RICCARDO TERZI È ORA DALLA PARTE DEL SÌ‚ PURCHÉ NON SIA MIGLIORISMO
Parla l’ex segretario della federazione milanese
Intervista a Terzi a cura di Guido Passalacqua
Qualcuno lo aveva intuito già domenica scorsa. Comizio di Achille Occhetto al Lirico, poi pranzo ufficiale alle Abbadesse, un noto ristorante milanese, con gli uomini del segretario tutti schierati: Roberto Vitali, segretario lombardo, Barbara Pollastrini, responsabile di una delle federazioni chiave per il progetto occhettiano, quella milanese, Claudio Petruccioli, deputato, membro della segreteria. Alla sua destra, tuttavia, Occhetto non aveva fatto sedere uno degli uomini dell’apparato, ma il segretario regionale aggiunto della CGIL, Riccardo Terzi, un outsider, e perché tutto fosse chiaro Occhetto aveva aggiunto: «Oggi mi interessa stare con Riccardo». Formalmente, Terzi è soltanto un sindacalista, in realtà è uno dei personaggi di spicco nel PCI milanese e nazionale, uno a cui da tempo il “sì” faceva una corte spietata, ma senza riuscire a stanarlo dalla sua posizione d’attesa. Ieri però un articolo su L’Unità ha risolto i dubbi. Terzi si schiera per il “sì”, ma con un distinguo: voterà la mozione, ma conserva la più ampia autonomia di discussione e iniziativa nella fase di gestione e realizzazione della costituente. Una posizione intermedia, quasi un ponte tra gli occhettiani e la sinistra nella fase postcongressuale.
Perché dopo tanti dubbi si è schierato con Occhetto?
«Ci ho pensato bene. È stata una riflessione serena. In altri momenti non ho avuto problemi a dire di no. Ma ora ho cercato di valutare a fondo tutti gli aspetti. Le motivazioni sono scritte nell’ articolo dell’ Unità. Rispetto alla proposta del segretario io ho espresso riserve e preoccupazioni. Non sono del tutto chiari i contenuti e gli sbocchi. C’è un rischio, che significhi uno sbandamento a destra, un rischio che non è ancora eliminato. A me invece interessa un confronto sui programmi del partito e della nuova formazione politica che si va delineando.»
Quarantotto anni, segretario della federazione milanese alla fine degli anni Settanta, unico nel PCI di allora a opporsi a Enrico Berlinguer a proposito del rapporto col PSI, fatto fuori dalla segreteria milanese e mandato, nell’81, a dirigere la sezione quadri del Comitato centrale, Terzi è stato ed è una bandiera per l’ala liberal del partito. Recuperato faticosamente dall’esilio romano e per approdare al sindacato, Terzi non aveva tardato a riproporsi come politico di razza. Era stato uno dei personaggi decisivi nell’operazione Trentin e nella sostituzione di Pizzinato alla guida della CGIL, così come aveva contato nel ribaltone all’interno della federazione milanese che aveva visto Barbara Pollastrini alla segreteria contro il candidato dei miglioristi Cervetti e Corbani. Insomma: un retroterra di tutto rispetto che lo avrebbe inevitabilmente collocato nell’area della mozione del “sì”. Invece dall’inizio della battaglia Terzi taceva, anzi qualcuno faceva sapere che era più vicino alla mozione di Natta, Tortorella, Ingrao.
Per lei cruciale è la costituente?
«Le posizioni del “no” sono sbagliate, rifiutare per principio la costituente mi pare sbagliato. Bisognerà giudicare dopo sui contenuti, sulle scelte programmatiche, non prima. Io sono per una scelta aperta, anche se non mi nascondo i rischi….»
Quali?
«Della vittoria di un migliorismo senza principi in cui poi tutto si potrebbe ridurre alla partecipazione del PCI al governo.»
Questo non le piace?
«Questo no, proprio no.»
Scegliendo il “sì” lei si trova in compagnia di quei miglioristi che a Milano sono stati i suoi avversari storici…
«In generale ci sono molte contraddizioni e questo vale anche per Milano. La divisione tra “sì” e “no” taglia in mezzo il partito. Ci sono compagni che hanno guidato il processo del nuovo corso da una parte e dall’altra. Mi pare giusto porsi un obiettivo di ricomposizione, in molti casi le divisioni non sono di sostanza. Per esempio a Milano un pericolo di destra è evidente per cui è altrettanto evidente la necessità di superare le divisioni artificiose tra i due schieramenti.»
Insomma lei, dopo il congresso, si collocherà in una posizione di pontiere…
«I ponti vanno tenuti aperti. Se questa chiusura fosse definitiva sarebbe un fatto dannoso per il partito.»
Allora dopo il congresso tutti d’accordo?
«No, questo non vuole dire unanimismo. Chi conosce la mia storia politica sa che io l’ho sempre combattuto. Ma vuole dire che le posizioni in campo spesso non sono molto distanti.»
Ponti aperti, ma quando?
«Io pongo l’esigenza di guardare a dopo il congresso. Resta aperto il problema della fase costituente e del programma.»
Dopo il congresso ci potrebbe essere una nuova maggioranza, diversa dall’attuale che vede i miglioristi con Occhetto e la sinistra all’opposizione?
«La situazione è aperta, in movimento e non si può escludere la possibilità di nuovi schieramenti interni.»
Ma dove sbaglia la sinistra, il “no”?
«Sono un raggruppamento composito. Non c’è solo la sinistra classica, ma il vecchio centro berlingueriano, ci sono compagni che con la sinistra poco hanno a che fare. Per me sbagliano a condurre una battaglia di principio contro la costituente e la nuova formazione politica. Diversa sarebbe stata una sinistra che avesse partecipato al processo intervenendo sui contenuti e sulla linea del rinnovamento. E poi non condivido la polemica sulla liquidazione del partito. Poste così le cose la polemica sul partito vuole solo dire la liquidazione del gruppo dirigente.»
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 28 gennaio
Autore: Guido Passalacqua
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “La Repubblica”, 28 gennaio 1990