[AREA DI SINISTRA DEI DS]
Intervento di Riccardo Terzi decontestualizzato, riferito al congresso dei DS
Il dibattito congressuale all’interno del maggior partito della sinistra ha messo in evidenza alcuni importanti elementi di novità. Dopo molti anni si è finalmente riaperta una discussione politica intorno alle fondamentali scelte strategiche, e si è riorganizzata, su nuove basi, un’area di sinistra che ha ottenuto, nei congressi di base, un risultato molto significativo, con una percentuale di adesioni che supera il 20%.
È un importante segno di vitalità, in un partito profondamente logorato nella sua forza organizzativa e nella sua identità politico-culturale. Quando si è nel mezzo di una crisi e di un travaglio profondo che mette in discussione la stessa identità dell’organizzazione, è essenziale riattivare la risorsa democratica, ripartire con una discussione di fondo, affidando all’insieme degli aderenti la responsabilità della decisione.
È solo l’inizio di un processo nuovo, e nessuno si può illudere di avere già dato una risposta ai difficili interrogativi che ci stanno di fronte. Tuttavia, pur con tutta la consapevolezza di una situazione di crisi non ancora risolta, occorre saper vedere le novità positive. Tutte le valutazioni catastrofiche su una sinistra politica ormai definitivamente omologata e subalterna sono state, almeno in parte, smentite, e tutta la situazione politica si presenta ancora aperta a diversi possibili sbocchi.
Senza la presentazione di una mozione alternativa, tutto questo non sarebbe stato possibile, e avremmo avuto un inutile congresso di routine, politicamente spento, vivacizzato solo dalla disputa sugli organismi dirigenti. La mozione della sinistra, dunque, ha dato un senso politico e un valore democratico al congresso. Si è impedito, con un confronto chiaro su scelte alternative, che il partito sprofondasse in una crisi senza ritorno. Si è aperto un processo nuovo, che può avere effetti rilevanti anche all’esterno, nella più vasta area della sinistra, oggi alla ricerca di nuovi punti di riferimento.
Non penso che possano essere facilmente superate le fratture politiche attuali, né che possa bastare un generico appello unitario per superare le lacerazioni strategiche che si sono determinate. Se ci limitassimo a riproporre l’obiettivo dell’unità della sinistra, senza fare i conti con la realtà e con i processi politici che sono accaduti, faremmo un errore politico serio. Tuttavia, la presenza nel partito dei DS di un’area di sinistra che si consolida e acquista visibilità politica è un elemento nuovo, potenzialmente dinamico, che può rimescolare le carte e creare nuove condizioni per il confronto politico tra le diverse componenti della sinistra italiana. E questo confronto può oggi svilupparsi non in una logica di scissione, di separazione, alimentando nuovi processi distruttivi, ma all’opposto come un processo di articolazione democratica, avendo come comune punto di riferimento il grande filone del socialismo europeo.
La sinistra interna ottiene consenso proprio in quanto si colloca nella realtà del riformismo europeo, e non è portatrice di un messaggio di rottura. La sinistra italiana ha già pagato troppi prezzi alle logiche scissionistiche, agli integralismi ideologici, e si tratta ora di costruire le condizioni per un nuovo processo aggregativo, nel quale le differenze possano convivere e confrontarsi, in un impegno comune di rielaborazione teorica e di innovazione politica. In questo senso, il congresso è solo l’inizio di un lavoro lungo che ci resta da compiere. La “nuova sinistra” si propone di essere, in questo processo, un luogo permanente di confronto e di ricerca, non una corrente chiusa, e non uno strumento al servizio di qualche contingente equilibrio di potere. Il partito non può che trarre vantaggio da una sua dialettica interna più dinamica e vitale. C’è bisogno di un partito aperto, plurale, che realizzi al suo interno una libera dialettica delle idee e dei progetti.
Ciò che minaccia il destino dei partiti politici non è il sovraccarico delle ideologie, ma è lo spegnimento delle energie vitali e l’appiattimento nel calcolo opportunistico. Nelle condizioni nuove del mondo globalizzato, senza smarrirsi dietro l’illusione di impossibili ritorni al passato, dobbiamo definire la nostra identità, il nostro profilo ideale, ricostruendo così le ragioni di una partecipazione politica attiva. Senza pensiero politico, il partito non ha nessun senso e nessuna forza di attrazione, e si riduce ad essere un’agenzia tecnica che si limita ad organizzare il mercato delle candidature, a lanciare sul mercato politico l’immagine di qualche aspirante leader di successo, nazionale o locale, nell’indifferenza per i contenuti, per i programmi, per i progetti politici. Noi non siamo messi al riparo da questo rischio, e i fenomeni crescenti di astensionismo elettorale e di crisi della partecipazione democratica ci indicano che un processo di svuotamento della democrazia sta già avvenendo e che rischiamo quindi, se non intervengono fattori nuovi, un collasso della democrazia.
Il nostro problema sostanziale sta qui, nel venir meno della visibilità delle differenze politiche, della significatività dei concetti di destra e sinistra, nelle tendenze all’omologazione, nel fatto cioè che la competizione politica non si gioca più su chiare alternative programmatiche, ma solo sul terreno dell’efficienza, della governabilità. Anche la sinistra appare oggi solo una forza di stabilizzazione e non una forza di cambiamento. Se la politica è solo la rincorsa all’occupazione del centro moderato, la sinistra a che serve? Qual è il suo messaggio, il suo autonomo sistema di valori? E, in effetti, da varie parti si sta tentando un’operazione di restaurazione moderata, rimettendo in discussione la legittimità politica della sinistra. Rischiamo quindi di restare schiacciati dentro una manovra centrista, senza riuscire a rendere chiari di fronte al paese i nostri obiettivi e le nostre ragioni.
A tutto ciò occorre reagire, per non finire invischiati nella ragnatela di una politica che non sa più parlare al paese e crea un senso di estraneità e di indifferenza. Nel congresso dei DS è questo disagio che ha preso forma, questa preoccupazione per un corso politico che tende a riprodurre, alla fine, un nuovo equilibrio conservatore, con la sinistra messa nell’angolo. I consensi significativi alla mozione della sinistra nascono da questa consapevolezza, e sono l’espressione di una volontà di cambiamento e di una nuova disponibilità all’impegno politico.
Non si tratta affatto della resistenza nostalgica di una vecchia tradizione comunista ormai fuori gioco, ma di una critica che riguarda la situazione presente, i suoi pericoli involutivi, e la debolezza attuale della sinistra di fronte a questi possibili esiti. In questo senso, si tratta davvero di una soggettività politica “nuova”, che si forma su un nuovo terreno, con il contributo decisivo di quadri giovani e con l’emergere di nuove domande sociali. Il gruppo dirigente non ha colto questa dinamica, e ha pensato di poter facilmente chiudere i conti con una sinistra interna rivolta solo al passato, mentre all’opposto con il congresso questa rappresentazione è stata completamente smentita, e si è aperto quindi un processo del tutto nuovo.
C’è una nuova domanda politica, a cui occorre rispondere, ed è questo un problema di tutto il partito. Non può bastare il principio di maggioranza, in base al quale chi ha la maggioranza decide, perché dovrebbe essere chiaro a tutti, al di là delle diverse opzioni politiche, che c’è un partito da ricostruire, da ridefinire nel suo asse culturale, nel suo insediamento sociale, nella sua struttura organizzativa. Si dovrà lavorare, dunque, per una gestione unitaria e per un grande sforzo di innovazione.
Il nostro problema attuale ha una grande portata storica, perché si tratta di ridefinire le forme e gli strumenti della politica nel vivo di un processo tumultuoso di trasformazione sociale e culturale. Dopo la Liberazione, Togliatti seppe gettare le basi, teoriche e organizzative, del nuovo partito popolare e di massa, mettendo in moto un processo straordinario di partecipazione democratica. Questa è la nostra eredità: la politica come mobilitazione democratica, i diritti civili e sociali come contenuto sostanziale dell’azione politica della sinistra. Oggi, nelle nuove condizioni, si tratta di ridefinire il ruolo del partito politico, in una linea non di rottura, ma di coerenza, con quella tradizione, il che significa interrogarci sulle attuali possibilità di dare sostanza e vitalità alla democrazia politica.
Ciò che invece accade, nel panorama italiano, è una tendenza verso forme di democrazia plebiscitaria, verso una democrazia rattrappita nella scelta del leader, del decisore insindacabile: personalizzazione della vita politica, svuotamento dei partiti, concentrazione del potere decisionale. Anche la sinistra ha contribuito a questa deriva, inseguendo il miraggio della seconda repubblica e accettando la tesi che la crisi della democrazia italiana può essere affrontata solo ridimensionando i partiti politici e rafforzando il principio di autorità. È in questo contesto che si colloca la scelta di sostenere il referendum per un sistema maggioritario ancora più spinto, e la proposta di una legge elettorale che non ha nessun esempio nelle democrazie europee: maggioritario con premio di maggioranza, con elezione diretta del premier, con norma anti-ribaltone. È un sistema che svuota il ruolo del Parlamento e vanifica la funzione delle rappresentanze politiche.
È una strada inaccettabile. Anche se dovesse vincere lo schieramento di centro-sinistra sarebbe una vittoria solo apparente: se la democrazia non è strutturata, non è fondata su una partecipazione reale, non è la sinistra che vince, ma vince un modello politico oligarchico e verticistico del tutto estraneo alla nostra cultura e incompatibile con qualsiasi progetto di cambiamento sociale.
Proviamo allora a delineare una diversa via. Nella mozione della sinistra si propone di ripartire dalla centralità del lavoro, dal rapporto tra politica e lavoro come fondamento dell’identità della sinistra. A questa tesi, che è tesi politica e non sociologica, si obietta la banalità che il lavoro è cambiato, che il mondo è cambiato, che è finita l’era dell’economia fordista, tutte cose assolutamente ovvie, ma non è né ovvia né accettabile la conclusione che se ne vuol tirare, che cioè la sinistra non possa essere più definita in termini sociali, come una forza che agisce dentro il conflitto. Ne risulta una sinistra socialmente neutra, senza rappresentanza sociale. Sinistra dei valori, si dice, ma i valori se non sono materializzati nella concretezza dei rapporti sociali sono solo un esercizio retorico. Tutta la storia delle politiche conservatrici è stata declinata nel nome dei valori, contro il materialismo delle classi subalterne. Ancora oggi, è nel nome dei grandi valori di libertà che viene organizzata, con i referendum radicali, una durissima offensiva contro le conquiste sociali del movimento operaio. Di fronte a ciò, qual è la scelta della sinistra? Diamo battaglia, o dialoghiamo amabilmente con la signora Bonino?
Il cambiamento sociale e le trasformazioni del lavoro non restringono il nostro campo d’azione, ma lo allargano in direzioni nuove, e ci impegnano in un’azione politica più ampia, più complessa, perché non si tratta solo del conflitto tradizionale di fabbrica, ma dei nuovi processi di esclusione sociale, dei nuovi bisogni di cittadinanza, del sistema dei diritti come contenuto centrale del conflitto politico moderno. Il lavoro si presenta con una pluralità di situazioni e di domande sociali: dal lavoro marginale degli immigrati alle nuove professionalità prodotte dall’innovazione tecnologica, dalle nuove forme di lavoro servile e dequalificato al nuovo sviluppo del lavoro autonomo. È più complessa la sintesi politica, e occorrono certamente politiche differenziate: Ma è nel vivo di questi processi che dobbiamo gettare le basi della nostra politica, se non vogliamo perderci nella vuota chiacchiera televisiva. Ed è proprio partendo dal lavoro che occorre ripensare la nostra struttura organizzativa, modellandola sulla nuova realtà sociale, per dare rappresentanza politica alle nuove domande del mondo del lavoro.
In secondo luogo, dobbiamo scommettere sulla risorsa democratica. Andando contro tendenza, perché oggi sono di moda altri modelli. Contro l’idea democratica viene riproposto l’argomento classico del pensiero autoritario: la democrazia ha tempi lunghi ed è di ostacolo alla rapidità e all’efficacia delle decisioni. Ora, nel mondo moderno, con il perfezionamento di tutti i mezzi di comunicazione, questo argomento è palesemente falso, perché nulla impedisce, se non la volontà politica, di verificare il consenso, con procedure democratiche rapide ed efficaci. Inoltre, il sistema politico ha forse dato prova di efficienza e di rapidità? Riforme istituzionali, riforma dello stato sociale, politiche per l’occupazione, da anni sono iscritte nell’agenda politica, e da anni sono la materia inesauribile di convegni, di dichiarazioni, di auspici, senza nessuna decisione efficace. Il nostro è un sistema di indecisionismo autoritario. Non si decide, ma la democrazia è un rischio, perché fa entrare in campo altri soggetti e si mette in crisi il potere delle oligarchie. Anche nel partito le decisioni sono prese con l’intervista televisiva o giornalistica, come è stato per le pensioni o per la legge elettorale. Se si continua a decidere così, con il mito romantico della solitudine del capo che si assume tutte le responsabilità, ci si accorgerà alla fine che non c’è più l’esercito, perché nessuno più è disposto ad una dichiarazione incondizionata di fede.
Si propone, nel nuovo statuto, l’elezione diretta del segretario da parte degli iscritti. Si propone in sostanza un ulteriore potere discrezionale del segretario. Con ciò, tutta la vita interna del partito finirebbe per assumere una torsione plebiscitaria, personalistica, antidemocratica. Siamo tutti più garantiti se non c’è un capo che decide da solo, e se le decisioni politiche le verifichiamo insieme, le costruiamo insieme, democraticamente, nel confronto politico più aperto. Solo così si forma una classe dirigente, nell’ esercizio pratico della democrazia come impresa collettiva, nella quale non ci sono capi e gregari.
Infine, il partito, che ha imboccato con chiarezza la strada del riformismo, dentro la grande tradizione del socialismo europeo, deve riuscire a dare concretezza pratica a questa scelta, mobilitandosi su alcuni terreni concreti, su obiettivi limitati ma efficaci. Il riformismo, per definizione, non può essere solo un’enunciazione astratta, una nuova ideologia, ma esiste solo in quanto si dà un programma operativo. E allora occorre, in questa direzione, dare a tutte le strutture del partito un obiettivo di lavoro (su temi sociali, ambientali, culturali), puntando ad un riformismo fattivo, non declamatorio, non retorico, ma impegnato nella realtà.
Per realizzare questo programma (centralità del lavoro, promozione democratica, riformismo) il partito ha bisogno, oggi più che mai, di una politica di dialogo con la società, costruendo una rete di relazioni, di incontri, superando il mito del primato della politica, della politica come struttura di comando. Il partito non è autosufficiente, ma è vitale solo in quanto è vitale la rete delle sue relazioni. Si può così, con questa strategia aperta al pluralismo della società civile, non solo costruire il partito, ma costruire la coalizione, con un processo reale, non verticistico, mettendo a fuoco gli obiettivi comuni per i prossimi appuntamenti elettorali.
Una politica di coalizione è per noi essenziale: coalizione di diversi, luogo di incontro tra diverse culture e tradizioni politiche, non l’annullamento delle diversità in un contenitore vuoto. Se abbiamo una identità, se siamo forti delle nostre ragioni, saremo anche più aperti all’incontro con gli altri. È oggi chiaro, di fronte alle nuove difficoltà politiche del centro sinistra, che queste difficoltà non si risolvono con la retorica ulivista, ma facendo i conti con la realtà e con le diverse posizioni politiche. Il mito del grande partito democratico, del superamento delle differenze in un nuovo e unitario soggetto politico, è già andato in frantumi, travolto dalla realtà. Occorre ora costruire una coalizione politica, sapendo che non è un processo facile, e che la sinistra deve, dentro la coalizione, difendere con tutta la forza necessaria le sue ragioni e la sua autonoma identità.
Busta: 8
Estremi cronologici: [2000?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -