CGIL: DALLA CRISI ESCE A SINISTRA

Intervista di Fernando Liuzzi a Riccardo Terzi

Nella maggiore confederazione sindacale è ormai aperto uno scontro senza precedenti. Il punto di svolta è stato segnato dalla riunione dell’Esecutivo che si è conclusa, il 26 ottobre, con una votazione su due documenti contrapposti

Questa volta è successo davvero qualcosa. Ma che cosa, esattamente? Se lo sono chiesto in molti, dopo la riunione dell’Esecutivo CGIL svoltasi a Roma dal 25 al 26 ottobre. Una riunione che, sicuramente, rappresenta un punto di svolta in una crisi annunciata e fatta lievitare, da vari mesi a questa parte, essenzialmente sulle pagine dei giornali, a colpi di indiscrezioni, dichiarazioni, interviste.

Poi ecco che nell’Esecutivo CGIL si arriva, su due documenti contrapposti, a un voto che separa nettamente una maggioranza, guidata dal segretario generale, Pizzinato, e dal segretario generale aggiunto, Del Turco, e una minoranza che raggruppa i massimi dirigenti di alcune delle principali strutture regionali e di categoria: Piemonte, Lombardia, Campania, metalmeccanici, chimici, funzione pubblica.

Tutto chiaro, dunque? Purtroppo no. In primo luogo, i due schieramenti sono relativamente inediti. In secondo luogo, i giornali non hanno aiutato molto i lettori ad afferrare la natura vera dello scontro.

Per capirne qualcosa di più, «Meta» ha interrogato Riccardo Terzi, segretario generale aggiunto della CGIL Lombarda che, assieme ad Angelo Arioldi, Walter Cereda, Sergio Cofferati, Gianfranco Federico e Renato Lattes, è uno dei firmatari del documento ormai detto “dei dodici” (vedi la sezione documenti, a pag. 59).

  1. Allora Terzi, cosa vi ha spinto a presentare un documento alternativo alle proposte della segreteria CGIL?
  2. «Alla base della nostra iniziativa c’è una premessa: un’analisi dello stato della CGIL in questa fase. La mia opinione -ma mi pare che non sia solo mia -è che oggi abbiamo un’organizzazione imballata, un’organizzazione che non riesce a mordere la realtà circostante. Il progetto della rifondazione, lanciato all’11o Congresso, è rimasto un manifesto di buoni propositi che non è riuscito a modificare la CGIL in profondità. A ciò va aggiunto un grave peggioramento dei rapporti con la CISL e la UIL che porta con sé tutta una serie di interrogativi irrisolti. In altri termini, siamo in una situazione in cui occorre concepire ex novo, allo stesso tempo, una strategia sindacale e una politica unitaria.

Se questa analisi è giusta, mi pare del tutto evidente che sia necessaria una discussione politica molto accelerata sulla linea politica della CGIL e sui suoi gruppi dirigenti. Non vedo come sia possibile separare le due cose. Ciò premesso, nella soluzione proposta dalla segreteria generale -il famoso patto di gestione biennale – abbiamo visto due rischi. Primo, quello della sottovalutazione della gravità della situazione. Secondo, quello che tutto venisse rinviato al Congresso. Il che significava, in pratica, condannare la CGIL a due anni di puro galleggiamento. È per superare questi rischi che abbiamo presentato il nostro ordine del giorno.»

 

  1. Cominciamo dal problema più scottante, quello dei gruppi dirigenti. I giornali hanno scritto che il vero bersaglio della vostra iniziativa è Pizzinato, ma c’è anche chi spiega che invece sarebbe Del Turco. Tu cosa rispondi?
  2. «Che non è Pizzinato né Del Turco, e neppure Bertinotti. Il problema non sta nei singoli compagni, ma nell’equilibrio complessivo del gruppo dirigente. Oggi, infatti, abbiamo una segreteria che è incapace di trovare al proprio interno un equilibrio accettabile. Si presenta divisa su tutte le questioni. Tanto che è arrivata al punto di proporre un patto di solidarietà cui, già in partenza, erano contrari tre segretari. Naturalmente, tutte le differenziazioni interne sono legittime, lo credo nell’utilità del pluralismo. Ma la dialettica deve trovare un punto di sintesi. Altrimenti si determina quella paralisi di cui parlavo e non si esercita più un ruolo dirigente. Occorre invece restituire autorevolezza e capacità di direzione alla segreteria confederale complessivamente intesa.»

 

  1. Perché si è fatto tanto clamore sul vostro documento?
  2. «La drammatizzazione è stata provocata dalla rigidità della risposta della segreteria generale. Il documento, di per sé, avrebbe potuto essere assunto senza grandi difficoltà. Tanto è vero che dopo pochi giorni la segreteria CGIL ha modificato in modo significativo la propria posizione originaria. Mentre lì per lì sono state date delle risposte pesanti e anche sgradevoli, come la frase sul preteso “assalto da sottoscala”.»

 

  1. Veniamo ai problemi di linea politica. Siete stati accusati di essere d’accordo tra voi solo nella volontà di criticare la segreteria ma di non avere nessuna base politica comune.
  2. «Non mi pare che questo sia un capo d’accusa. Il punto è che non si può chiedere a questi 12 compagni di tirare fuori dal cilindro un progetto politico bello e pronto. Il progetto che secondo noi è necessario dovrà essere invece il risultato di un lavoro collettivo di tutta l’organizzazione. Noi non abbiamo costituito una quinta componente.»

 

  1. E sia. Ma se non esiste una piattaforma politica dei dodici, ci sarà pure un’opinione di Riccardo Terzi sulla crisi della CGIL.
  2. «La mia opinione è questa: che la crisi non è solo della CGIL. C’è una crisi del sindacato che ha ragioni profonde. Alla base di questa crisi c’è un processo di riorganizzazione del potere capitalistico, c’è un attacco all’autonomia e al potere contrattuale del sindacato.

Nella CGIL questa crisi ha determinato una dinamica interna più forte, ma questo è un fatto positivo perché segnala che la CGIL non si è adeguata a questo processo e tenta di reagire, anche se lo fa con difficoltà. Da questo punto di vista, non mi preoccupa tanto il travaglio interno della CGIL quanto la quiete di CISL e UIL.

Del resto, questa differenza è molto evidente anche nei commenti di gran parte della stampa. L’immagine della CGIL che viene proposta è quella di un’organizzazione che non ha saputo ancora liberarsi della propria storia. Benvenuto ha paragonato la CGIL a un treno in ritardo perché appesantito da vecchie scorie ideologiche.

La richiesta che ci viene insomma rivolta da più parti è quella di abbandonare ogni pretesa di azzardare un’analisi critica della realtà sociale che si è determinata negli ultimi anni. Si chiede alla CGIL di tagliare le proprie radici. In una parola, chiedono la nostra omologazione.»

 

  1. Va bene, ma cosa c’entra questo discorso con lo scontro che si è aperto in CGIL?
  2. «C’entra, perché mi sembra che nel gruppo dirigente e confederale sia del tutto insufficiente la percezione del fatto che siamo a un cambio di fase per ciò che riguarda sia i rapporti unitari che, più in generale, quelli tra sindacato e società.

Partiamo dal primo punto. C’è chi pensa che con qualche difficoltà e qualche incidente di percorso si possa continuare a seguire una linea tradizionale: quella che in pratica, punta tutte le sue carte sull’ unità d’azione e concepisce l’unità stessa come un valore e un vincolo. Quando a me pare del tutto evidente che, al punto cui siamo arrivati, l’unità è un problema. Ovvero che ci si può proporre di riconquistarla solo se ci si astiene dal ripetere certe proclamazioni retoriche e si comincia a riflettere sul pluralismo oggi esistente.

Secondo punto. Come rispondiamo a questa richiesta di accettare un ruolo subalterno? Come possiamo reagire a quella pressione che oggi vorrebbe rinchiudere il sindacato dentro a uno spazio angusto, inevitabilmente corporativo? Secondo me solo affrontando alla radice i processi avvenuti in concreto in questi anni nel mondo della produzione.»

 

  1. Cosa vuoi dire?
  2. «Che non mi convincono alcune delle tesi che sono state sostenute di recente da Bertinotti e Lucchesi. Nel loro ragionamento c’è una denuncia giusta del pericolo che oggi il sindacato corre: quello, appunto, di lasciarsi rinchiudere in un ruolo subalterno. Mi sembra però che riducano l’origine di tale pericolo a una questione di atteggiamenti soggettivi, a uno scontro tra due diverse linee politiche: quella che accetta la subalternità e quella che punta all’autonomia.

Ma l’autonomia sindacale non esiste come puro fatto soggettivo. L’autonomia c’è quando il sindacato è in grado di fare una propria analisi del fatti economici, e di elaborare una sua risposta. In questi anni abbiamo assistito a una grande riorganizzazione della produzione e della distribuzione. È in corso un ampio processo di internazionalizzazione dell’economia. Più in generale, c’è una nuova centralizzazione dei poteri, una concentrazione del luoghi della decisione che si sottraggono sempre più ad ogni controllo democratico.

Sono questi i processi che determinano la crisi di tutto il sindacato. E non ne usciamo con una spinta volontaristica. Ne usciamo solo se siamo in grado di contrapporre all’offensiva neo-liberista degli obiettivi da noi autonomamente individuati ed effettivamente praticabili. In primo luogo, oggi, dobbiamo colmare un deficit progettuale. E, per colmarlo, bisogna partire dalla concretezza dell’impresa e del lavoro per capire come cambiano e dove vanno e, quindi, quali siano oggi contenuti e spazi dell’azione sindacale.»

 

  1. La stampa fino a ieri ti ha etichettato come migliorista, oggi ti considera il capo dei ribelli interni alla CGIL. Ma Terzi com’è: di destra o di sinistra?
  2. «Dubito che sia possibile capire qualcosa delle posizioni di un sindacalista applicando meccanicamente delle categorie che traggono la loro origine dalla vita dei partiti. Per restare alla domanda, rispondo che il cambiamento da fare va verso sinistra. La CGIL è prigioniera di una situazione bloccata. Per uscirne, va fatto uno spostamento a sinistra, che sia però efficace. Più di ogni altra cosa, io temo una sinistra declamatoria, minoritaria per vocazione.»

Numero progressivo: B45
Busta: 2
Estremi cronologici: 1988, ottobre
Autore: Fernando Liuzzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Meta”, n. 10, ottobre 1988, pp. 10-12