[ASSEMBLEA NAZIONALE DI BELLARIA]
Intervento di Riccardo Terzi
Ho ritrovato nello SPI CGIL il filo dell’amicizia con tanti compagni che ho variamente incrociato nella mia esperienza politica e sindacale. Ho ritrovato, ancora in piena attività, quella straordinaria generazione che è stata protagonista dei grandi movimenti degli anni ‘60 e ‘70. Sono quindi orgoglioso di poter far parte di questo grande “sindacato di popolo”: così può essere definita la natura peculiare dello SPI, che non rappresenta un segmento produttivo, ma la cittadinanza sociale nella totalità dei suoi bisogni e delle sue esperienze di vita.
Di qui una grandissima potenzialità espansiva, perché è proprio sul terreno della cittadinanza che si stanno disegnando le fondamentali linee di conflitto.
La politica della Confederazione può trovare nello SPI un suo punto di forza, come struttura articolata di presidio del territorio, il che richiede tra la CGIL e lo SPI una forte integrazione, come sta oggi avvenendo sul tema cruciale della riforma pensionistica. Noi ci troviamo dunque ad occupare un territorio strategico, e ciò accresce le nostre responsabilità.
Esercitare la responsabilità significa – come ha detto Betty Leone – non adattarsi ad un ruolo solo di servizio, ma coltivare con intelligenza la nostra vocazione confederale, il nostro essere il “luogo della memoria”, nel quale è depositata la storia del movimento operaio, con i suoi insegnamenti, con la capacità di vedere l’onda lunga dei processi sociali e di inquadrare il presente in una più larga prospettiva storica.
Il luogo della memoria è anche, in questo senso, il luogo della saggezza, della lungimiranza strategica. Della saggezza, non della presunzione, che è tutt’altra cosa.
Ora, è la situazione reale del paese che ci pone pressanti interrogativi strategici.
Ci pone cioè il problema di come rispondere all’azione disgregatrice del centro destra, senza limitarci ad una reazione difensiva, colpo su colpo, e senza cadere nella trappola di illusorie accelerazioni o radicalizzazioni.
Il clima politico sta mutando, e il blocco sociale della destra sta entrando in una situazione di evidente sofferenza, perché tutto il castello demagogico-propagandistico di Berlusconi e compari si sta sfasciando. Non c’è il nuovo “miracolo economico”, ma un paese allo sbando, avviato verso il declino.
Ma questo mutamento di clima non significa ancora un decisivo rovesciamento dei rapporti di forza. Non siamo alla stretta finale, ma dobbiamo lavorare in profondità sulle contraddizioni che si sono aperte nel corpo sociale.
E allora è essenziale avere una chiara cognizione della natura di tali contraddizioni.
Berlusconi non rappresenta le ragioni del capitalismo dinamico e competitivo contro le ragioni della solidarietà. Rappresenta un’altra cosa: le ragioni di un ceto parassitario, che punta tutte le sue carte sulla deregolazione, sulla privatizzazione dello spazio pubblico, sull’allentamento dei vincoli e della legalità, non in funzione di una crescita del paese, ma solo di una condizione di privilegio per l’oligarchia dei potenti.
La contraddizione, almeno in Italia, non è tra il modello della crescita solo quantitativa e quello della qualità dello sviluppo.
In questo senso, il documento che è stato predisposto per la nostra assemblea deve essere precisato, perché esso sembra inquadrare il caso italiano nella categoria classica del liberismo economico, mentre esso ne rappresenta una variante degenerativa, il che può allargare il nostro raggio d’azione, trovando una interlocuzione con tutte quelle forze produttive non parassitarie che rifiutano la logica dei condoni, del degrado pubblico, delle furbizie, o l’ultima trovata di Tremonti di una barriera protezionistica da opporre al “pericolo giallo”.
In Italia è aperta una emergenza, sia sul versante economico-sociale, sia su quello democratico istituzionale.
Per alcuni osservatori è già stata superata la soglia della trasformazione della nostra democrazia costituzionale in un regime di tipo autoritario.
Altri sono più prudenti, vedendo una situazione torbida, fortemente inquinata, ma senza che sia ancora avvenuto un vero e proprio rovesciamento dell’ordine democratico, e questa rappresentazione mi sembra essere più vicina alla realtà.
In ogni caso, ci troviamo ad agire non in una situazione ordinaria, ma in un’emergenza, in una condizione di pericolo.
E allora, se attingiamo al fondo della nostra memoria storica, dovrebbe essere chiaro che la grande via maestra da percorrere è quella della più larga unità democratica, della edificazione di un grande blocco alternativo, in termini politici e in termini sociali.
Per il sindacato, ciò significa che è oggi, non domani, il momento dell’unità sindacale.
Il problema dell’unità sindacale può essere utilmente affrontato solo sul terreno della realtà politica concreta, e non su quello delle astratte affermazioni di principio o delle rappresentazioni ideologiche. La domanda a cui rispondere è semplicemente questa: se nell’attuale situazione sociale del paese le condizioni per l’unità possono essere ricostituite, o sono invece destinate ad allontanarsi.
A me sembra, proprio in virtù di quel processo di scollamento delle basi di consenso della destra, che l’unità sindacale, come unità d’azione, sia oggi alla nostra portata.
E ciò trova una conferma importante nelle posizioni comuni e nelle decisioni di lotta su pensioni e finanziaria.
È dunque proprio nel contesto politico concreto, e non nel regno astratto dei valori, che vediamo i germi di una nuova possibile stagione unitaria.
Un tale processo, come sempre avviene nella storia, non sarà del tutto lineare, ma procederà per tappe successive, per avvicinamenti e per fasi critiche.
Ciò che non è accettabile è il rovesciamento logico del rapporto tra prassi e coscienza, come se fosse necessario avere in partenza, come condizione pregiudiziale, una perfetta coincidenza dei modelli e delle forme ideologiche.
L’insistenza del nostro documento di base sull’alternatività dei “modelli sociali” può prestarsi a questa cattiva interpretazione.
Io preferisco restare fedele alla vecchia tesi di Marx, che è l’essere sociale a determinare la coscienza e non viceversa.
È il movimento reale che dà forma al progetto politico, e tutti i grandi movimenti collettivi nascono per impulso di forze diverse, con diverse motivazioni e diverse angolazioni progettuali, ed è la realtà del processo che verifica e seleziona la pluralità dei progetti e delle ipotesi politiche, e la sposta comunque su un terreno nuovo e più avanzato.
Stiamo quindi sul piano della realtà, che vede oggi una comune volontà di contrasto alle politiche del Governo, il che non elimina le differenze, ma non ci autorizza a cristallizzarle, a enfatizzarle come opposte e inconciliabili visioni strategiche.
Può essere più utile come metodo di analisi quello delle “contraddizioni in seno al popolo”, le quali possono essere sempre sbloccate da una intelligente pratica sociale.
Su questo, come su altri temi di grande rilievo, è aperta una discussione tra di noi. E chiedo agli amici della CISL di evitare qualsiasi uso strumentale.
Se ci sono diverse analisi, è bene che escano allo scoperto e si confrontino.
Se riusciamo a tenere questa discussione ad un livello alto, sul terreno delle idee, aiuteremo la CGIL a praticare davvero il principio, sempre affermato, del “pluralismo come ricchezza”.
Questo principio, se non vuole essere solo un atteggiamento di tolleranza verso il dissenso, significa che le differenze sono “verità parziali” che debbono essere integrate, attraverso un confronto più approfondito.
Diamoci quindi il tempo di chiarire e di discutere, senza chiudere burocraticamente questo confronto. La “saggezza” è la capacità di non fissarsi in una opinione, ma di tenere aperta la nostra mente a tutto il ventaglio delle possibili interpretazioni, così da essere pronti ad affrontare la realtà in tutta la sua complessità e nel suo gioco sempre aperto tra diverse possibili evoluzioni.
Dove sta il cuore della discussione strategica, nell’Italia di oggi? A me sembra che il tema centrale sia quello dell’esistenza o meno di uno spazio di “autonomia sociale”.
Molti sostengono che questo spazio è bruciato, perché il bipolarismo del sistema politico implica ormai che tutto è politico, che tutta la vita sociale si dispiega, senza residui, lungo la logica della competizione bipolare.
Se davvero fosse così, dovremmo riscrivere la carta fondamentale della CGIL.
L’autonomia del sociale è l’aria che ci fa respirare, è il fondamento su cui costruire la nostra forza di rappresentanza.
E ciò è chiarissimo se guardiamo all’esperienza dello SPI, alla sua azione quotidiana, la quale è la prova vivente di una vitalità autonoma della società, in una pratica di confronto con le istituzioni che non è mai riducibile a logiche di schieramento o ad appartenenze di tipo ideologico. Ed è proprio su questo terreno che dovremo sviluppare con grande determinazione le nostre iniziative nei prossimi mesi, con una campagna di vertenze territoriali unitarie sui temi della cittadinanza sociale.
Concordo pienamente con quanto ci ha detto ieri in proposito, Achille Passoni in commissione.
La tesi che enuncia la fine dell’autonomia sociale, l’esaurimento di tutti gli strumenti della concertazione e del negoziato, perché ormai c’è solo lo scontro frontale tra opposti modelli politici, è una tesi disperata, di chi pensa che ormai sia possibile solo salvare l’onore in una estrema azione di testimonianza. È una tentazione che sorge in ciascuno di noi di fronte all’asprezza della situazione: la tentazione di giocare l’ultima carta in uno scontro che è ormai tutto politico, senza nessuno spazio di mediazione sociale.
Io penso che il nostro futuro dipende dalla capacità di sottrarsi a questa tentazione.
Dipende dalla piena riconquista del terreno sindacale e della sua autonomia, dalla capacità di rappresentare la società nel suo movimento e nella complessità delle sue motivazioni. Per continuare ad essere ciò che siamo: un grande sindacato di popolo.
Busta: 4
Estremi cronologici: [2001, maggio]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -