MANCA UN EMENDAMENTO: LO PROPORRÒ A MILANO
Parla Riccardo Terzi, leader della destra PCI
Intervista di Stefano Carluccio a Riccardo Terzi
Insoddisfatto per la sintesi delle tesi e per il dibattito, Terzi si augura che il congresso non sia già finito. Su “alternativa” e “centralismo”, lui comunque, se potrà, lo riaprirà
Mancano pochi giorni ormai all’assemblea congressuale dei comunisti milanesi. Mercoledì prossimo, infatti, con la relazione di apertura del segretario provinciale Luigi Corbani, prenderanno il via al Teatro Lirico i lavori che proseguiranno fino a sabato quando, dopo le conclusioni di Alessandro Natta verranno eletti i nuovi dirigenti e i delegati milanesi al congresso nazionale.
«Noi e Milano» prosegue anche questa settimana ad ospitare il dibattito sulle tesi del PCI promosso da un articolo di Carlo Tognoli: dopo la risposta a Tognoli del segretario regionale comunista, Roberto Vitali, è la volta quest’oggi di Riccardo Terzi, membro della segreteria regionale e del Direttivo nazionale della CGIL, e, in altra parte del giornale, del segretario regionale del PSI Ugo Finetti.
L’interesse nel registrare l’opinione di Riccardo Terzi è data dal fatto che nel corso della sua permanenza alla carica di segretario provinciale del PCI milanese dal ’75 all’81, ebbe modo di esprimere posizioni polemiche rispetto alla linea nazionale del suo partito (allora della «solidarietà nazionale») affermando per primo la necessità di definire una linea d’alternativa democratica.
Oggi toma sulla sua proposta di allora in relazione anche a ciò che ha determinato il gruppo dirigente del PCI a convocare urgentemente il congresso comunista.
«Le Tesi sfuggono al problema. Il congresso è stato deciso secondo modalità un po’ eccezionali con un’anticipazione dei tempi. Questo non è avvenuto a caso: amministrative e referendum avevano messo in evidenza uno stato di difficoltà della politica comunista. Occorreva quindi un congresso che fosse di ricerca critica e autocritica, di svolta rispetto alla situazione precedente.
Nelle Tesi prevale invece una linea di consolidamento e di conferma delle posizioni di fondo, con qualche aggiustamento parziale, ma senza avvertire che siamo ormai ad un passaggio critico che richiede scelte coraggiose.
La ragione principale delle difficoltà politiche del PCI e della sinistra, risiede nel processo di logoramento e di lacerazione del tessuto unitario. Penso al sindacato e al sistema di alleanze nel quadro locale, penso alla vicenda del referendum e ai conseguenti rischi di isolamento politico. La storia del PCI dimostra che i comunisti sono forti in proporzione alla forza e all’ampiezza del tessuto unitario.
A mio avviso – quindi – il congresso deve anzitutto operare un’inversione di rotta nel senso di un rafforzamento dei rapporti a sinistra. Nelle Tesi si parla sì di unità; del resto se n’è sempre parlato.
Il problema è se questo tema assume o no un rilievo politico centrale e se si vuol condurre in modo aperto una lotta politica contro le posizioni di arroccamento e di settarismo.»
La “radiografia” delle posizioni, a tuo avviso, è esaurita dalle differenziazioni espresse con gli emendamenti?
«C’è nel PCI un dibattito politico complesso e pluralistico che però stenta a manifestarsi, ci sono gli emendamenti resi pubblici, ma essi rappresentano posizioni parziali e sarebbe pertanto sbagliato concentrare tutta l’attenzione solo sugli emendamenti, perché resterebbero in ombra altre questioni politiche essenziali. Il tema di fondo su cui lavorare è quello dell’alternativa. Una delle difficoltà del partito è stata proprio quella per cui la proposta dell’alternativa è rimasta fumosa e generica.
Si tratta di definire meglio gli interlocutori, i punti programmatici, le condizioni politiche, gli aspetti anche istituzionali necessari a far camminare una proposta di alternativa. Questo dovrebbe essere il centro del congresso; la ridefinizione dell’alternativa democratica in un confronto aperto con le altre forze della sinistra italiana ed europea dato che è su scala europea che si pone oggi il problema dell’affermazione della sinistra come forza di governo. La proposta di “governo di programma” risponde invece a un’esigenza più immediata e contingente. È un’esigenza reale; in un momento di potenziale crisi del pentapartito occorre infatti realizzare una manovra tattica che possa influenzare gli sviluppi della situazione. Però tutto questo si può fare si può cioè avere una grande agilità tattica se c’è coerenza tra gli obiettivi intermedi e le prospettive.»
Questo congresso cambierà qualcosa nel quadro dei rapporti interni?
«Quello che è avveno al CC con l’approvazione delle Tesi è stato un tentativo di sintesi, o meglio di mediazioni che coinvolge uno schieramento molto ampio. Solo Cossutta e Ingrao e pochi altri si sono tenuti fuori da questa operazione “unitaria”. Quando ci sono le condizioni la sintesi politica va benissimo. Ma in questo caso specifico mi sembra che sia avvenuto un compromesso interno non sufficientemente chiaro che non ha aiutato una discussione più esplicita. Questa vicenda dimostra anche che è giunto a maturazione il problema del centralismo democratico; siamo di fronte alla necessità di un superamento del principio e delle regole per cui “l’unità” è un valore assoluto a cui si sacrificano anche le esigenze di un dibattito interno più chiaro. Il documento congressuale del CC è evidente che è per tutti un punto di riferimento, ma mi auguro che si vada oltre a quella sintesi e che la discussione resti aperta, che nel dibattito congressuale si affrontino i nodi che non sono stati chiariti, evitando di ridurre il confronto alla contrapposizione tra “destra” e “sinistra”. Voglio aggiungere che in generale gli emendamenti non sono condivisibili. Alcuni infatti tendono a modificare le posizioni di autonomia assunta dal partito in materia di politica interazionale. Altri, demagogici, come quello sul sindacato che costituisce una forzatura critica e un’accentuazione del tema della democrazia sindacale che mi pare pericolosa in un momento di difficile ricostruzione unitaria essenziale per il rilancio del sindacato in Italia. In generale quindi gli emendamenti vanno in una direzione che non giudico positiva.»
Perché non c’è stato anche un emendamento che chiarisse meglio queste questioni che poni?
«Se fossi ancora nel CC avrei cercato di proporlo. Cercherò di farlo al congresso di Milano. Su due questioni mi interesserebbe un approfondimento: sul tema dell’alternativa e su quello del regime interno. In sintesi io sono contrario ad introdurre delle variabili e delle subordinate come “il governo di programma” o il “governo costituente” e sono dell’opinione che la proposta politica del PCI sia con chiarezza quella di un “governo di alternativa democratica”. Questa proposta avrà i suoi tempi di maturazione, ma occorre tenerla ben ferma.
Sul regime interno inoltre penso che alcuni principi della nostra storia vadano superati. Ciò non significa che la nostra organizzazione debba basarsi necessariamente sulle correnti. Le Tesi ribadiscono che il principio dell’unità è il principio regolatore della vita interna.
Io credo al contrario che l’unità sia un obiettivo politico da raggiungere, che sia un punto di arrivo possibile ma non obbligato di un processo di confronto interno che si svolga senza remore e condizionamenti.
Busta: 8
Estremi cronologici: 1986, 10 marzo
Autore: Stefano Carluccio
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Avanti!”, 10 marzo 1986