[SUSSIDIARIETÀ]
Appunto di Riccardo Terzi
1) Penso che si tratti di una novità costituzionale molto rilevante e positiva, sia nella sua dimensione verticale, che regola i rapporti tra i diversi livelli istituzionali, sia soprattutto in quella orizzontale, che apre lo spazio ad un intervento diretto dei cittadini nel campo delle decisioni pubbliche, prima riservato al monopolio esclusivo dell’amministrazione statale. Nella formulazione che alla fine è stata adottata, dopo una lunga e complicata discussione, non c’è una logica “privatistica”, ma c’è piuttosto una logica “partecipativa”, che offre per la prima volta un sostegno costituzionale alla libera iniziativa dei cittadini e delle loro associazioni, superando così l’identificazione di “pubblico” e “statale”. Si apre così la strada ad un possibile processo di riforma della pubblica amministrazione, introducendo una diversa logica: da una struttura verticale e burocratica ad un rapporto di collaborazione e di integrazione tra società civile e amministrazione. In questo processo, sono da sottolineare più le opportunità che i rischi. Il rischio maggiore è che la forza d’inerzia delle attuali strutture burocratiche finisca per tenere tutta la situazione bloccata, e che dunque tutte le potenzialità innovative vengano inceppate. In effetti, fino ad ora non si sono visti grandi cambiamenti, e la sussidiarietà rischia di essere solo una parola di moda, abusata e spesso deformata, senza farne la leva per una coerente azione di riforma.
2) Non credo che il problema sia quello di definire un “modello”, ma che si tratti piuttosto di incoraggiare la più ampia sperimentazione, riconoscendo la legittimità di diverse impostazioni e di diversi indirizzi operativi. Se vogliamo sbloccare una situazione burocratizzata, non possiamo certo pretendere di ingabbiare l’azione di riforma in uno schema rigido, non possiamo cioè riprodurre quello che è il difetto principale della struttura amministrativa, la sua mancanza di flessibilità e la sua incapacità di adattarsi alla varietà dei contesti sociali. La sussidiarietà si regge sull’ipotesi che nella società non ci sono solo interessi corporativi e comportamenti egoistici, ma c’è anche, nei diversi soggetti, una possibile apertura verso il bene comune e verso un progetto di comunità solidale. L’interesse generale e l’interesse individuale o di gruppo non sono rigidamente separati: da un lato lo Stato come unico depositario del bene collettivo, dall’altro una società civile che si configura solo come il luogo dei particolarismi. Questa schematizzazione è falsa su entrambi i lati, perché esistono risorse civili non corporative, e d’altra parte le istituzioni pubbliche non sono affatto messe a riparo da possibili deformazioni privatistiche, come dimostra tutta la situazione attuale della cosa pubblica, investita da un gigantesco conflitto di interessi. Se dunque nuovi attori entrano in campo, se si allarga la partecipazione politica, si può sperare che ciò possa produrre una più accettabile sintesi di pubblico e privato.
3) La laicità è la forma del nostro stato democratico, è lo spazio pubblico comune nel quale ciascuno può agire in un libero confronto, in una competizione costruttiva tra i diversi progetti. La sussidiarietà è il tentativo di allargare questo spazio comune, di aprirlo a nuovi soggetti. In questa democrazia partecipativa ciascuno potrà operare sulla base dei propri convincimenti, anche di carattere religioso, ma non ci potrà essere nessuna forma di “fondamentalismo etico”, perché si tratta di uno spazio aperto e plurale. I titolari della sussidiarietà sono esclusivamente i cittadini, nelle forme associative e organizzative che essi liberamente decidono di assumere. Se in questa rete associativa c’è anche una presenza significativa delle correnti religiose, soprattutto cattoliche, ciò può essere uno stimolo ad una competizione tra diversi indirizzi culturali, sul piano delle idee e sul piano delle concrete realizzazioni. Laicità non vuoi dire statalismo. È nel processo sociale e nella pratica partecipati va che dobbiamo far vivere i valori comuni del nostro ordinamento costituzionale.
4) Il modello lombardo è il tentativo di interpretare la sussidiarietà come privatizzazione. Ma si tratta di una forzatura non legittimata da una corretta lettura del testo costituzionale, il quale affida alle istituzioni politiche, ai diversi livelli, il compito essenziale di garantire l’eguaglianza dei diritti fondamentali e la salvaguardia dei beni pubblici di interesse generale. La stessa sussidiarietà può funzionare bene solo se le istituzioni svolgono una forte funzione regolatrice. Essa non significa una ritirata del pubblico a vantaggio del privato, ma un diverso modo di organizzare il pubblico, coinvolgendo nella misura più larga possibile le risorse civili, così da sviluppare una “cittadinanza attiva”. Si tratta dunque di allargare la dimensione del pubblico, mettendo in moto nuovi attori sociali, che vengono chiamati a partecipare al processo decisionale. In questo senso, i processi di privatizzazione non hanno nulla a che fare con la sussidiarietà. In alcuni casi possono essere utili ed efficaci. Ma l’ideologia privatistica resta comunque estranea al nostro impianto costituzionale.
Busta: 5
Estremi cronologici: [2001?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -