UN PROGETTO PER LA REALTÀ CHE CAMBIA

L’articolo 18 dello Statuto va difeso con fermezza ma non è più un baluardo sufficiente per la nuova occupazione

di Riccardo Terzi

Quando si parla di lavoro, Gloria Buffo, che ne è la responsabile per il partito dei DS, dovrebbe sapere di che cosa si parla. Ma spesso accade che alle ragioni della propaganda tutto venga sacrificato, anche la verità dei fatti, e che si ritenga legittima la più disinvolta manipolazione. Ne è un esempio l’articolo del 21 ottobre, una vera caduta di stile. Non è un buon segnale per la serenità e la chiarezza del nostro dibattito interno quando si ricorre alla falsificazione. Sì, falsificazione, non è una parola eccessiva, perché c’è un totale stravolgimento delle posizioni politiche.

Cito testualmente: «sull’articolo 18 dello Statuto i testi delle mozioni sono diversi. Ed è un bene, perché così si mettono a disposizione degli iscritti le posizioni che sono emerse anche prima del congresso, tra chi pensa che quell’articolo non vada cambiato e chi pensa, invece, che vada esteso l’istituto dell’arbitrato. Noi crediamo che l’idea di scambiare un diritto di civiltà con un risarcimento monetario non sia la posizione giusta per la sinistra.»

Il messaggio è chiaro: solo nella mozione Berlinguer si difende lo Statuto dei diritti dei lavoratori, gli altri sono già disposti a trattare, a monetizzare i diritti. Messaggio chiaro, ma falso. Tutta l’impostazione della mozione Fassino, se la si vuole leggere senza pregiudizi, è chiarissima nella scelta di un sistema che renda più forti e universali le tutele per tutti i lavoratori. «A chi chiede, come la destra di governo e la Confindustria, abbassamento delle tutele, libertà di licenziamento, smantellamento del potere sindacale in azienda, noi rispondiamo che oggi, partendo dai cambiamenti che hanno rivoluzionato il lavoro, serve un più avanzato Statuto di tutti i lavori, che ridefinisca i diritti inviolabili e comuni a ogni tipologia lavorativa.» Non solo non c’è, come risulta del tutto evidente, nessuna apertura alle tesi confindustriali, nessun passo indietro sul tema dei licenziamenti, ma si pone il problema di un avanzamento, di una riscrittura delle regole per tutelare anche chi oggi non è tutelato. E quando si parla dell’istituto della conciliazione e dell’ arbitrato è chiaro che non ci si riferisce all’articolo 18 dello Statuto, proprio in quanto si esclude esplicitamente di accedere alla richiesta padronale della libertà di licenziamento.

D’altra parte, la battaglia contro il referendum dei radicali l’abbiamo fatta tutti, e l’abbiamo vinta. È un capitolo chiuso, almeno per noi. Che senso ha oggi mettere in circolazione veleni e sospetti? La discussione da fare, se vogliamo guardare in avanti e non essere paralizzati da una disputa interna senza oggetto, del tutto capziosa e strumentale, riguarda le risposte che debbono essere date ad un mondo del lavoro in fortissima evoluzione. E di fronte alle nuove dinamiche del lavoro, non basta l’articolo 18 dello Statuto. Va difeso con fermezza, ma non è più oggi un baluardo sufficiente. La realtà attuale è contrassegnata dalla fortissima crescita della piccola impresa, dalla diffusione dei rapporti di lavoro atipici, parasubordinati, a tempo determinato, mediati dalle agenzie per il lavoro interinale, e in tutti questi casi le tutele dello Statuto non hanno efficacia. Se parliamo di lavoro, dobbiamo necessariamente parlare di queste nuove forme, perché stanno qui oggi le contraddizioni sociali più esplosive, e si pone qui, per un numero crescente di persone, la necessità di conquistare diritti che oggi non sono riconosciuti.

Per questo può essere di grande importanza l’indicazione programmatica di un nuovo Statuto, che offra un nuovo quadro di tutele per l’insieme delle figure lavorative, tenendo conto delle differenze, delle diverse tipologie di impresa, dei diversi sistemi contrattuali. Non può che essere un sistema flessibile, differenziato, ma con alcuni principi universali su cui ricostruire l’unità del mondo del lavoro. Su questo terreno, che rappresenta il futuro del lavoro e il suo destino, sarebbe utile un confronto, un contributo di idee, uno sforzo nuovo di elaborazione. Si preferisce invece la polemica strumentale, per poter dire: noi rappresentiamo il lavoro, gli altri rappresentano la modernizzazione capitalistica, noi rifiutiamo la flessibilità, gli altri la subiscono, dando così a tutta la discussione sul lavoro una curvatura affatto ideologica ed astratta. Competere sul terreno della modernizzazione: è davvero strano che questa affermazione abbastanza ovvia susciti scandalo.

Che altro ha fatto il movimento operaio in tutta la sua storia se non organizzare le forze del cambiamento, intervenire nel vivo dei processi di trasformazione e nei loro conflitti, così da accumulare la forza necessaria per poter competere, sul piano sociale e su quello politico? Competere è possibile se si ha la forza. E la forza è nella capacità di rappresentare e organizzare la società che cambia. Tutto il resto è retorica. L’attuale crisi della sinistra non è solo l’effetto di singoli errori, di scelte tattiche sbagliate, ma di un cedimento strutturale, strategico, perché non abbiamo costruito gli strumenti, teorici e pratici, per interpretare la realtà e per cambiarla. I limiti della nostra azione di governo stanno qui, nel fatto di non esser riusciti a rovesciare i rapporti di forza, di essere stati costretti sulla difensiva. Non è un problema di moderatismo o di radicalismo. È un problema di intelligenza strategica. Solo così possiamo tornare a vincere.


Numero progressivo: H48
Busta: 8
Estremi cronologici: 2001, 31 ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “L’Unità”, 31 ottobre 2011