PRESENTAZIONE DEL LIBRO “CLAUDIO SABATTINI AUTONOMIA SOCIALE, CONFLITTO, DEMOCRAZIA”

Camera del lavoro di Brescia, 3 Luglio 2014

Sommario

Introduzione di Pierluigi Cetti, segretario generale SPI CGIL Brescia

Parte prima
Intervento di Francesco Garibaldo, Fondazione Sabattini
Intervento di Francesco Bertoli, segretario generale FIOM CGIL Brescia
Intervento di Damiano Galletti, segretario generale Camera del lavoro di Brescia

Parte seconda – La parola agli autori
Intervento di Luca Romaniello
Intervento di Riccardo Terzi

Il libro Romaniello L., Terzi R. (a cura di) “Claudio Sabattini – Autonomia sociale, conflitto, democrazia”, Edizioni LiberEtà 2014, è stato presentato a Brescia il 3 luglio 2014. Interventi non rivisti dagli autori

Intervento di Riccardo Terzi

Questo libro mi ha coinvolto profondamente. Ho preso molto sul serio l’incarico che mi è stato affidato da Carla Cantone dello SPI nazionale. Mi ha coinvolto molto perché è stato forte il mio rapporto personale di amicizia con Claudio Sabattini: comincia negli anni ‘60, nei tempi della federazione giovanile comunista. È un rapporto un po’ particolare. Molti erano un po’ sconcertati o sorpresi per questa consuetudine amichevole tra me e Claudio, perché ci sono storie diverse…

È importante quello che Francesco Garibaldo prima ricordava, riguardo all’elasticità del pensiero, esattamente definito. Se ci pensate, l’elasticità del pensiero consiste nella capacità di ragionare, di volta in volta, in modo assolutamente libero, senza schemi, sui cambiamenti che accadono. Credo che, ciascuno di noi, si faccia un po’ un bilancio di quello che succede nelle riunioni dei dirigenti: ci sono interventi che meritano di essere ascoltati ed interventi in cui si può anche uscire senza perdere nulla, perché ci sono quelli che, quale che sia la situazione, dicono sempre la stessa cosa. La situazione cambia, la bicicletta resta la medesima.

Ora, gli interventi che vanno ascoltati, il pensiero che va preso sul serio, è il pensiero che è un ragionamento aperto e flessibile, sui cambiamenti che avvengono, appunto. Con Claudio era così: non era prevedibile sempre, non è sempre rettilinea la sua storia, come tutte le storie vere, che sono storie di svolte, di correzioni, anche di errori, di cadute, di ripresa, una storia viva, un’esperienza sindacale autentica.

A me interessava parlare di Claudio al presente, non farne una ricostruzione puramente storica, celebrativa. C’è sempre questo rischio, quando parliamo dei nostri dirigenti: li mettiamo lì in una nicchia. Ma i nodi che affronta Claudio, ed il libro lo dimostra abbastanza chiaramente, sono quelli dell’oggi. Poi possono convincere o no tutte le sue risposte, ma i temi sono quelli: sono i temi della nostra attualità politica e sindacale.

Credo che questo andrebbe fatto anche per qualche altro dirigente e sicuramente andrebbe fatto per Bruno Trentin. In Bruno Trentin troviamo oggi dei filoni di pensiero, delle intuizioni di estrema attualità. E qualche affinità c’è tra Sabattini e Trentin: in particolare, sono storie diverse, ma hanno in comune, se non altro, questo senso forte del ruolo autonomo del sindacato, l’autonomia progettuale del sindacato. L’autonomia non soltanto come presa di distanza dalla politica, ma come capacità di una propria elaborazione, di un proprio progetto.

C’è grande attualità nei temi che Sabattini ha attroncato. Penso, in particolare, al tema dell’autonomia. Io credo di chiarire, nell’introduzione che ho fatto, che l’autonomia del sindacato esiste in quanto riflette l’autonomia del soggetto sociale. Non è una prerogativa burocratica dell’organizzazione. Il sindacato è autonomo nella misura in cui interpreta la soggettività del mondo del lavoro e quindi ha una relazione evidente, quotidiana, democratica, con quelli che vogliamo rappresentare.

Questo tema dell’autonomia ha suscitato un vespaio un po’ inconcludente tra la FIOM, la CGIL sulla parola indipendenza. Claudio usa il termine indipendenza, perché la parola autonomia era un po’ abusata, e quindi c’era bisogno di un’affermazione più forte. Se guardiamo a quello che è accaduto in questi anni, ci rendiamo conto che questo è il tema, forse il tema principale su cui la CGIL deve misurarsi, deve scommettere, perché è completamente cambiato il quadro della politica. C’è una rottura: siamo entrati in un nuovo universo culturale, ideologico, mentale: le categorie del passato non funzionano più. Quindi, il sindacato ha bisogno di riconquistare, con assoluta radicalità, la sua autonomia rispetto al sistema politico, altrimenti viene catturato dentro questo sistema, appare come un anello del sistema di potere. E qui, appunto, l’autonomia ha a che fare molto con la capacità di rappresentare davvero i lavoratori, altrimenti appare come una specie di burocrazia di stato, che può dare qualche servizio, ma che viene coinvolta dentro un giudizio critico sul sistema politico. Autonomia, indipendenza, per usare una parola forse ancora più tranchant potremmo dire “alterità”, cioè che siamo un’altra cosa, che il sociale ed il politico sono due sfere che entrano in relazione, ma è sempre anche una relazione di conflitto e di sfida. Il sindacato è autonomo in quanto sfida la politica, tutta. Non soltanto l’autonomia si dimostra quando abbiamo a che fare con partiti teoricamente più vicini, ma è il sistema politico, nel suo complesso, che si muove con altre coordinate, con altre motivazioni. Questo è oggi del tutto evidente, la politica sta su un altro piano.

Il tema dell’autonomia del soggetto sociale oggi è un punto chiave, appunto, del soggetto sociale, non soltanto l’autonomia dell’organizzazione sindacale, e questo vuol dire fare un lavoro in profondità di riorganizzazione, di scavo nel sociale, nelle contraddizioni del sociale, vedendo tutti gli elementi di sofferenza, le contraddizioni. Spesso questa sofferenza sociale prende anche le forme dell’antipolitica, ma non dobbiamo metterci in cattedra e giudicare che cosa è politica e che cosa è antipolitica. Dobbiamo stare dentro il processo di orientarli, di capirli, di capire anche le sofferenze della realtà sociale così com’è, e quindi fare un’analisi dei cambiamenti, delle trasformazioni del lavoro, delle disuguaglianze crescenti.

Il tema dell’autonomia o dell’indipendenza è davvero un punto di partenza, decisivo per ridare la prospettiva al sindacato, sapendo che noi siamo sfidati. È chiaro, questo?

Non possiamo appigliarci a qualche politico amico, governo amico, piccola corrente minoritaria amica in questo o in quel partito. Sono cose che non possono essere afferrate. Noi dobbiamo rafforzare la nostra capacità di sfida e questo lo si fa rafforzando la rappresentanza reale del sindacato e la sua capacità di progetto. Non si fa col dire dei no, ma avendo un nostro progetto su tutti i nodi, su tutti i grandi temi di sviluppo politico, economico, sociale, democratico del Paese.

Il secondo tema a cui voglio accennare è quello della democrazia. È un tema complicato. Come diceva Garibaldo prima, non basta il principio di maggioranza, anzi. Le grandi organizzazioni tendono, per loro natura, a certe forme di burocratizzazione, è nella natura delle cose. Si è anche teorizzato, alla fine, che c’è sempre il dominio di qualche oligarchia. Burocratizzazione e democrazia, però, non sempre sono il contrario l’una dell’altra: le grandi burocrazie, in qualche modo, si basano su delle regole, sul rispetto formale delle regole, delle procedure, degli statuti. Quindi la democrazia non è soltanto e solo il rispetto formale delle regole e l’applicazione del principio di maggioranza, le si chiede qualche cosa di più: intanto, il riconoscimento della pluralità delle posizioni, pluralità che non è semplicemente una pluralità delle idee, ma è una pluralità delle esperienze reali, delle condizioni. Il movimento sindacale è fatto da tante cose diverse: ogni categoria esprime una condizione sociale particolare. Il pluralismo dovrebbe essere nella natura stessa del sindacato. E l’attenzione anche alle minoranze è il segno di una visione più elastica, di un pensiero più aperto, perché spesso accade che le posizioni sconfitte siano quelle giuste. Non sempre ma accade.

Però, bisognerebbe che approfondissimo la storia delle eresie, le eresie come questa. Sono quelle posizioni inattuali, che non erano in sintonia con il loro tempo, ma spesso anticipavano quelle idealità che poi sono maturate in una fase successiva. C’è bisogno, credo, di avere una visione aperta della democrazia interna. Non lo sento oggi presente in modo sufficiente.

Poi c’è bisogno di una funzione dirigente. La democrazia, la partecipazione, la spinta dal basso sono essenziali, ma tutto questo non basta se non c’è poi una capacità di guida, di guida politica. I grandi processi politici nella storia hanno sempre questi due elementi: la spinta dal basso e la funzione dirigente. Noi dobbiamo lavorare su entrambi i piani: ci vuole di più democrazia come partecipazione di massa. Abbiamo bisogno anche di più dirigenti, di una funzione dirigente che abbia questa visione aperta, che non sia la ricomposizione burocratica delle verità apparenti che escono dagli atti statutari.

Infine, vado a ricordare l’attenzione di Claudio su quello che avviene fuori dal sindacato: il movimento studentesco, il movimento femminista, il social forum. Io credo che sia molto importante questo, perché proprio in un momento in cui si cerca di stringere il sindacato, di metterlo nell’angolo, di chiuderlo in una dimensione puramente corporativa, la nostra forza si misura sulla capacità di essere in relazione con quello che sta fuori, oltre il confine. E questo è il principio elementare della dottrina politica. L’egemonia è quella di quelli che, pur partendo da una parte, però entrano in relazione con la realtà sociale complessiva ed offrono una prospettiva in cui si riconoscono tutti.

Quindi, noi dobbiamo, io credo, lavorare molto su questo. Pensare alla confederalità non come comando della confederazione alla base di una struttura gerarchica, ma come la capacità di entrare in relazione con il mondo esterno. Costruire, quindi, un sistema, di relazioni e, inoltre, pensare al lavoratore come una persona nella sua integralità, non soltanto, quindi, nella sua dimensione strettamente lavorativa.

Ho fatto in questi anni l’esperienza allo SPI e, nello SPI, questo è evidente, perché non siamo più sul luogo di lavoro e quindi parliamo della persona nella sua condizione esistenziale, presa nel suo insieme. Questa necessità, però, vale per tutti, vale anche per i lavoratori: vanno considerate la realizzazione di sé, della persona nel lavoro (il lavoro, appunto, come realizzazione compiuta della dignità della persona, l’idea che non è che basti un posto di lavoro qualsiasi, le condizioni del lavoro, la dignità del lavoro, l’autonomia nel lavoro ed il modello sociale, e poi le forme di alienazione, di sfruttamento che non sono soltanto quelle che avvengono dentro il luogo di lavoro, avvengono dentro la struttura sociale che è una struttura di dominio, di diseguaglianza.

Quindi, la confederalità è, credo, tutte queste cose, la capacità di guardare oltre i nostri confini, di superare ogni angustia operativa e rappresentare la persona nella sua integralità.

Oggi noi siamo sfidati: questo appare chiaro e non ne usciamo guardando indietro, pensando di tornare ai vecchi modelli, anche qui ci vuole un po’·di elasticità nel pensiero, l’analisi concreta della situazione concreta, che è poi la vecchia formula. Oggi dobbiamo fare questa analisi, senza farci illusioni: un’analisi cruda, realistica, vedendo quindi anche i limiti, gli errori, ma appunto pensando che non ne usciamo senza un processo di ripensamento del nostro modo di essere, del nostro modo di funzionare, del nostro modo di fare, del nostro modo di entrare in relazione con la società, con i lavoratori.

È stato fatto un congresso, ma i congressi non sono quasi mai un elemento risolutivo. Io comunque non mi accontenterei di quello che il congresso ha deciso. Penso che questo lavoro di riesame, di rifondazione del nostro modo di essere sia un problema aperto. È un problema da tenere in considerazione, cercando di renderci conto di come dovrebbe essere oggi un sindacalista. C’è una frase in cui Claudio dice, appunto, che è un lavoro difficile fare il sindacalista. È un lavoro che richiede insieme una fortissima passione di ideale ed una fortissima concretezza, capacità di stare nei processi, conoscere i processi, stare dentro i processi sociali. Io direi che dovrebbe essere uno sperimentatore sociale, per conquistare il sociale. Non è che pensi ad altre cose, che debba saltare sul primo carro politico che passa, ma che si impegna a fondo, con una forte passionalità, dentro i processi sociali, ma non soltanto per dare voce alla protesta, ma per cercare le soluzioni, anche quelle parziali.

Dare voce alla protesta è davvero oggi essenziale. Ci sono tanti professionisti della protesta, forse anche troppi: noi dobbiamo essere un’altra cosa, dobbiamo essere quelli che hanno un rapporto vivo, quotidiano con i lavoratori, con le persone, con le condizioni di sofferenza e di disagio sociale; costruiamo le risposte, sulla base di analisi, appunto, critiche della situazione.

Le cose che trovate nel libro ovviamente riguardano altre fasi, altri momenti, però ci sono, com’è stato detto, molte anticipazioni, quindi è un libro molto utile, almeno io spero lo sia per una discussione attuale sullo stato di cose di oggi del sindacato e sul modo per uscire dalle difficoltà in cui ci troviamo.



Numero progressivo: V68
Busta: 77
Estremi cronologici: 2014, 3 luglio
Autore: AA. VV.
Descrizione fisica: Opuscolo
Tipo: Scritti
Serie: Cultura -
Note: 2 voll.
Pubblicazione: s. e.