CHI VUOLE LA GRANDE GELATA?

Cosa sta succedendo nella CGIL dopo il congresso comunista

«Forum» dell’Avanti! del 4/4/1989 tra i leader socialisti e comunisti milanesi e lombardi sul futuro del maggiore sindacato italiano: con interventi di Pino Cova, Riccardo Terzi, Cesare Aureli, Carlo Ghezzi.
Le critiche alla manovra governativa, le divisioni interne e i rischi di un ritorno degli “autoconvocati”. La prospettiva socialista e dell’unirà europea
A cura di Erica Ardenti

In un recente editoriale sull’Unità, Antonio Bassolino intravede «dietro la protesta operaia» contro la del proposta economica del governo «l’eco della nostra battaglia sui diritti dei lavoratori e il riflesso del recente congresso comunista». Negli stessi giorni la FIOM milanese organizza i propri delegati per arrivare all’appuntamento del prossimo 10 aprile, giornata di mobilitazione nazionale dei pensionati, con una “prova generale” dello sciopero contro i tagli insistentemente richiesto ai vertici confederali. Sembra riprendere corso un nuovo tentativo di trascinamento della base sindacale, anche comunista, su posizioni di movimentismo e di settarismo. Il Palaeur si trasferisce nelle piazze? Siamo alla vigilia di una nuova resa dei conti tra i massimalisti e i riformisti? Ne hanno discusso, in un forum proposto dal nostro giornale, Pino Cova, Riccardo Terzi, Cesare Aureli e Carlo Ghezzi.

 

COVA. «Nel passare agli atti, il 18° Congresso del PCI ci consegna la sensazione di archiviare un’occasione e delle attese che non sono state soddisfatte.

Fare quadrato, l’arroccarsi per definire un nuovo organico, l’assillo della riconoscibilità attorno a una proposta con la convinzione del poco tempo a disposizione ha impedito ogni comunicabilità esterna rendendo nei fatti impermeabile, “privato” il congresso comunista.

Terminato il rito del Palaeur restano i problemi: la gestione di una politica con la speranza di una legittimazione socialista dopo la competizione elettorale, il superamento dell’isolamento con la revisione dei comportamenti e il ripristino di alleanze, ma soprattutto si attende di misurare il nuovo leader e la sua capacità di innovazione.

Con questi segnali gli osservatori hanno ravvisato che nella casa comune, la CGIL, il vento della tramontana ha abbassato la temperatura: “una gelata” si è detto.

Ma i problemi della CGIL purtroppo non sono solo climatici, sono di manutenzione straordinaria, di regolamento condominiale, di destinazione d’uso e di aumento della volumetria.

Per questo la Conferenza programmatica, quella organizzativa e il congresso rappresentano la corsa a ostacoli da cui dipende il nostro futuro. In questa direzione di marcia, i conoscitori troveranno subito altri ostacoli locali, la situazione a Lodi, a Lecco, nei postelegrafonici, nei meccanismi che rendono i rapporti tra i socialisti e i comunisti lombardi dirompenti.

Non credo ci sia il tempo per decifrarne le ragioni. Le conseguenze del fenomeno non saranno di rigidità climatiche ma esplosive.

Se orientamento, regole, proposte e comportamenti non saranno precisati e rispettati e se i “casi” non saranno sminati con la difesa del pluralismo e la pari dignità io non credo a una “primavera” dopo i rigori invernal-congressuali- in CGIL».

 

TERZI. «Tra la CGIL e i partiti politici c’è, ormai consolidato, un rapporto di autonomia sostanziale, per cui è da escludere un collegamento diretto con il dibattito politico che si è aperto nei partiti della sinistra.

Il Congresso del PCI è stato un avvenimento politico di grande rilievo, ricco di elementi di novità che dovranno essere attentamente valutati.

Il mio giudizio, valutando le cose dall’interno, come militante comunista, è del tutto positivo, in quanto mi sembra avviato un processo di rinnovamento politico e culturale che può far uscire il PCI dallo stato di crisi, contribuendo così a una più generale ripresa dell’iniziativa della sinistra.

Per quanto riguarda la CGIL, mi sembra confermato un clima interno di unità, e un processo di rinnovamento che pone problemi complessi e presenta anche valutazioni diverse, non riconducibili però alle collocazioni di partito.

La CGIL dovrà trovare le risposte più adeguate sul suo proprio terreno, e la sua unità interna si costruisce rendendo chiare le ragioni del sindacato, senza farla dipendere dai rapporti fra i partiti».

 

AURELI. «Il dato politico più interessante, al momento, è la dialettica apertasi nella componente comunista fra i fautori di un movimentismo alla ricerca di tigri da cavalcare e quanti sono seriamente preoccupati di rispettare e mantenere la CGIL nel dibattito politico sindacale.

Le divergenze sono esplicite il che è un fatto nuovo e positivo anche se la loro asprezza rischia di paralizzare l’attività della confederazione. Un esempio lo viviamo in questi giorni.

La FIOM lombarda attacca Trentin chiedendogli di fare due forzature. Una rispetto a CISL e UIL, l’altra interna alla CGIL, rispetto a quei settori che, giustamente, reputano inutile uno sciopero generale capace solo di fare propaganda quando è necessario invece di creare, come per il fisco, una grande e consapevole mobilitazione di tutti i lavoratori per risanare e riqualificare la spesa pubblica. Se prevarrà la logica della lotta contro il Governo magari evidenziando che nel Governo ci sono i socialisti, vuol dire che la CGIL, come sindacato, va in ferie almeno fin dopo le elezioni. Se la posizione di Trentin risulta quella vincente vuol dire che socialisti e comunisti, nella CGIL, possono continuare a fare sindacato».

 

GHEZZI. «L’insieme delle forze che militano nella CGIL, hanno seguito con attenzione il congresso di un grande partito come il PCI. La CGIL ha l’ambizione politica di essere portatrice di una ricerca e di una propositività che offrono all’insieme delle forze di progresso dei terreni avanzati di Confronto e di unità. La CGIL è al tempo stesso gelosa custode della propria autonomia, e forza attenta a tutto quanto si muova nello schieramento progressista.

Dopo il congresso del PCI i suoi deliberati, il suo dibattito, le sue proposte, i suoi contributi, la CGIL tutta con le diverse sensibilità che la caratterizzano riprende a misurarsi con rinnovato impegno per consolidare rapporti unitari tra le forze di sinistra e per estendere lo schieramento progressista al di fuori dei confini tradizionali della sinistra stessa. Socialisti e comunisti che militano nella CGIL, non possono che salutare positivamente ogni segnale di miglioramento nei rapporti tra i due partiti, cosi come vivere con preoccupazione i momenti di forte tensione a sinistra. La ricchezza del dibattito e della ricerca comune, la solida unità costruita nell’operare insieme quotidianamente nella CGIL tra militanti in partiti diversi, non permettono tuttavia il riflettersi nell’organizzazione sindacale in modo immediato, diretto e meccanico, di quanto avviene nei dibattiti e nei rapporti tra PCI e PSI. Ho notato tuttavia, dopo il congresso del PCI, una grande attenzione a quanto questo congresso ha portato, una volontà di capire nel profondo sia i problemi che le novità».

 

AVANTI!: Quale deve essere a vostro giudizio il ruolo di un sindacato moderno verso gli indirizzi di politica economica del governo?

COVA. «Quando il Governo di un paese conosce il debito pubblico al 94,5 per cento del PIL e proiezioni di deficit di 135mila miliardi, e si accontenta di tamponare e galleggiare, dubito che si possa parlare di politica economica.

Poco tempo fa si auspicava che il “supplente” Goria lasciasse il posto al “docente” De Mita proprio per definire, con autorevolezza, una politica economica; se queste sono le lezioni, meglio cambiare scuola e indirizzo.

Ticket su analisi, farmaci e ricoveri, condono immobiliare, riduzione della fiscalizzazione, accentramento della liquidità, tagli agli acquisti di beni e servizi, vendita dei beni statali, aumento tariffe ferroviarie, contratti del P.I. con aumenti dell’1 per cento e attribuzione all’on. Cirino Pomicino del potere di verifica sull’efficienza e produttività nella P.A.

È difficile vendere questi titoli come moderna politica economica. Questo è l’arcipelago delle non soluzioni, è la speranza nella Divina Provvidenza. Le critiche dei sindacati, dei pensionati e dei lavoratori non è la rappresentazione spenta delle cose antiche né una movimentazione dovuta all’effetto serra.

Solo prevenuti commentatori di parte che hanno perso il senso delle cose e non conoscono il paese non possono cogliere l’iniquità di queste misure. Comunque alla protesta si coniuga (da tempo, ormai, anche se si finge di ignorarlo) la proposta.

Spero, che i partiti della sinistra, i parlamentari come sulla questione fiscale siano in grado di apprezzare e sostenere le proposte sindacali. È l’unico modo di sostituire alla sommatoria degli interessi corporativi una linea di risanamento senza distruggere lo Stato e l’economia.

 

TERZI. «La politica economica dell’attuale governo va contrastata con decisione, perché tutta la sua ispirazione di fondo continua a essere improntata a una linea neo liberalistica. Sulle questioni fiscali c’è stato uno scontro politico assai importante e impegnativo, e si sono ottenuti alcuni risultati significativi. Ora si apre tutta la questione della spesa pubblica, con il tentativo di scaricare sui lavoratori e sugli utenti i costi del risanamento finanziario.

Il sindacato è impegnato a costruire proposte alternative realistiche, per difendere lo stato sociale e per garantire criteri di equità e di solidarietà sociale nell’insieme della politica economica.

Più in generale occorre ribadire la funzione del sindacato come “soggetto politico”, il suo impegno cioè ad affrontare i terni generali della politica economica, dello sviluppo economico e sociale, andando così oltre una concezione di tipo corporativo. Su questo terreno si misura l’autonomia del sindacato, la sua capacità propositiva e progettuale, in un rapporto dialettico con il Governo e con le forze politiche».

 

AURELI. «Disponibilità al confronto e intransigenza a difesa di una politica di risanamento economico e di perequazione sociale. In particolare sui tagli si deve passare dalla protesta alla proposta. Come per il fisco, non basta dire che non vogliamo pagare solo noi. L’equità, da sola, è giusta ma non basta. Ci vuole anche il sostegno alla riforma dell’amministrazione pubblica.

I tagli vanno fatti a partire dalle inefficienze, lo stesso processo profondo e anche traumatico che ha ristrutturato il settore privato deve avvenire nel settore dei servizi pubblici. Perché devo pagare tre volte la sanità (con le tasse, con il ticket, con la sanità privata) quando una sua gestione di tipo imprenditoriale costerebbe di meno e funzionerebbe meglio?

L’anno scorso il contratto della scuola è costato 10 mila miliardi, ma la scuola funziona come prima. Il sindacato confederale deve chiamare tutti i lavoratori a lottare per l’efficienza dei servizi pubblici, che passa anche per una maggiore professionalità retribuita, ma principalmente per una diversa gestione degli enti, delle assicurazioni, all’organizzazione del lavoro, agli orari, alle carriere, alla responsabilizzazione dei dirigenti».

GHEZZI. «Il nostro paese ha bisogno di una politica economica che sappia risanare lo Stato, come condizione per sviluppare la nostra economia e portare l’Italia in Europa con il piede giusto. Questo vuol dire oggi affrontare le cause strutturali del debito pubblico, rendere efficiente e produttiva la Pubblica Amministrazione, realizzare grandi riforme sociali, quella fiscale innanzitutto, così come difendere e riformare lo stato sociale: pensioni, Sanità, scuola, politica attiva del lavoro.

Un sindacato moderno deve saper incalzare su questi temi il governo, deve saper favorire, per vincere, una unità ampia delle forze progressista e un isolamento delle forze conservatrici. Quanto CGIL, CISL e UIL hanno saputo fare sul fisco si colloca in questa direzione».

 

AVANTI!: Tra poche settimane si svolgerà a conclusione della stagione congressuale, l’assise straordinaria dei socialisti italiani. Qual è il contributo della CGIL alla prospettiva dell’unità socialista?

COVA. «Da Rimini ‘87 e i suoi obiettivi: i compiti dei riformismo nell’Italia che cambia, per allargare e rafforzare lo schieramento riformatore, rinnovare le istituzioni repubblicane, promuovere la società giusta attraverso le modernizzazioni e lo sviluppo, a Milano ‘89 deve esserci continuità. L’attesa è per la lettura degli avvenimenti congressuali della DC e del PCI e per la definizione di una linea politica che, dopo la spinta propulsiva dell’alternativa e della o della centralità nella governabilità, consolida il protagonismo del PSI in un ambito sempre più europeo. Certo anche la fragilità della struttura esistente di partito rispetto all’elettorato chiede una terapia di intervento ormai non più rinviabile.

Ma è la capacità di governo, di proposta e di programma la vera aspettativa nei confronti del congresso. Non sono un nostalgico del congresso di Torino, ma credo che il punto critico della nostra capacità di attrazione elettorale e di insediamento sociale sia sul terreno della proposta programmatica.

Un leader consolidato, un know how di governo acquisito e diffuso, una logica di appartenenza orgogliosa sono gli elementi da consolidare e capitalizzare, adesso, prima di altre tornate elettorali decisive per il futuro del paese.

 

TERZI. «Valgono anzitutto le considerazioni precedenti circa l’autonomia tra sindacato e partiti. Il congresso del PSI dovrà comunque chiarire quali sono gli obiettivi strategici di questo partito: se ci si muove nell’ottica di una collaborazione, sia pure conflittuale, nell’ambito del pentapartito, o se si pone all’ordine del giorno l’esigenza di nuovi equilibri politici. Fino a quando non si passa a costruire concretamente il percorso politico di una possibile alternativa, tutta la sinistra risulta più debole e resta il peso di una fortissima ipoteca conservatrice sulla vita politica nazionale».

 

AURELI. «L’organizzazione del partito e il suo radicamento sociale rimangono i punti deboli di una direzione di marcia che è giusta e vincente. In particolare nel sindacato la nostra presenza deve riuscire a rappresentare un insediamento elettorale che si va consolidando e che viene espressa in maniera non sempre adeguata al nostro ruolo. C’è un problema di qualificazione dei nostri quadri e di momenti di elaborazione e di coordinamento. Un sindacato riformista non garantisce immediatamente sul piano delle preferenze elettorali ma agevola la politica di Governo del cambiamento portata avanti dal PSI.

Il dibattito in atto nella componente comunista della CGIL apre ampi spazi di iniziativa per una politica riformista nel sindacato. Credo che potremmo conseguire maggiori risultati in tal senso se da parte di tutti, sindacalisti, strutture del partito, amministratori pubblici, ci fosse una capacità di analisi e di proposte convergenti sul terreno economico sindacale.

Si potrebbe assumere un ruolo reale di direzione che avvantaggerebbe gli stessi sforzi di revisione che sono presenti fra i sindacalisti comunisti».

 

GHEZZI. «Dal congresso socialista mi aspetto un contributo al rafforzamento dello schieramento progressista, un impulso a una politica di riforme incisive; l’affermarsi sempre più dell’Europa come un orizzonte politico e culturale nel quale collocare ogni scelta del nostro paese. Una riflessione impegnata sulle vecchie e nuove contraddizioni che affliggono la società italiana. Un rinnovato rapporto, dialettico e positivo, tra il PSI e il movimento sindacale confederale italiano».

 

AVANTI!: Come si prepara il sindacato all’appuntamento dell’unità europea?

COVA. «Oltre alla terza elezione a suffragio universale per eleggere il parlamento europeo, nel 1989 debutterà lo spazio sociale. In previsione dei Mercato Unico Interno finora le forze economiche più delle forze politiche e sicuramente più del sindacato hanno lavorato in direzione dell’integrazione. Ma le opportunità del mercato dei 320 milioni di consumatori, mantenendo queste velocità di marcia, non saranno colte per intero. Anzi problemi democratici nei confronti degli oligopoli, aumenti delle differenze geo-economiche delle aree depresse, tassi di disoccupazione insopportabili e deregolazione selvaggia possono compromettere il consenso sull’operazione che rimane quella dell’integrazione e coesione sociale ed economica.

Occorre approfittare delle presidenze di turno di Spagna, Grecia e Francia: per accelerare il recupero dei contenuti sociali a partire dall’approvazione dei diritti sociali fondamentali comunitari. Sul piano più propriamente sindacale si evidenzia l’insufficienza della struttura della Confederazione Europea dei Sindacati e la necessità di collaborazione quotidiana tra le organizzazioni nazionali di categoria e confederali. Per sostenere questa opzione di collaborazione, di comunicazione e di conoscenza, con la UGI della Catalogna e il DGB dell’Assia, la CGIL lombarda ha presentato un progetto formativo al FSE, transnazionale che prevede la formazione di 70 dirigenti sindacali entro il 1991.

Spazio sociale, riorganizzazione della CES, formazione e definizione di linee rivendicative comuni sono i campi più urgenti della nostra preparazione all’Europa unita».

 

TERZI. «Sulla base di una chiara opzione politica favorevole al processo di integrazione europea, il sindacato ha il problema di non lasciare questo processo alla spontaneità del mercato il che significherebbe in concreto lasciare la guida politica dell’Europa nelle mani dei grandi gruppi capitalistici, e di costruire quindi le linee di una politica sociale su scala europea, che garantisca con più forza i diritti dei lavoratori e delle loro organizzazioni.

A questo fine stiamo lavorando per una più stretta intesa con le organizzazioni sindacali degli altri paesi europei, e per un confronto con le istituzioni politiche e con le stesse organizzazioni imprenditoriali. Infine, c’è un’esigenza di “formazione” dei quadri sindacali, per metterli in grado di affrontare con conoscenza di causa la nuova dimensione internazionale che assumono, sempre più, tutti i problemi dell’iniziativa sindacale, e su questo terreno stiamo predisponendo nuove e impegnative esperienze formative e di studio».

 

AURELI. «Per il momento cercando di portare in mezzo alla gente l’idea che l’appuntamento del ‘92 ci riguarda direttamente. Che i nostri ragionamenti in merito alle politiche rivendicative devono tendere all’armonizzazione con il resto dell’Europa, dal fisco al costo del lavoro, dagli orari alle pensioni. È ancona più una semina culturale che un raccolto sindacale.

È necessario accelerare questa fase per passare a forme di coordinamento reali dei vari sindacati europei. Basta pensare alla partita degli orari di lavoro o agli impatti occupazionali che l’integrazione economica porterà nel settore delle banche per capire come sia urgente la costituzione di sindacati sovranazionali per non lasciare alle multinazionali la parte del leone dell’Europa del ’92.»

 

GHEZZI. «Temo stia preparandosi poco e male. Francamente vedo un impegno maggiore nelle forze della sinistra politica europea nel riflettere sui problemi, sui ritardi, sui programmi, sul bisogno che ha il nostro continente, di una sinistra europea forte, che contrasti positivamente le forze conservatrici. Vedo tensioni a sinistra, ma anche ricerca, e molte novità.

Nel sindacato in Europa invece prevale ancora molto conservatorismo, troppo guardare esclusivamente nei vecchi confini nazionali. Di fronte ai giganteschi processi di riorganizzazione delle economie, alla concentrazione dei poteri, i sindacati sono divisi, chiusi, pigri nel ripensarsi e nel riadeguarsi alla nuova realtà che avanza velocemente.

Questi ritardi rischiano di divenire drammatici. Non solo per i sindacati, ma per tutto lo schieramento progressista. Una grande sinistra europea ha bisogno di una presenza e una interlocuzione forte con un grande movimento sindacale autonomo, progettuale, rappresentativo.

Il sindacato in Europa deve avere il coraggio di ripensarsi, in una sinistra impegnata a ripensare criticamente e ad aggiornare le proprie scelte e le proprie esperienze.

Possono avere un grande futuro tanti sindacati divisi tra loro? Con moltissime organizzazioni sindacali legate a concezioni vecchie del “sindacato amico” del “governo amico”, con cinghie e cinghiette di trasmissione spesso rigidissime, eredità logore ormai, della II e III internazionale? Vanno rotte vecchie consuetudini, va costruito un sindacato rappresentativo dell’universalità del lavoro e delle sue articolazioni, progettualmente autonomo e per questo oggettivamente interlocutore delle forze di progresso, perché portatore di un progetto avanzato, non perché legato da sorpassati collateralismi. La sfida per costruire un grande sindacato europeo va sostenuta con impegno, anche a partire dalla coscienza che i ritardi sono fortissimi».



Numero progressivo: B37
Busta: 2
Estremi cronologici: 1989, 4 aprile
Autore: Erica Ardenti
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Avanti!”, 4 aprile 1989