CATTOLICI SUI PIEDI, MARXISTI SULLA TESTA

di Riccardo Terzi

Qualcosa ci lascia ancora insoddisfatti nel modo in cui da una parte e dall’altra si affronta oggi il tema del confronto fra cattolici e marxisti. Forse sarebbe utile dare un senso preciso a questa insoddisfazione. In questo secondo dopoguerra, quando la minaccia di una guerra di sterminio cessava di essere una frase retorica e propagandistica, Togliatti lanciava un appello perché, di fronte a questa minaccia, cadessero le divisioni e le intolleranze reciproche. Si trattava – e si tratta tuttora – di operare con tutti gli strumenti disponibili per raggiungere un obiettivo politico determinato (il disarmo), capace di cogliere le esigenze generali dell’uomo moderno. Era un discorso politico: si chiedeva al mondo comunista di non identificare la causa della pace con la causa del socialismo, e di riconoscerne la autonomia, e al mondo cattolico di sostituire alla “pace cristiana”, da realizzarsi dopo il trionfo del bene sul male, la pace profana che si giustifica non con le astrattezze teologiche, ma col semplice fatto che la maggioranza degli uomini non vuole la guerra.

Con la stessa concretezza politica, Togliatti ha poi allargato il discorso, ponendo di fronte alla coscienza (serena o sofferta) dei militanti cattolici il problema dello sfruttamento sociale, e quindi del socialismo come negazione di questo sfruttamento.

Se cerchiamo di definire il fondamento teorico di questo appello al mondo cattolico, lo troviamo nella consapevolezza che la religione è un movimento storico, è un prodotto degli uomini, e non un complesso immutabile di dogmi. I cattolici si reggono sui piedi e non sulla testa; e la religione non è che un’espressione – deformata fin che si vuole – di questo loro – reggersi sui piedi. In una parola, non dobbiamo prendere la religione per quello che dice di essere, e cioè un qualcosa che viene all’uomo dall’alto dei cieli, ma secondo la sua natura umana e terrena, che invano essa cerca di trascendere e di negare. Il “valore” della religione – se così possiamo esprimerci – sta in questo suo fallimento.

D’altronde, per un marxista dovrebbe essere cosa acquisita che la storia dell’uomo non è una storia delle idee. E allora, perché discutere tanto di “incompatibilità” delle ideologie e sbandierare la purezza dei princìpi? O viceversa ricercare impossibili alchimie ideologiche?

Si tratta più semplicemente di non discutere delle ideologie (il marxismo non è una ideologia) e di far politica.

In un senso analogo ha inteso il “dialogo” anche Giovanni XXIII: egli insiste sulla distinzione fra le ideologie, come cristallizzazioni del pensiero, e i movimenti storici. Le ideologie non esauriscono la storia, anzi sono molto più povere e più arretrate. Per questo, nella nostra partecipazione alla storia, non dobbiamo lasciarci guidare dagli schematismi ideologici, ma guardare in modo disincantato alla sostanza delle cose. Così il movimento comunista non è riducibile alla “ideologia” marxista (dovrebbe anzi essere la negazione del marxismo come ideologia), e bisogna saper guardare alle istanze concrete che esso esprime e sostiene. La conclusione è la stessa: la possibilità di un dialogo, sul terreno storicopolitico.

A questo punto, sembra che tutto sia appianato. I comunisti riconoscono che con i cattolici si può e si deve discutere; i cattolici, da parte loro, dicono la stessa cosa. Tutti sono convinti che le ideologie non devono dividere, e che esiste un terreno comune di discussione, e forse anche di iniziativa.

Ma possiamo dire che la discussione sia cominciata, una discussione sulle cose, sui problemi? Forse sta qui la nostra insoddisfazione.

Si è perduto il senso di quell’appello che Togliatti rivolgeva al mondo cattolico, un appello per costruire un ordine nuovo, per lavorare insieme. E ci si è accontentati di “teorizzare” il dialogo: ecco allora nascere tutte le discussioni sui “valori” antagonisti o no, le affermazioni intransigenti e le concessioni ideologiche, Si è discusso all’infinito come, entro quali limiti e per quali obiettivi realizzare questo dialogo, se bisognava dialogare con cattolici perché sono cattolici o malgrado siano cattolici. Ma, tirando le somme, non si è ancora cominciato a discutere.

Non voglio dire che questi problemi non esistono, ma non possono essere risolti al di fuori di una verifica. Se crediamo che i cattolici siano disponibili per un discorso anticapitalistico, mettiamoli alla prova. Si tratta di decidere se ci interessa il dialogo in sé, come puro fatto spirituale, o se il dialogo è in funzione di obiettivi determinati.

Io credo che non ci debbano essere dubbi. Ci interessa discutere per allargare lo schieramento di forze che lottano per il socialismo.

Il socialismo è conciliabile con la tradizione cattolica? È una questione mal posta: certo, se guardiamo alla sostanza della religione, ci accorgiamo che l’azione rivoluzionaria, in quanto superamento pratico delle contraddizioni, si distingue profondamente dall’atteggiamento religioso, che consiste in un superamento mistico e ideale. Ma la forza della rivoluzione sta appunto in questa sua capacità di bruciare gli intralci ideologici e di conquistare le masse alla sua logica rigorosa.

La rivoluzione proletaria è l’emancipazione della società intera, e questa società si esprime ancora, in larga misura, nelle forme della coscienza religiosa, per cui la stessa spinta anticapitalistica, che sorge obiettivamente dalle contraddizioni sociali, non si ritrova allo stato puro, ma attraverso la mediazione delle coscienze. Non sono cose nuove: ogni pagina di Marx ci insegna che la storia precede le idee, che bisogna cambiare la società per cambiare la coscienza degli uomini. Non poniamoci quindi dei falsi problemi, non facciamo del marxismo una delle tante ideologie che deve misurarsi con le altre. In questo senso fra l’ateismo e la religione non corre nessuna differenza. Il marxismo è un’altra cosa, è la coscienza critica del proletariato nella fase della sua lotta rivoluzionaria. Vediamo dunque come questa coscienza rivoluzionaria può svilupparsi. E allora bisogna discutere di cose precise: non dei valori, ma della dinamica delle forze sociali, della lotta di classe, della strategia per il socialismo. Bisogna discutere di politica e fare politica.



Numero progressivo: L35
Busta: 9
Estremi cronologici: 1965, febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Cultura -
Pubblicazione: “La città futura”, febbraio 1965