ANZIANI E SISTEMI DI WELFARE
Lombardia, Italia, Europa. Rapporto 2005 SPI CGIL-Cadef
Indice
Anziani e politiche sociali: elementi per una riflessione, di Carla Facchini e Riccardo Terzi
Invecchiamento della popolazione e trasformazioni dei modelli familiari in Lombardia, di Carla Facchini
L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Europa, di Franco Pesaresi e Cristiano Cori
Le politiche sociali e legislative per gli anziani nel sistema dei servizi italiano, di Paolo Ferrario
Convergenze e divergenze nelle politiche sociosanitarie regionali per gli anziani in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, di Barbara Da Roit
Anziani e politiche sociali: elementi per una riflessione
di Carla Facchini e Riccardo Terzi
Negli ultimi anni si è aperto, in tutti i paesi europei, un ampio dibattito sulle prospettive del welfare, su quali debbano essere le strategie da adottare perché esso risponda al nuovo quadro economico e sociale che si viene delineando. Alla base di tale dibattito vi sono sia le trasformazioni socio-demografiche, sia le caratteristiche proprie del complesso delle politiche pubbliche.
Un primo fattore che comporta la necessità di una riformulazione del welfare è determinato dai mutamenti in corso nella struttura della popolazione e nelle tipologie familiari. Come noto, gli ultimi decenni sono stati infatti caratterizzati da un aumento della speranza media di vita, riconducibile al miglioramento delle condizioni alimentari e abitative e ai progressi in campo medico. Tale aumento si è tradotto in un incremento della popolazione anziana e, in particolare, di quella molto anziana, fortemente soggetta da un lato a patologie “acute” che richiedono cure sanitarie specifiche, dall’altro a fenomeni di non autosufficienza e di perdita delle autonomie funzionali: sono quindi aumentate le richieste di prestazioni e di servizi sanitari e assistenziali. Nello stesso tempo, poiché l’incremento della speranza di vita si è intrecciato ad un declino dei quozienti di natalità, e quindi ad una diminuzione delle classi di età più giovani, l’incidenza della popolazione anziana sul totale della popolazione è fortemente aumentata comportando, in particolare, un mutamento del rapporto tra popolazione attiva -che contribuisce al finanziamento del sistema pensionistico -e numero dei soggetti che fruiscono di trattamenti di quiescenza (Pennacchi 1997).
Altrettanto rilevanti sono stati i mutamenti delle tipologie familiari. Il modello “tradizionale” di famiglia, composto dai due genitori e da più figli, è sempre più affiancato da nuclei monogenitoriali, da famiglie ricostruite e, soprattutto da singleness (Zanatta 1997, Blangiardo 200 l, Saraceno e Naldini 200 l ); nello stesso tempo, da un lato crescono fenomeni di precarietà, di incertezza, di “destrutturazione” del corso di vita (Saraceno 1986, Melucci 1995, Facchini 1997), dall’altro si accentuano processi di forte individualizzazione (Privitera 2002) e di accentuazione di modelli di identità fortemente improntati più all’autorealizzazione che alla doverosità (Lipovetsky 1992). La situazione attuale si configura quindi come caratterizzata sia da una crescente pluralità dei modelli familiari, sia da un infragilimento delle tradizionali reti di solidarietà familiari.
Un secondo fattore che incide sul sistema di welfare è riconducibile al mutamento dell’assetto socioeconomico. Negli ultimi anni, il tasso di crescita del prodotto interno lordo è stato modesto e conseguentemente limitata è stata la creazione delle risorse economiche necessarie a rispondere alla crescente pressione del sistema pensionistico e di quello sanitario; tale stagnazione ha poi effetti amplificati dalle politiche economiche antinflattive e dal maggior controllo sulla spesa pubblica, anche conseguenti alla costituzione dell’unità economica europea.
Nello stesso tempo, questi anni sono stati segnati da rilevanti trasformazioni dell’organizzazione e dei rapporti di lavoro, sintetizzabili da un lato in un ridimensionamento del lavoro strutturato, stabile e regolare e in uno speculare aumento di lavoro autonomo (o a esso assimilabile), dall’altro nella diffusione di nuovi rapporti di lavoro dipendente, caratterizzati da una minore tutela previdenziale (Mingione e Pugliese 2002, Reyneri 2002). Ciò comporta, oltre a elementi di crescente incertezza per i soggetti coinvolti (Bauman 1997, Beck 2000), una difficoltà a reperire le risorse economiche necessarie per coprire i diversi settori di intervento sociale (Fenua 1998, Rossi 1997), specie a fronte di una difficoltà politica ad aumentare il livello di imposizione fiscale diretta.
Se alla base del dibattito sul sistema di welfare vi sono soprattutto questi mutamenti sociali, economici e culturali in atto, un ruolo non secondario è svolto anche dalle concrete forme che tale sistema ha assunto negli ultimi decenni o, più precisamente, dalle critiche avanzate, da più fronti, verso di esso. Diversi studiosi hanno infatti rimarcato le inefficienze e le inefficacie del sistema di welfare, ovvero la modesta produttività degli interventi e i modesti risultati ottenuti (Fargion 1997); altri hanno invece sottolineato il rischio che non pochi interventi, invece di promuovere autonomia e uscita dalla condizione di bisogno, favoriscano una passività dei soggetti stessi e delle famiglie e diano luogo a spirali di subalternità e di dipendenza (Donati 1998, De Leonardis 1998).
Mutamenti “di fondo” e critiche al concreto funzionamento del ‘welfare attraversano tutti i paesi europei (Esping Andersen 2002), ma in Italia essi hanno assunto un rilevo del tutto peculiare.
Anzitutto, in Italia il processo di invecchiamento della popolazione è stato più rapido e più consistente rispetto agli altri paesi; in secondo luogo, più modesto è il tasso di occupazione, specie femminile (Villa 2004), minore il tasso di crescita economica, più consistente il livello di evasione fiscale. Il risultato è che a fronte di un’aumentata pressione del sistema previdenziale e di quello sanitario, limitate appaiono le risorse concretamente disponibili.
Anche i mutamenti familiari risultano avere, nel nostro paese, una portata più consistente, non tanto perché tali mutamenti siano stati, “oggettivamente” più consistenti rispetto agli altri paesi, ma in quanto in Italia la famiglia ha una specifica centralità sia rispetto a processi di mediazione redistributiva a livello sociale (Esping Andersen 1990, Saraceno 1998, De Nicola e Donati 2002) sia rispetto alle reti di solidarietà informale, data la minor presenza di volontariato e di associazioni di self-help (Sciolla 2004). Se tale centralità ha finora comportato una domanda di servizi sociali meno pressante (Gori 2001), i mutamenti in atto avranno però, sulle domande di sostegno dei soggetti “deboli” e quindi sulle politiche pubbliche, un impatto ancor più consistente rispetto ad altri paesi in cui le trasformazioni sono state più diluite nel tempo e in cui le politiche sociali sono più consistenti e il “terzo settore” più diffuso.
Infine, gioca sulla specificità italiana il fatto che le inadeguatezze, le disfunzioni, le “trappole” del welfare (Ferrera 1998) appaiono decisamente più considerevoli che in altri paesi nei quali queste politiche hanno avuto una più lunga tradizione e un maggior radicamento nella coscienza collettiva.
Come noto, diverse sono le soluzioni proposte, così come diversi i valori sottostanti. Schematicamente si possono individuare due modelli analitici, cui corrispondono diversi modelli propositivi (Maccarini e Grandini 1998): il primo modello pone l‘accento sull’autonomia dei gruppi sociali e sulla loro soggettività, il secondo lo pone invece sui valori dell’uguaglianza, in termini di pari opportunità offerte ai soggetti, e della libertà, intesa come insieme di capacità positive atte a effettuare azioni concrete. Per il primo modello il problema è quello di una radicale trasformazione del welfare, in cui i soggetti principali dovrebbero essere l’associazionismo, il volontariato, il “terzo settore”; per il secondo modello, invece, lo stato sociale rimane tuttora sostanzialmente valido, pur con i suoi limiti e le conseguenti necessità di assestamento, sia per quanto riguarda le modalità di erogazione dei diversi servizi, sia per quanto riguarda i livelli istituzionali competenti.
L’obiettivo di questo volume è però non tanto quello di proporre una riflessione sul dibattito teorico in corso, quanto quello di offrire strumenti conoscitivi sia per quanto riguarda gli scenari del mutamento demografico e familiare, sia per quanto riguarda la legislazione e l’assetto normativo.
La prima parte del volume, che sviluppa un percorso di riflessione e di confronto iniziato negli scorsi anni tra gli autori e il Settore alle Politiche Sociali della Provincia di Milano, è così dedicata al mutamento demografico in atto, sia per quanto concerne il processo di invecchiamento della popolazione, sia per quanto concerne le tipologie familiari. È sembrato infatti opportuno considerare, oltre che i mutamenti della struttura della popolazione, quelli che hanno coinvolto le famiglie, proprio per il ruolo centrale che esse continuano ad avere nel sistema di cura, come ammortizzatori sociali rispetto alla fragilità economica e alle problematiche legate alla non autosufficienza delle persone anziane. L’obiettivo è di evidenziare i mutamenti di fondo che caratterizzano i diversi paesi europei e, in particolare, il paese “Italia”, cogliendo, nello stesso tempo, la specificità della situazione lombarda e delle sue diverse aree.
La seconda parte del volume è invece dedicata all’analisi del mutamento in atto nelle politiche pubbliche rivolte alle persone anziane.
Se uno dei risultati del dibattito e del complessivo ripensamento del sistema di welfare è che, in quasi tutti i paesi, si è assistito, negli ultimi anni, all’introduzione di elementi di innovazione, sia sotto l’aspetto normativo, sia per quanto riguarda l’implementazione dei diversi servizi, occorre però rimarcare che, anche rispetto a queste innovazioni, l’Italia si pone in una situazione del tutto peculiare. I mutamenti legislativi specifici infatti da un lato si sono intrecciati con i più complessivi mutamenti istituzionali che hanno comportato un crescente passaggio di consegne, proprio nel settore sociale e in quello sanitario, verso gli enti locali (in primis la regione e i comuni), dall’altro si sono dovuti confrontare con una legislazione complessiva sull’assistenza assai datata (è appena il caso di ricordare che la legge precedente alla 328 promulgata nel 2000 era la legge Crispi, del 1898) è caratterizzata dalla presenza di una molteplicità di decreti e di norme applicative che rendevano, e rendono tuttora, il quadro normativo decisamente frastagliato.
È sembrato quindi importante affrontare il mutamento normativo attraverso tre saggi, che trattano rispettivamente i mutamenti nei principali paesi europei, l’assetto nazionale di tali politiche e alcune legislazioni regionali.
Il saggio di Franco Pesaresi e Cristiano Gori, oltre a fornire una puntuale ricognizione delle politiche sociali rivolte alla popolazione anziana nei principali paesi europei, offre importanti spunti per una riflessione su queste diverse politiche, in particolare sui nodi critici legati alla loro effettiva implementazione. Diversi sono gli ambiti di intervento considerati: le forme di sostegno alla domiciliarità, le politiche di supporto ai care-giver informali, in primis i familiari, i servizi di tipo residenziale, le normative a carattere previdenziale, come nel caso dell’assicurazione obbligatoria per la non autosufficienza in Germania.
Il saggio di Paolo Ferrario ripercorre invece l’insieme dell’assetto normativo italiano rivolto a questa fascia di popolazione. Nella sua analisi, Ferrario considera non solo la legislazione sociale, ma anche i mutamenti in atto nel sistema pensionistico e l’assetto dei servizi sanitari regionali, con particolare riferimento al progetto obiettivo anziani, ai piani sanitari nazionali e alle politiche legislative per l’integrazione sociosanitaria. Infine, vengono esposte le linee di fondo relative agli interventi nel campo dei servizi a carattere più marcatamente socioassistenziale, ovvero ai servizi sociali comunali e ai servizi di tipo residenziale. In particolare, il saggio ben evidenzia come mentre il comparto sanitario e quello previdenziale presentino, pur con tutti i loro noti limiti e i continui assestamenti, un assetto normativo assai strutturato e la presenza di effettivi “diritti”, il campo socioassistenziale risulti assai meno strutturato e assai meno in grado di delineare una reale diffusione del diritto all’assistenza per i soggetti non autosufficienti (Tesauro 2001).
Il saggio di Barbara Da Roit presenta infine un’analisi comparata di alcune legislazioni regionali in campo sociosanitario. I casi considerati sono, oltre alla Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna. Due sono i principali motivi per i quali l’analisi si è soffermata su queste regioni. Il primo è che le strutture economiche sono relativamente simili: comuni sono la rilevanza del settore industriale e del terziario avanzato, l’elevato livello di occupazione, specie femminile, la consistente diffusione di lavoro tutelato e strutturato. Il secondo motivo attiene invece al fatto che queste regioni, pur avendo difformi collocazioni politiche, sono caratterizzate sia da una diffusa presenza (rispetto alla maggior parte delle altre regioni, specie meridionali) di associazioni e di organizzazioni di volontariato (laico e a carattere religioso), sia da radicate tradizioni nel campo dei servizi sociali, di cui le articolate legislazioni specifiche sono nel contempo indicatori e prodotto (De Leonardis 2002).
Complessivamente, l’obiettivo di questo volume è dunque quello di fornire elementi conoscitivi che possano costituire una sorta di piattaforma comune per il dibattito, che, non raramente, tende a essere connotato da una forte astrazione e da un non adeguato livello di conoscenza degli effettivi mutamenti in atto e delle effettive legislazioni in materia. Elementi conoscitivi ancor più importanti per un’organizzazione come il sindacato pensionati che sviluppa la sua azione politica proprio mediante la contrattazione su questi temi, sia a livello nazionale, sia, sempre di più, anche per i mutamenti del quadro istituzionale, a livello locale, regionale e territoriale. Se la dimensione regionale risulta la più adeguata per realizzare la programmazione e la progettazione delle politiche e per delineare l’uso sinergico delle risorse, la territorialità sovracomunale, con l’eccezione dei centri di grandi dimensioni, risulta infatti l’ambito più coerente per l’organizzazione e la gestione dei servizi e degli interventi.
Territorialità quindi come ambito entro cui si erogano prestazioni e si raccolgono esigenze, bisogni e necessità e territorialità come ambito che, con la sua rete di relazioni tra soggetti destinatari, operatori pubblici, operatori della solidarietà, concorre, attraverso specifici momenti concertativi con la regione, alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Territorialità che però non può voler dire chiusura nel particolarismo e nel “quartierismo” locale.
Ne consegue la necessità, da un lato, di una conoscenza articolata della concreta realtà in cui si opera, dall’altro di una consapevolezza altrettanto forte delle grandi tendenze del mutamento e degli snodi teorici del dibattito a esso connesso.
Detto altrimenti, l’obiettivo di questo lavoro è quello di fornire una sorta di “cassetta degli attrezzi” (Elster 1993) per studiosi e decisori politici, che li aiuti a evitare, assieme a quelle che Ferrera, nel fortunato titolo del suo lavoro, ha chiamato le “trappole del welfare”, i rischi di difendere acriticamente l’esistente, ma anche di assecondare mutamenti non sufficientemente ponderati.
Riferimenti bibliografici
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Busta: 64
Estremi cronologici: 2005
Autore: Carla Facchini (a cura di)
Descrizione fisica: Volume, ill., b/n, 230 pp.
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Pubblicazione: Franco Angeli, Milano, 2005