CRITICA DELLA RAGIONE DIALETTICA

Recensione di Riccardo Terzi al libro di Sartre “Critica della ragione dialettica”

L’ultima opera filosofica di Sartre, Critica della ragione dialettica, ci offre molti motivi di interesse e uno stimolo vivo alla ricerca.

Il punto di partenza di Sartre è il riconoscimento del marxismo come filosofia dominante, nel senso che il marxismo è l’unico strumento teorico che ha l’uomo moderno per comprende in maniera organica e razionale la realtà in cui si trova a vivere, è cioè la coscienza demistificata della realtà contemporanea. Sartre ha chiara coscienza del carattere “storico” del marxismo, del fatto, cioè, che non è una filosofia definitiva, ma è solo la filosofia del proletariato nel periodo della sua ascesa, è il momento razionalizzante della sua lotta rivoluzionaria. Ma proprio perché questa ascesa e questa lotta rappresentano il movimento di fondo della storia presente, solo il marxismo sa spiegare questa storia nella sua dimensione essenziale. La prospettiva politica che il proletariato avanza non è solo una soluzione dei problemi particolari del proletariato, ma è la risoluzione dei problemi di tutta la società, è la sua generale emancipazione; per cui il proletariato è in grado di conquistare una “egemonia” che mette progressivamente in crisi il pensiero borghese.

 

L’esistenzialismo sartriano

L’esistenzialismo sartriano è nato da questa crisi, qualificandosi non come un soggettivismo piccolo-borghese che reagisce al marxismo in nome di una vuota soggettività, ma come un umanismo che rifiuta ogni idealismo e ogni mistificazione, trovando larghe convergenze col marxismo stesso. Ma la convergenza non riesce ad essere totale perché i problemi particolari del soggetto e dell’esistenza, sollevati con urgenza dalla “crisi”, non trovano posto in un marxismo che si è schematizzato e che ha interamente assorbito l’individuo nella classe. Qui la polemica di Sartre si fa aspra: i marxisti hanno cristallizzato e dogmatizzato il marxismo, trasformando quelli che erano degli schemi interpretativi delle idee regolatrici in un sapere assoluto e definitivo per cui la realtà non viene scoperta e compresa nella sua particolarità, ma inserita con un procedimento aprioristico in categorie precostituite, cadendo così in una nuova forma di idealismo. Non ci è dato di sciogliere i nodi della polemica; ci importa invece rilevare come essa sia rivolta non contro il marxismo; ma contro certi marxisti contemporanei, per cui il problema è quello di stabilire se il mancato inserimento dell’esistenzialismo sartriano nel marxismo sia dovuto a una chiusura verificatasi nel pensiero marxista o ad una originaria incompatibilità.

Io credo di poter escludere questa seconda ipotesi. Sartre dice che «gli uomini fanno la loro storia sulla base di condizioni reali anteriori… ma sono essi che la fanno e non le condizioni anteriori, altrimenti essi sarebbero i semplici veicoli di forze inumane, che reggerebbero, attraverso di loro, il mondo sociale». Ponendo l’accento con forza sulla prassi umana, che supera la situazione data di fronte alla quale si trova, creando una realtà nuova o originale, Sartre intende restituire alla dialettica marxista il suo senso originario. La dialettica non è un movimento meccanico e determinato, né una forza super-umana che genera da se stessa il processo storico, ma implica la mediazione del soggetto della prassi umana.

Si introduce così il concetto di “progetto”, come “superamento soggettivo dell’oggettività verso una nuova oggettività”, come “unità vivente della soggettività e dell’oggettività”. Solo questa mediazione del progetto ci permette di respingere ogni concezione meccanicistica o metafisica della dialettica e ci fa comprendere che il risultato della prassi è una realtà nuova con un suo significato originale, non deducibile dalla realtà superata, che anzi si trova nella realtà nuova con una dimensione diversa.

Tutto questo è perfettamente in linea col pensiero di Marx, per cui «il primo presupposto di tutta la storia umana è naturalmente l’esistenza di individui umani viventi», ed esistono soltanto gli individui reali e le loro relazioni. La stessa istanza umanistica è in Marx ed in Sartre, pur con accenti diversi.

L’esistenzialismo di Sartre sfugge all’individualismo borghese, perché l’individuo non è da lui visto astrattamente, come soggettività vuota, ma come individuo reale, condizionato dai rapporti di produzione; in questa prospettiva l’individuo è quello che è perché è in relazione con gli altri individui e perché questa relazione è di un certo tipo, per cui parlare dell’individuo è parlare degli individui, degli uomini reali e dei loro rapporti, rimanendo intatta l’irreducibile specificità dell’individuo singolo. Per Sartre l’individuo è un modo particolare di vivere la totalità, ed egli vuole solo che la totalità non finisca per assorbire l’individuo negandolo.

La sua polemica è quindi diretta contro quello che Marx chiama «economicismo», contro le posizioni che riducono l’azione degli uomini ai rapporti materiali di produzione, che riducono quindi gli individui umani viventi a «semplici veicoli di forze inumane», per cui il marxismo si trasforma in «inumanismo». È invece necessario trovare una mediazione fra la “libertà” degli uomini ed il condizionamento materiale: tale mediazione è costituita dalla prassi, che non è azione arbitraria e velleitaria né azione meccanica determinata, ma è azione condizionata e condizionante, che si colloca necessariamente all’interno di una data realtà con certe sue leggi di sviluppo, e che su questa realtà liberamente agisce, trasformandola. Il movimento dialettico ha senso solo per l’intervento della prassi, che opera una salto di qualità.

A questo punto si impone la domanda più importante: se questo sviluppo che Sartre opera del marxismo vada nella direzione giusta, se cioè corrisponda alle esigenze di comprensione dell’attuale movimento oggettivo dei rapporti capitalistici. Il capitalismo va, come sappiamo, nella direzione del superamento dell’economia di mercato, verso un sempre maggiore integrazione fra il capitale privato e il potere dello Stato, verso un capitalismo monopolistico di Stato, che aggrava le condizioni di alienazione e di subordinazione della classe operaia attraverso un’opera massiccia di condizionamenti, attraverso la creazione artificiale di nuovi bisogni e cercando di dividere la classe operaia e di inserirla nell’impresa in funzione subalterna. Oggi, la validità della strategia rivoluzionaria del proletariato la si misura dalla capacità di combattere la borghesia quale si presenta, oggi, di combattere cioè il neocapitalismo, e combattere il neocapitalismo significa anzitutto, per la classe operaia, combattere ogni forma di socialdemocrazia, il cui significato sta nell’esercitare una funzione critica interna, che col procedere dello sviluppo capitalistico è sempre più interna e sempre meno critica.

L’esigenza espressa da Sartre di accentuare il carattere antipositivistico del marxismo corrisponde esattamente ai nuovi bisogni del proletariato; la socialdemocrazia è infatti oggi la legittima erede del positivismo. Essa intende il socialismo come il risultato meccanico delle contraddizioni del capitalismo, come un semplice complesso di trasformazioni economiche a cui è estranea la volontà rivoluzionaria, il contributo cosciente degli uomini. Per questa via il movimento operaio non è avviato al socialismo, ma alla alienata società del benessere: una società non può emanciparsi senza avere la coscienza di emanciparsi. Per questo alla falsa prospettiva della socialdemocrazia dobbiamo contrapporre il socialismo come alternativa che si conquista, come scelta, come sintesi superiore che attui un salto qualitativo.

Il pensiero di Sartre risponde inoltre all’esigenza attuale di superare i residui dello stalinismo, che è caduto nell’errore di idealizzare e mitizzare la realtà, riducendola a categorie astratte. Lo stalinismo parla di una realtà che non esiste, parla della classe proletaria e non dei proletari, è una mistificazione che porta con sé quella forma di imborghesimento che è la burocratizzazione. Il richiamo di Sartre agli uomini viventi, alle situazioni concrete viene incontro all’esigenza che ha oggi il movimento operaio di liberarsi di questo idealismo e di ricollegarsi alla vita reale, ai problemi reali delle masse.

 

L’ideologia marxista

C’è infine un terzo movimento, il movimento ideologico del marxismo che si afferma come filosofia dominante. Ora, perché il marxismo possa affermare la sua egemonia e mettere definitivamente in crisi il pensiero borghese, è necessario che sia in grado di dare una risposta agli interrogativi che emergono oggi con urgenza nella società borghese. Fra questi interrogativi acquista sempre maggiore rilevanza la problematica dell’individuo che si trova in opposizione con la società, che può affermarsi solo negando gli altri, che è isolato, ridotto a un frammento di realtà.

Il problema non si può risolvere semplicisticamente dicendo che l’individuo nella società borghese è necessariamente alienato, e che l’unica salvezza è nel salto qualitativo verso il comunismo, che libera l’individuo dalla estraniazione e risolve i suoi problemi, togliendo di mezzo l’antinomia individuo-società. Tutto questo è vero, ma è una verità schematica generale; non possiamo fermarci qui, perché ciò significherebbe spostare il problema, rinviarlo, nell’attesa di una soluzione miracolistica.

I marxisti contemporanei – dice Sartre – hanno dimenticato che l’uomo alienato e codificato rimane tuttavia uomo. I problemi del singolo nel mondo alienato, i suoi tentativi di superare l’alienazione, i suoi fallimenti, il problema delle forme di vita che permettano una graduale e parziale conquista dell’autenticità, tutto questo non può essere eluso: sono i problemi reali della nostra esperienza vissuta, di noi uomini che non viviamo nella società comunista, ma nel mondo alienato della società borghese, di cui abbiamo ereditato le lacerazioni e le tare morali. Riconoscere semplicemente l’alienazione e rimandare la soluzione non è moralmente legittimo, come non è legittimo accettare la morale borghese fin quando si è in un mondo borghese, aspettando che il socialismo instauri una nuova morale. Anche questo modo di pensare è positivistico, perché vede il movimento verso il socialismo come un movimento esterno alle coscienze.

Trascurare i problemi dell’esistenza che noi oggi viviamo, ignorare il travaglio ideale e morale di larga parte degli intellettuali borghesi, con i loro fermenti critici, significa rinunciare ad una egemonia culturale, significa porsi fuori dal movimento reale che passa attraverso queste tappe, attraverso queste esperienze, crisi e fallimenti. Il pensiero di Sartre risponde a queste esigenze, ritrovando il particolare nella totalità storica.



Numero progressivo: L30
Busta: 9
Estremi cronologici: 1962, 21 ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagina quotidiano
Tipo: Recensioni
Serie: Cultura -
Pubblicazione: “Nuova generazione”, 21 ottobre 1962