trovano ad operare studenti e docenti, la sospensione arbitraria dei diritti politici, i mandati di cattura che hanno colpito alcuni dirigenti del Movimento Studentesco.
Che tutte le forze politiche abbiano sentito concordemente la necessità di affrontare, in modo nuovo e organico, i problemi dell’Università, che abbiano dato vita ad un comitato permanente per affrontare questi problemi, è questo un fatto di grande importanza, che sarebbe sciocco sottovalutare.
Alle critiche astiose che sono venute dal Movimento Studentesco e da altri gruppi abbiamo già risposto pubblicamente, e non ci sembra che meritino una più ampia considerazione. Queste critiche infatti si rivolgono, prima ancora che alle proposte del comitato, alla sua stessa esistenza, al fatto che le forze politiche intendono intervenire nella vita universitaria. Si tratta quindi, chiaramente di una posizione corporativa inaccettabile, della volontà di difendere una sorta di monopolio costituito. Si rifiuta in partenza ogni idea di organizzazione della vita democratica entro l’Università, volendo difendere lo stato di cose anormale oggi esistente, che consente al Movimento Studentesco di presentarsi come l’unica espressione degli studenti e di occupare da solo tutti gli spazi democratici esistenti.
L’andamento dell’assemblea pubblica di venerdì scorso ha messo in evidenza questa situazione e, pur essendo stata indubbiamente un’iniziativa giusta e importante, ha dimostrato anche la difficoltà della nostra battaglia politica, a causa dei guasti che sono stati provocati nella comunità universitaria dall’azione del Movimento Studentesco, dai suoi metodi di prevaricazione e di intolleranza, dalla sua faziosità meschina, dalla sua demagogia inconcludente.
Ma noi siamo convinti – e l’assemblea alla Statale ce lo ha confermato – della necessità di non interrompere il confronto politico che è stato avviato e di procedere in avanti con decisione per creare nell’Università una situazione radicalmente nuova, per avere a Milano un’Università che sia degna di questo nome, che funzioni, che sia un centro di cultura ad alto livello, e per realizzare al suo interno una ricca e multiforme vita democratica, un confronto serio sul terreno politico e culturale.
Queste esigenze sono avvertite con forza da gruppi consistenti di insegnanti e di studenti, che sono avviliti dallo stato di cose attuale, e che ancora non hanno trovato gli strumenti di iniziativa e di organizzazione per impostare una battaglia politica di tipo nuovo all’interno dell’Università.
Se non si risolve questo problema si rischia di provocare uno sbandamento pericoloso, un riflusso su posizioni conservatrici. Occorre dunque lavorare rapidamente per colmare questo vuoto, e la nostra proposta è quella di organizzare, in accordo con altre forze, un’associazione democratica degli studenti, che sia impegnata nella lotta per la riforma dell’Università, che sia un fattore attivo di un processo di rinnovamento, che si basi su una piattaforma politica ed ideale chiara, democratica e antifascista, che sia impegnata anche a combattere contro le posizioni estremiste e avventuristiche.
Questa associazione democratica potrà essere il punto di partenza di una più generale ristrutturazione dei movimento degli studenti, che noi pensiamo debba organizzarsi come un movimento unitario e di massa, rappresentativo di tutti gli studenti, aperto a una pluralità di espressioni politiche ed ideali.
Si tratta di una scelta impegnativa, da discutere e precisare, si tratta di iniziare una battaglia che dovremo condurre avanti con estrema fermezza, che ci impegnerà in uno scontro politico duro Per questo occorre fin d’ora il massimo di chiarezza, sapendo che non è possibile tergiversare o rimanere in una posizione di incertezza, e che non possiamo contare su un processo di automaturazione dall’attuale Movimento Studentesco, il quale invece si muove nel senso opposto e si avvia, se non intervengono svolte improvvise, ad essere soltanto uno dei tanti gruppi estremisti con una base tra gli studenti.
La nostra linea politica ha bisogno, per potersi realizzare con efficacia, di avere all’interno dell’Università dei punti di appoggio reali: altrimenti la stessa iniziativa del comitato interpartitico rischia di esaurirsi senza risultati rilevanti. Dobbiamo condurre una lotta su due fronti, contro l’autoritarismo reazionario del governo e di certe autorità accademiche, contro gli atti di repressione, e contro l’infantilismo di sinistra dei vari gruppi estremisti, e ciò richiede, perché questa battaglia possa essere vinta, una organizzazione capace di condurla con metodo, con decisione, con chiarezza di obiettivi.
Vogliamo ricordare, a chi crede di vedere nell’estremismo studentesco, cosi come si e venuto configurando, un alleato prezioso della classe operaia, la spietata ironia con cui Antonio Labriola, un nostro maestro troppo spesso dimenticato, metteva in ridicolo coloro che pensavano, nell’Università, di scatenare una specie di lotta di classe. Egli immagina l’ipotesi di «un professore, diciamolo pure, socialista, il quale scambiando gli strumenti dei nostri gabinetti con le macchine delle officine, gli studenti con gli operai delle fabbriche, le lotte per gli esami con quelle dei proletari per il diritto di sciopero e di coalizione e per la giornata di otto ore, le vacanze universitarie con la festa del 1° maggio, e scambiando addirittura la convivenza temporanea degli studenti con la vita di una classe di oppressi e di sfruttati, sì mettesse qui, proprio qui, nella Università, a rappresentare il primo atto di una rivoluzione sociale in melodramma. Io, per la mia parte, codesti professori inverosimili, che non ci furon mai al mondo, e che, per il decoro del senso comune, non ci saranno, spero, mai, io li affiderei senz’altro alle oneste cure del direttore del manicomio, perché sopra di loro nessun diritto disciplinare o penale avrebbe più presa».
Certo, oggi – non lo dimentichiamo – l’Università è cosa diversa da quello che era ai tempi del Labriola, è diventata un’Università di massa, entro cui si riflettono nuove contraddizioni, e la stessa esplosione del movimento degli studenti nasce da condizioni reali, oggettive, che non dobbiamo ignorare.
E tuttavia, pur nella diversità evidente delle situazioni, mi pare che questa pagina di satira merita di essere ricordata non solo come un’efficace testimonianza del passato, ma anche per una sua certa attualità, in quanto essa si può adattare anche a certi «strateghi rivoluzionari» di oggi, i quali dimenticano la proporzione reale delle cose.
Le considerazioni che abbiamo svolto per l’Università valgono anche, in larga misura, per la situazione generale della scuola a Milano. Si richiede anche qui un intervento delle forze politiche, un impegno effettivo dell’ente locale per risolvere i gravissimi problemi strutturali della scuola, un’azione che sia volta a garantire tutti i diritti democratici e ad assicurare un funzionamento ordinato dell’attività scolastica, una lotta unitaria di rinnovamento che isoli le forze reazionarie, che allontani la polizia dalle scuole, che faccia cessare l’attuale stato di caos e di arbitrio.
I problemi della scuola e della Università a Milano ci impongono un’attenta riflessione. L’offensiva reazionaria si è sviluppata in questo campo con particolare virulenza ed ha potuto ottenere alcuni risultati. Ora noi dobbiamo domandarci per quali ragioni il mondo della scuola è stato maggiormente esposto a questa offensiva, quali sono gli elementi di debolezza del movimento democratico che hanno reso possibile questa situazione. Vi è dunque la necessità di una analisi critica delle esperienze fatte dal movimento nella scuola, delle forme di lotta, degli obiettivi, delle impostazioni politiche e culturali. Dobbiamo ancora fare i conti, criticamente, con tutto il patrimonio della «contestazione» del ‘68, che, se ha avuto il merito di mettere in chiaro la crisi di fondo delle strutture scolastiche, non ha però saputo esercitare una funzione costruttiva, e ha diffuso atteggiamenti astrattamente libertari, negativi, che hanno dato al movimento un’impronta particolare, che non ha favorito il suo legame con l’insieme del movimento operaio e popolare. È cioè prevalsa una matrice ideale piccoloborghese, da cui derivano le degenerazioni dell’estremismo, da cui derivano i fenomeni di disgregazione del movimento, incapace di organizzarsi come reale movimento di massa. Il movimento operaio non può, nelle attuali condizioni, limitarsi ad una azione esterna di fiancheggiamento, ma deve cercare di esercitare una sua influenza diretta, di operare una correzione degli errori, di intervenire con tutta la sua forza per impostare nella scuola una lotta di riforma che sia corrispondente agli interessi delle grandi masse e che abbia prospettive reali di successo. Da questa considerazione autocritica dobbiamo prendere le mosse per definire il nostro atteggiamento, in relazione anche ad alcuni problemi di attualità.
È appunto perché consideriamo oggi essenziale la costruzione di un rapporto tra studenti e docenti tra studenti e lavoratori, tra tutte le forze cioè che devono essere interessate alla lotta per la riforma della scuola, per questo abbiamo scelto di dare tutto il nostro appoggio alle giornate di lotta del 23 e dei 27 di questo mese, che realizzano queste condizioni, mentre abbiamo giudicato negativamente lo sciopero studentesco del 21, che nasceva sulla base di un’impostazione chiusa, settaria, incapace di creare nella città e nel paese una solidarietà popolare più larga.
La condizione necessaria perché il movimento operaio conquisti questa egemonia e perché sia sbarrata la strada alle provocazioni reazionare è che si conduca una lotta a fondo contro i gruppi estremisti, la cui azione infatti costituisce un aiuto prezioso per i nemici della classe operaia e della democrazia. Vogliamo sottolineare quanto è stato detto in proposito dal compagno Berlinguer nella ultima riunione del CC: «la situazione italiana è tale che i gesti di provocazione anche di piccoli gruppi possono arrecare grave danno alle lotte operaie e popolari e alla causa della democrazia, e dare aiuto ai reazionari, ai fascisti e al governo attuale. Non è quindi ammissibile tolleranza alcuna verso le parole d’ordine e gli atti sconsiderati e provocatori dei gruppi estremisti cosiddetti di sinistra. Non basta limitarsi a rendere evidente a tutti la nostra dissociazione. Occorre isolare nel giudizio dei popolo e dei giovani i responsabili degli episodi di provocazione, operando perché apertamente si esprima la condanna delle masse.» Ciò vale in modo particolare per la situazione milanese, che ha conosciuto momenti gravi di tensione e di provocazione, che ha più volte messo in evidenza l’intreccio pericoloso, e certamente non casuale, dell’avventurismo di sinistra e della provocazione reazionaria. Dobbiamo impegnare quindi tutto il partito ad attuare in modo conseguente le indicazioni del CC, ad intensificare la lotta politica contro l’estremismo e l’avventurismo, ad isolare i gruppi estremisti – tra i quali ormai si colloca anche il Movimento Studentesco -, a portare in mezzo alla gioventù le nostre posizioni per conquistare alla causa della lotta di classe e democratica la grande maggioranza dei giovani che vogliono seriamente contribuire con la loro azione al progresso della società italiana. Dobbiamo anche – mi sia consentito dirlo – riacquistare appieno il gusto della polemica, di cui troviamo nei nostri classici esempi di impareggiabile efficacia.
Non è compito dei partito quello di insegnare le buone maniere, e nei confronti di chi usa ogni mezzo per screditare il nostro partito dobbiamo tutti sentirci impegnati in una lotta senza quartiere.
D’altra parte i giovani non sentono bisogno di paternalismo, ma richiedono invece chiarezza delle posizioni politiche.
La FGCI ha, in questa lotta politica, un ruolo di primo piano e deve avere tutto il sostegno del partito: ogni sezione deve considerare come suo obiettivo essenziale, come suo dovere politico, la creazione di una forte organizzazione giovanile.
Il prestigio del partito è cresciuto nei paese, attorno alle nostre posizioni c’è interesse e attenzione, il nostro ruolo di grande forza di avanguardia della classe operaria appare sempre più essenziale per il rinnovamento democratico dell’Italia. Dobbiamo quindi con grande fiducia lavorare per la conquista delle nuove generazioni, nella chiarezza delle nostre posizioni politiche, e guardando alle grandi masse giovanili operaie e studentesche, ai loro problemi reali, alle loro aspirazioni di progresso e di civiltà.
I problemi di Milano sono, come s`è visto, problemi gravi, acuti.
Noi abbiamo lavorato per rendere possibile un’azione comune delle forze politiche, essendo questa la condizione perché siano avviati a soluzione ì problemi della città.
Abbiamo ottenuto su questa linea alcuni risultati, abbiamo instaurato nuovi rapporti di collaborazione, con il PSI innanzitutto, ma anche con gli altri partiti democratici.
Ma ciò non è sufficiente, perché occorre che queste esperienze unitarie possano organicamente inquadrarsi in un nuovo assetto politico.
A Milano, e nella Regione, esiste tuttora una maggioranza di centro sinistra, il che fa sorgere un divario politico tra la situazione milanese e quella nazionale. Questa situazione è pero tutt’altro che soddisfacente: il centro-sinistra è ormai svuotato di ogni seria capacità riformatrice, sopravvive stancamente in una situazione di paralisi e di inefficienza. Per riuscire ad arginare la linea della svolta a destra, non può dunque bastare la difesa del centro-sinistra, la quale anzi rischia di deteriorare la situazione, di aprire il varco all’offensiva conservatrice, così come è avvenuto anche su scala nazionale.
Più volte abbiamo messo in luce la debolezza e le contraddizioni della politica di centro-sinistra, il carattere confuso del suo programma, la sua incapacità di porre mano ad una reale politica di riforme. Non occorre quindi insistere su questo punto. Noi dunque diciamo alle forze che vogliono contrastare l’involuzione conservatrice, che vogliono far avanzare la vita democratica, che non devono rimanere in attesa di tempi migliori, che non devono accontentarsi del meno poggio, perché questa è una politica rischiosa e senza prospettive. Occorre invece fin d’ora lavorare per nuovi sbocchi politici, per consolidare l’unità delle forze democratiche, per dare a tutta la vita politica milanese un assetto nuovo, avanzato, corrispondente alla gravità dei problemi che si debbono affrontare.
Ciò che è decisivo è il rapporto con il movimento operaio, con tutto il movimento operaio, nella pluralità delle sue espressioni politiche e sindacali. In un momento in cui la democrazia è in pericolo, l’apporto unitario di tutto il movimento operaio è indispensabile, e chi elude questa esigenza si assume delle gravi responsabilità. Ciò non significa che l’unico passo in avanti possibile sia dato dalla formazione di una maggioranza che includa direttamente anche il nostro Partito. Ma, certo, è necessario che con il PCI si stabilisca un rapporto di tipo nuovo, che siano definitivamente fatte cadere le pregiudiziali anticomuniste, che vi sia la disponibilità ad un incontro costruttivo, che anche sul piano del governo della cosa pubblica si instaurino quei nuovi rapporti politici che su altri terreni hanno potuto proficuamente svilupparsi.
La situazione del Comune di Milano, invece, continua ad essere paralizzata da estenuanti verifiche, da faticose trattative, che umiliano la funzione del Consiglio Comunale, e che lasciano incancrenire i problemi della città senza dare una risposta positiva alle precise rivendicazioni che vengono avanzate dai consigli di zona e dalle organizzazioni di quartiere. Non ci soffermiamo qui sui numerosi problemi che interessano la città, e che sono il portato storico di uno sviluppo distorto, lascialo all’arbitrio delle forze economiche dominanti. Il tessuto civile della città è già stato profondamente sconvolto, in alcuni casi in modo irreparabile, e ciò è avvenuto nell’inerzia più completa dei pubblici poteri. Ora la città ha preso coscienza ed esige che si amministri in modo diverso, che i cittadini abbiano la possibilità di decidere e di controllare, che lo sviluppo futuro di Milano sia guidato secondo l’interesse pubblico e secondo un metodo democratico.
Nei corso di questi ultimi anni, questa coscienza, questa vigilanza democratica, si sono grandemente accresciute, sono sorti movimenti su tutto il territorio della città, si sono combattute battaglie importanti, spesso anche vittoriose. Noi quindi poniamo innanzitutto un problema politico, che riguarda il modo di governare. Non si vincono le resistenze dei gruppi economici dominanti, non si arresta quella linea di sviluppo che conduce la città ad essere definitivamente deturpata, se non si fa appello alla partecipazione popolare, se non si costruisce una rete efficiente di strumenti democratici. La questione dei consigli di zona assume quindi il significato di un banco di prova decisivo. Finora l’atteggiamento dell’amministrazione comunale è stato deludente, caratterizzato da una sorta di diffidenza nei confronti dell’attività degli organi del decentramento, cui non sono stati attribuiti poteri reali e che hanno visto ostacolata e frenata la loro iniziativa. Occorre invece procedere nella direzione opposta, realizzando con coraggio una politica avanzata di decentramento democratico, considerando i consigli di zona non solo come i veicoli di una generica «partecipazione», ma come gli strumenti di una nuova articolazione del potere. E, più in generale, occorre seguire in modo sistematico il metodo di un confronto permanente colle organizzazioni sociali e democratiche, facendo sì che l’attività amministrativa sia veramente una «cosa pubblica», l’espressione di una volontà collettiva. Già questo sarebbe un passo in avanti sensibile verso il superamento dei limiti entro cui è rimasta soffocala la politica del centrosinistra.
Noi ci faremo promotori di una battaglia politica su questi temi, cercando di dare un indirizzo comune ed obiettivi precisi ai movimenti che agiscono nella città e di sviluppare una pressione crescente da parte dei Consigli di zona e dei cittadini.
Fra l’altro si dovranno costituire tra poco i comitati sanitari di zona, in osservanza della legge regionale, ed e anche questo un appuntamento importante per le forze politiche, che dovranno ancora una volta dimostrare la loro disponibilità ad una politica di articolazione democratica e di riforma. Gli indirizzi di politica amministrativa del Comune, della Provincia, e della Regione hanno un ruolo importante nella situazione politica, perché possono contribuire ad un rafforzamento della democrazia, o viceversa, se non si affrontano seriamente i temi di interesse generale, se ci si limita ad amministrare burocraticamente, può venirne un aggravamento della crisi politica.
Oggi la situazione è contradditoria e confusa, soprattutto per responsabilità della Democrazia Cristiana, interessata più a dirimere le proprie questioni interne e ad assicurarsi delle posizioni di potere che non ad elaborare una propria posizione politica organica.
La nostra azione, quindi deve tendere a ricondurre il confronto tra le forze politiche sul terreno concreto degli indirizzi programmatici, evitando di farci imprigionare in una disputa astratta di formule, e ponendo con forza l’esigenza che la vita delle istituzioni democratiche si arricchisca di un contenuto sociale concreto, sia parte attiva nella lotta per la realizzazione di una politica di riforme. Vi è, in questo senso, anche l’esigenza di un’iniziativa delle organizzazioni sindacali, di un loro rapporto permanente con gli enti locali, non in quanto controparti, ma in quanto interlocutori da coinvolgere in una battaglia comune contro gli indirizzi centralistici e conservatori dello Stato.
La lotta per le riforme ha infatti, evidentemente, una dimensione politica, non può essere intesa come una «vertenza» tra sindacati e governo, ma richiede una battaglia più generale ed estesa, che impegni le forze politiche, le istituzioni democratiche, le organizzazioni sociali.
Ed è, soprattutto, una battaglia politica in quanto richiede, per potersi sviluppare con successo, un mutamento degli indirizzi di governo. Il governo attuale, infatti, non può essere considerato un interlocutore valido, anzi esso si è qualificato per la sua ostilità aperta a qualsiasi misura riformatrice. Mentre i governi precedenti avevano bene o male avviato una trattativa, o per meglio dire, un confronto politico sui temi di riforma, avevano dimostrato in questo senso una disponibilità, il governo Andreotti invece ha nel suo programma la liquidazione della politica di riforme, e cerca di annullare anche quei pochi e modesti risultati conseguiti nella precedente legislatura.
Ecco perché la lotta per le riforme non può non essere strettamente intrecciata alla lotta contro il centrodestra; ed ecco emergere tutto il valore dello sciopero generale del 12 gennaio, il quale ha avuto il significato di una presa di posizione politica unitaria, ed ha quindi rappresentato, per il prestigio e l’autorità del governo, uno scacco grave e significativo. Si era cercato in ogni modo, in seguito alla formazione dell’attuale governo, di mettere in crisi l’unità sindacale, e ciò ha aperto all’interno del movimento sindacale una fase difficile, travagliata.
Non possiamo certo considerare risolti tutti i problemi, ma resta il fatto che, a Milano in modo particolare, le organizzazioni sindacali, pur nella loro diversità, hanno continuato a muoversi sulle base di un’impostazione unitaria, sancita dal patto federativo, hanno tenuto aperto il cammino verso l’unità organica, e si sono impegnate concordemente nelle difficili lotte sociali e contrattuali oggi in corso.
Il movimento operaio ha saputo respingere l’attacco che è stato portato alla sua unità, ha saputo ritrovare quel clima di solidarietà, di fiducia, di maturità politica, che già aveva caratterizzato le precedenti lotte contrattuali.
E, rispetto al ‘69, si può forse dire che il grado di coscienza dei lavoratori è ancora più elevato, più maturo.
Nella precedente Conferenza Cittadina ci eravamo soffermati a lungo sulla valutazione delle lotte sindacali, per cercare di cogliere, al di là delle mitizzazioni e delle deformazioni, la loro vera sostanza, si trattava, allora di inquadrare in modo preciso alcuni problemi nuovi, e di grande rilievo: il processo di unità sindacale, la creazione di nuovi strumenti di organizzazione e di democrazia nella fabbrica, il rapporto tra sindacato e partito, l’atteggiamento verso quei gruppi estremisti che avevano tentato di strumentalizzare le lotte operaie.
Ora non mi pare necessario trattare in modo disteso di questi problemi, in quanto le lotte operaie che si sono svolte e chi si stanno svolgendo hanno consolidato i risultati del ‘69, hanno contribuito a sperimentare i nuovi strumenti sindacali, hanno emarginato definitivamente le iniziative di diversione e di provocazione dei gruppi estremisti, hanno dato a tutta la classe operaia una coscienza più chiara dei propri compiti sindacali e politici.
Siamo in presenza di un movimento maturo, che punta a risultati sostanziali, senza cadere nella logica della esasperazione, che è sempre più consapevole del rapporto che intercorre tra la lotta sindacale e quella politica, tra l’azione rivendicativa per i contratti e la battaglia per una nuova politica economica e sociale.
Lo abbiamo visto nelle grandi manifestazioni che si sono tenute a Milano; ciò che le contraddistingueva era l`insistenza su alcuni temi politici: la lotta contro il governo, l’antifascismo, la questione meridionale, le riforme, il Vietnam.
La nostra azione deve tendere sempre più a consolidare questa maturazione politica, a fare della classe operaia una forza capace di affrontare i temi generali dello sviluppo del nostro paese, capace di assolvere ad una funzione dirigente nazionale, e quindi di raccogliere attorno a se uno schieramento vasto di alleanze.
Spetta al Partito, in questo senso, una grande funzione politica, in quanto partito di avanguardia della classe operaia. Dobbiamo procedere nell’opera di costruzione del Partito nelle fabbriche, nel rilancio dei Consigli dei lavoratori comunisti, come momento di collegamento tra le diverse fabbriche e come centri di iniziativa politica, dobbiamo qualificare sempre più il Partito nell`elaborazione delle linee di una nuova politica economica, generalizzando le esperienze delle Conferenze di produzione e promuovendo un confronto con le organizzazioni di altre categorie sociali, con gli artigiani, con gli esercenti, con i piccoli imprenditori.
Potremo dedicare a questi problemi una maggiore attenzione nel lavoro delle commissioni, due delle quali hanno appunto come loro tema quello delle lotte operaie e della lotta per le riforme.
E’ questa una precisa scelta politica, che vuole caratterizzare la nostra Conferenza Cittadina ed impegnare sempre più il Partito a Milano ad un rapporto organico con le lotte dei lavoratori.
Vorrei sottolineare tre questioni, che hanno un rilievo politico di primo piano. Innanzitutto, non possiamo non richiamare a tutto il partito l’importanza centrale che ha, nella presente fase politica, la lotta contrattuale dei metalmeccanici. Si tratta di una lotta che dura ormai da alcuni mesi, che impegna severamente le organizzazioni dei lavoratori, cui si oppone una posizione intransigente e chiusa del padronato. Portare questa lotta al successo, piegare la resistenza dei padroni, creare attorno ai metalmeccanici in lotta la solidarietà di tutta la classe lavoratrice e di tutte le forze democratiche, è questo per il Partito un impegno prioritario.
Si vuole tentare una prova di forza, e noi dobbiamo essere all’altezza di vincere questa prova di forza, essendo questa la condizione necessaria per andare avanti nella battaglia più generale per il rinnovamento democratico della società.
Non ci deve essere, quindi, nessuna organizzazione di partito che non abbia, nel proprio piano di attività, un preciso impegno di propaganda, di sostegno politico alla lotta dei metalmeccanici, di presenza organizzata davanti alle fabbriche, di iniziative volte a creare una larga solidarietà di massa.
Sempre nel campo delle lotte contrattuali, dobbiamo aver presente che si viene annunciando un periodo caratterizzato da una serie di vertenze che riguardano i pubblici servizi (elettrici, autoferrotranvieri, statali e parastatali, ecc.).
Si tratta di categorie che sono concentrate nella città, e le cui lotte pongono problemi complessi di collegamento con l’opinione pubblica, e possono rischiare, se non sono giustamente inquadrate e organizzate, di prestare il fianco a manovre di divisione della classe lavoratrice. Dobbiamo quindi fin d’ora aprire una discussione sulle forme di lotta, affrontare i problemi di direzione, di orientamento, di iniziativa nella città, per evitare che prevalgano spinte corporative e per fare chiarezza nell’opinione pubblica milanese.
In secondo luogo, dobbiamo fare un bilancio dell’esperienza dei consigli di fabbrica, che ha rappresentato indubbiamente un momento essenziale di rafforzamento e di maturazione della organizzazione sindacale. Da questo bilancio, da una valutazione attenta delle esperienze di questi organismi, può derivare una nostra iniziativa più organica per lo sviluppo della democrazia operaia.
La fase che abbiamo attraversato e stata infatti una fase di transizione e di sperimentazione: si tratta ora di dare un assetto preciso ai nuovi strumenti di democrazia sindacale, di dare loro funzioni definite e concrete, di farne a tutti gli effetti gli strumenti di base di un sindacato rinnovato e rafforzato.
Un’altra esigenza, altrettanto essenziale, è quella della creazione, nella città, di istanze orizzontali, che assolvano alla medesima funzione delle Camere del lavoro, che siano cioè lo strumento di un’iniziativa coordinata sul temi generali politica di alleanze, inquadrando in una visione organica di un nuovo sviluppare e articolare la lotta per una politica di riforma e per nuovi indirizzi economici.
La situazione economica di Milano infatti – ed è questa la terza questione che intendo sollevare – si è venuta aggravando sensibilmente, ponendo al movimento operaio problemi di vasta portata e di non facile soluzione.
Vi è un ristagno degli investimenti, una contrazione dell’occupazione, e a ciò si aggiungono, aggravando ulteriormente la situazione, le conseguenze di una politica economica che ha provocato un vertiginoso aumento dei prezzi, nonché le ripercussioni della crisi monetaria internazionale, che coinvolge direttamente anche il nostro paese.
La classe operaia è quindi soggetta ad una pressione assai forte, e insieme alla classe operaia anche altre classi sociali si trovano a pagare le conseguenze di questa crisi economica. Tutto ciò crea, nella grande massa della popolazione, una situazione di disagio, di preoccupazione, di incertezza per l’avvenire.
Balzano allora in primo piano il problemi più elementari, le esigenze più immediate della vita: il lavoro, i prezzi, il costo della casa.
Teniamo conto che vi è un’offensiva propagandistica orchestrata dai grandi gruppi capitalistici, con la quale si cerca di attribuire alla classe operaia, alle sue lotte, alle sue rivendicazioni, la responsabilità principale di questo stato di cose, che questa offensiva ha potuto provocare qualche fenomeno di confusione e di disorientamento.
Si tratta quindi, in primo luogo, di chiarire davanti all’intera opinione pubblica la causa vera delle difficoltà economiche, le responsabilità della classe dirigente e si tratta di impostare su questi temi una lotta di carattere generale, unitaria, mobilitando tutte le organizzazioni sociali, le forze politiche, le istituzioni democratiche.
È soprattutto su questo terreno che la classe operaia può far avanzare una politica di alleanze, inquadrando in una visione organica di un nuovo sviluppo economico anche gli interessi concreti di altre categorie, assegnando loro una funzione positiva, ricercando tutte le possibilità di una convergenza nella lotta contro il grande capitale.
A Milano, la cui struttura economica à caratterizzata da una fascia estesa di ceti intermedi e da una presenza massiccia della piccola industria, è possibile ottenere in questa direzione risultati rilevanti ed occorre che tutto il Partito si muova con un’iniziativa più large, superando ritardi e incomprensioni.
Da questo insieme di lotte politiche e sociali, nelle quali siamo impegnati, prende forma, concretamente, l’idea di un avvenire diverso per la città di Milano.
Non sta a noi fissare un modello astratto, un piano ideale della “nuova città”.
Sarebbe questa una vana esercitazione.
Sono però chiare a noi le linee di fondo di una trasformazione democratica e progressiva. Ne ricordiamo qui, sinteticamente, i capisaldi: l’attuazione conseguente della democrazia, il rispetto integrale della Costituzione, facendo piena luce su tutta la “trama nera” che ha sconvolto la vita della città, e spezzando definitivamente, il meccanismo della provocazione e della tensione; la creazione di un nuovo quadro politico aperto al contributo delle forze popolari, alle esigenze di rinnovamento dei lavoratori, realizzando nuovi metodi di governo, nuove forme di partecipazione democratica; uno sviluppo della città che sia sottratto agli interessi di parte delle classi sfruttatrici, che realizzi un’inversione di tendenza, restituendo ai cittadini, ai lavoratori, il controllo sulla cosa pubblica, assoggettando all’interesse generale, ai bisogni della collettività, tutte le decisioni che incidono direttamente sulla struttura civile della citta; l’attuazione di una politica di riforme, che avvii a soluzione i grandi temi che interessano l’intera comunità e che garantisca in primo luogo un avanzamento delle classi lavoratrici, la conquista da parte loro di più avanzate condizioni di vita e di lavoro; una espansione economica qualificata, fondata su una utilizzazione razionale delle risorse, sullo sviluppo tecnico e scientifico, sulla collaborazione a livello internazionale.
A questa prospettiva, che corrisponde all’interesse generale, fanno ostacolo la grettezza, la miopia, l’avidità di una classe dirigente ormai screditata, corrotta, e priva perfino di un vero “senso delle Stato”.
Sta alle classe operaia, alte forze popolari e democratiche, far avanzare questa prospettiva di rinnovamento, gettare le basi di una nuova organizzazione della vita civile, di un nuovo assetto politico e democratico.
Per conseguire questi obiettivi, per far avanzare la nostra linea politica, dobbiamo lavorare lungo due direttive fondamentali: quella dell’azione di massa, delle lotte operaie e delle alleanze sociali, e quelle della costruzione di nuovi rapporti politici. Si tratta di due momenti strettamente coordinati: una nuova situazione politica nel paese non si può creare se non si sviluppa un forte movimento di massa, e nello stesso tempo un nuovo sbocco politico presuppone la costruzione di nuove condizioni nei rapporti tra le forze politiche.
Se viene meno uno di questi due elementi, tutta la nostra prospettiva perde di efficacia e di concretezza: si va a cadere o in una posizione agitatoria, senza prospettive, o in una logica di compromesso e di cedimento. La funzione essenziale del nostro partito e appunto in questo collegamento tra le lotte sociali e lo sbocco politico, tra il movimento di massa e la prospettiva di un nuovo indirizzo di governo. In entrambe le direzioni dobbiamo lavorare con maggiore forza: dobbiamo intensificare lazione sui problemi che interessano le condizioni di vita delle masse popolari, dobbiamo accentuare il carattere di lotta e di massa del partito, e d’altro lato dobbiamo sempre più essere capaci di ottenere dei risultati sul terreno politico, di far avanzare un nuovo processo unitario, nuovi momenti di convergenza e di collaborazione.
Per riuscire ad assolvere a queste molteplici funzioni, per realizzare in tutta la sua pienezza la linea politica del partito, è necessario compiere un passo in avanti anche dal punto di vista organizzativo.
Questi tre anni sono stati, per la nostra organizzazione milanese, un momento di crescita e di rafforzamento.
È stata arrestata la tendenza degli anni precedenti ad una diminuzione della nostra forza organizzata, e si è registrato un aumento del numero degli iscritti, al partito e alla FGCI.
Per il tesseramento del 1973, già siamo vicini al raggiungimento del 100%, e abbiamo le possibilità concreta di realizzare una nuova consistente espansione.
Deve essere questo un impegno di lavoro cui tutta riorganizzazione deve dare il suo contributo.
Inoltre si sono costituite nuove sezioni, nuove cellule, si sono adeguate le nostre strutture organizzative con la formazione dei Comitati di zona, è andato avanti un largo processo di rinnovamento del gruppi dirigenti, si è rafforzata a tutti i livelli la capacità di iniziativa politica. Anche la nostra stampa di Partito, l’Unità in primo luogo, ha consolidato notevolmente i suoi livelli di diffusione nella città, ed e questo un sintomo indicativo dell’influenza politica del Partito.
Abbiamo dunque alle spalle un bilancio di lavoro positivo, ed abbiamo anche un’unità politica più salda, un più rigoroso spirito di partito. Non vogliamo però nascondere a noi stessi le debolezze, i ritardi, le zone d’ombra che ancora sussistono. Come sempre, occorre fare un esame autocritico severo, pur nella consapevolezza dei passi in avanti che sono stati compiuti. Il dibattito, per essere proficuo, dovrà avere questo carattere, dovrà essere uno stimolo a lavorare meglio, a superare rapidamente i difetti che intralciano il nostro lavoro.
Lo sviluppo dell’organizzazione, infatti, è stato ineguale, e in alcuni casi non siamo ancora riusciti a dare alle nostre sezioni quel respiro politico e quella capacità di iniziativa che sono necessari, e così pure lo sviluppo dei quadri non è avvenuto ovunque nella stessa misura e con la stessa ampiezza.
Noi dobbiamo considerare la Sezione, come sempre abbiamo fatto, la struttura fondamentale della nostra organizzazione, lo strumento che garantisce al partito il suo carattere di massa, il suo collegamento profondo e multiforme con la società.
La nostra attenzione deve quindi rivolgersi in primo luogo alla sezione, al suo stile di lavoro, ai suoi obiettivi.
Un esame più ampio potrà essere fatto nella commissione dedicata ai problemi del partito. Mi limito qui a sottolineare la necessità di un metodo di lavoro che assicuri nel contempo una capacità di direzione effettiva e una mobilitazione larga delle forze di cui possiamo disporre.
La sezione ha bisogno dii un gruppo dirigente autorevole, efficiente, ma la sua attività deve svilupparsi in modo articolato, evitando errori di centralizzazione eccessiva, dando vita ad una molteplicità di strumenti di lavoro (le cellule, i gruppi di lavoro, la presenza organizzata negli organismi di massa, l’attività specifica verso le donne e verso la gioventù, gli organismi di controllo, e così via).
Questo sforzo di articolazione ci deve consentire di elevare di molto il livello di partecipazione attiva dei compagni al lavoro politico: nessuno sforzo deve essere lasciato intentato per fare di ogni singolo iscritto un militante attivo, sia pure in una misura modesta.
Abbiamo bisogno del contributo di tutti, ed abbiamo bisogno che ogni compagno impegnato nelle organizzazioni di massa e democratiche abbia un rapporto permanente con il partito, che discuta nel partito, che trasmetta a tutti i compagni i risultati del suo lavoro e delle sue esperienze.
In una parola, dobbiamo utilizzare in modo più pieno le nostre energie, dobbiamo essere a tutti gli effetti un grande partito di massa, capace di indicare ad ogni singolo lavoratore che si avvicina al partito un compito di lavoro preciso e concreto, capace di dare ad ogni suo membro un senso della vita, una attiva coscienza morale e politica.
Ciò richiede che l’attività di educazione, di studio, di approfondimento teorico, abbia nella vita del Partito una parte ancora più grande, perché il Partito possa assolvere fino in fondo alla sua funzione di “intellettuale collettivo”. Infine, dobbiamo tener vivo lo spirito internazionalista, dobbiamo educare secondo questo spirito le nuove generazioni e la classe operaia.
Ciò è essenziale, perché non si intende appieno la nostra linea politica se non la si inquadra nel più generale conflitto che oppone il socialismo all’imperialismo, se non si ha presente tutto il patrimonio di lotta del movimento comunista internazionale, se non si sa valutare in tutto il suo significato il risultato storico della rivoluzione bolscevica, della costruzione del socialismo nell’Unione Sovietica e negli altri paesi, delle lotte di liberazione nazionale. La nostra via di avanzata democratica al socialismo è resa possibile da questo generale rivolgimento storico che si e realizzato nel mondo nel corso di questo secolo.
Ed in questo quadro, anche, trova il suo significato la nostra costante azione per l’unità del movimento operaio, per il superamento delle divergenze, non nell’indifferenza per il contenuto delle diverse posizioni, ma in uno sforzo positivo di chiarificazione e di costruzione di una comune strategia di lotta contro l’imperialismo.
Sempre più, d’altra parte, i problemi della classe operaia hanno una dimensione sovranazionale, in seguito ai processi di integrazione economia su scala mondiale, e pertanto i rapporti di carattere internazionale diventano un’esigenza politica vitale, della quale non teniamo conto in misura sufficiente.
Sulla base dei lavori del CC, dobbiamo avviare in tutto il partito un dibattito, un lavoro di informazione e di aggiornamento, una iniziativa concreta sui temi internazionali in questa nuova fase politica che si è aperta dopo la conclusione degli accordi per il Vietnam, e che ripropone all’attenzione di tutto il mondo la necessità di una soluzione pacifica del conflitto del Medio Oriente. Nello spirito dell’internazionalismo, nella solidarietà con tutti i popoli in lotta per la loro emancipazione, sulla base dei principi della coesistenza pacifica, spetta al nostro partito porsi alla testa di un vasto movimento per la pace, per la distensione in Europa, per la liquidazione dei regimi fascisti e coloniali, per l’affermazione in tutto il mondo della causa della libertà, dell’indipendenza, del progresso sociale e civile.
Busta: 12
Estremi cronologici: 1973, 22 febbraio
Autore: AA. VV.
Descrizione fisica: Opuscolo
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: S. E., Milano, 1973, pp. 5-26