CONGRESSO STRAORDINARIO DI MILANO

marzo 1990

Intervento di Riccardo Terzi

A questo punto del dibattito congressuale, se non vogliano limitarci ad un’operazione notarile di registrazione dei rapporti di forza tra le diverse posizioni in campo, siamo chiamati tutti ad un nuovo passaggio, ad uno spostamento in avanti della nostra discussione.

Con il Congresso straordinario si decide intorno ad un quesito preliminare: se aprire la fase costituente per la costruzione di una nuova formazione politica.

Ma è evidente che questa decisione, che è in sé di grandissima portata politica, è solo l’inizio di un processo ancora tutto da costruire nei suoi contenuti e nei suoi sbocchi.

È evidente (o almeno dovrebbe esserlo) che il sì e il no, costruiti su questo quesito pregiudiziale, non costituiscono ancora una chiara e compiuta articolazione di piattaforme politiche alternative. Guardare in avanti, e ipotizzare la possibilità di nuove più larghe aggregazioni, non è un artificio, non è il riflesso condizionato di un’antica consuetudine politica, che ci ha portati nel passato ad una esaltazione feticistica del valore dell’unità.

È tuttavia sconcertante l’improvviso accanimento correntizio che sembra aver preso gran parte dei dirigenti del partito, anche i più insospettabili.

Accade così, che dopo essere stato più volte criticato come “guastatore” delle regole sacre del centralismo democratico, mi sia rivolta oggi l’accusa inedita di essere un pontiere.

No, io non penso che si debbano affannosamente ricucire le divisioni. Penso che non ci sia ancora sufficiente chiarezza, che il nostro progetto politico sia tuttora in uno stadio di elaborazione solo embrionale, che esso dunque debba essere reso esplicito nelle sue premesse di analisi politica, nelle sue motivazioni teoriche, nelle sue fondamentali direttive strategiche.

Rifiuto la forza di inerzia burocratica che ci può spingere a cristallizzare gli schieramenti attuali, a ripetere stancamente le ragioni del sì e del no, mentre è necessario un eccezionale lavoro di ricerca, di elaborazione teorica, di fronte alle novità sconvolgenti di questo fine di secolo. E sarebbe davvero una presunzione ridicola pensare di avere già individuato tutte le risposte adeguate.

Il valore della proposta politica della costituente sta nel fatto che apre questa ricerca, che riconosce il punto di crisi a cui è pervenuta la nostra cultura politica, che ci chiama quindi ad andare con coraggio oltre la nostra tradizione.

Ma a partire da qui, da questa coscienza lucida della necessità non rinviabile di un esame critico complessivo della nostra identità di partito, a partire da questa volontà politica di rimetterci in discussione, si affollano interrogativi, problemi, campi nuovi di ricerca, che dobbiamo con pazienza e con rigore critico districare.

Altrimenti finiamo per impantanarci in risposte ancora una volta ideologiche. E l’ideologia specifica che ci viene offerta come rete protettiva è semplicemente il sistema di valori che regola la società capitalistica di oggi.

Se dobbiamo rimetterci in cammino, non dobbiamo fermarci alla prima osteria. Siano un partito che viene da lontano, e c’è forse qualche compagno che si è eccessivamente affaticato, e che va aiutato a riprendere il cammino.

Per andare dove? Verso quali orizzonti, che siano attuali, reali, e non solo simbolici? Il primo decisivo cambiamento di scenario si sta producendo nella politica internazionale. Ed è un cambiamento che tocca i nervi più sensibili della nostra stessa ragion d’essere, perché tutta l’esperienza comunista si regge e si giustifica come progetto mondiale.

E ora più che mai, di fronte alla mondializzazione dell’economia, di fronte ai grandi poteri sovrannazionali che mettono in crisi la sovranità politica degli Stati nazionali, e dopo lo sconvolgimento dell’Est europeo e la caduta rovinosa di quel modello politico burocratico-autoritario, la politica, e in prima istanza la politica della sinistra, va ripensata nella sua dimensione mondiale.

A poco serve rivendicare il valori della nostra originalità. Il tema all’ordine del giorno è un altro: è la costruzione di una nuova sinistra internazionale, che agisca nelle nuove condizioni di interdipendenza planetaria, che ridefinisca le vie di un nuovo tipo di sviluppo, democratico e socialista, parlando un linguaggio comune per l’occidente e per l’Est, per l’Europa sviluppata e per il terzo mondo.

Si pone ormai in nodo stringente in tutti i paesi, anche in quelli di più ricca tradizione democratica, il problema della democratizzazione dalla politica, e noi certo non possiamo sottrarci ad una ricerca critica che metta in discussione i limiti gravi che la nostra tradizione politica ha avuto sotto questo profilo.

Tutto ci spinge dunque verso l’apertura di una nuova fase: per una nuova sinistra, oltre le vecchie barriere ideologiche, per una nuova teoria politica, capace di leggere i mutamenti di oggi; e soprattutto per una nuova prassi sociale, che liberi nuove forze, che rimetta in campo tutta la ricca articolazione dei diversi soggetti sociali che sono oggi schiacciati, privi di voce politica, per affetto di un processo di concentrazione del potere, di svuotamento degli istituti democratici, di burocratizzazione dei partiti.

Si spiega così anche l’incredibile regressione nei localismi, e la frantumazione corporativa degli interessi.

È una crisi della politica, e degli strumenti della rappresentanza sociale, che ci coinvolge direttamente e che ha già determinato fenomeni di scollamento e spinte centrifughe nel blocco di forze che abbiamo fin qui rappresentato e organizzato.

Qui va affondata la nostra analisi critica.

Non regge più tutta una concezione dalla politica, e del suo primato, ed è ormai alla deriva il modello di partito che storicamente si è costruito, con una forte coesione ideologica, con un ruolo dominante dei gruppi dirigenti, con un processo decisionale che agisce solo dall’alto verso il basso, con una struttura fortemente centralizzata, il quale ormai non trova più i canali di una comunicazione efficace con la società.

Il cambiamento del nome ha un senso solo se cambiano radicalmente le forme della politica, se tentiamo di ripensare la politica come autogoverno, non come sfera separata, non come tecnica di governo, e di mediazione degli interessi , ma come processo reale di democratizzazione cha ha a che fare con i bisogni concreti, con la vita personale, con la volontà di realizzazione di sé di uomini e di donne che non accettano più deleghe in bianco, mandati fiduciari che non possono  quotidianamente controllare.

Se non è così, se il tutto dovesse ridursi al classico trasformismo, con una verniciatura di modernità che lascia immutate la struttura reale e la prassi politica concreta, l’operazione ci condurrebbe ad un esito disastroso.

Per questo bisogna insistere – io credo – per liberare il campo da semplificazioni, da scorciatoie illusorie, come se lo sblocco dal sistema politico potesse dipendere solo da un nostro gesto simbolico.

C’è un lavoro di ricostruzione, che non può essere lineare, e che deve vedere impegnate tutte le energie del partito. Non si crea nessuna situazione politica nuova se non intervengono nuovi processi nella società, se non riusciamo a disfare la rete cha tiene unito l’attuale blocco di potere. Per questo io sono convinto che il progetto della nuova formazione politica sta insieme con l’idea di   radicalità della lotta politica.

L’argomento secondo il quale una formazione politica più largamente rappresentativa possa costituirsi solo su una piattaforma più moderata è un argomento evidentemente falso, che ci porterebbe ad essere un’inutile duplicazione di ciò che già esiste.

Se l’operazione non è una manovra tattica, ma una capacità nuova di ripartire dalla società e dai suoi conflitti, allora dobbiamo rispondere alle richiesto della ‘sinistra diffusa, che vede in noi un partito che non si è ancora liberato da quella sorta di doppiezza che consiste nel coprire, dietro il velo di un’ortodossia ideologica priva ormai di efficacia, una pratica politica compromissoria. Dobbiamo rompere questa separazione dei mezzi e dei fini, questa sfasatura tra la manovra tattica e le finalità strategiche.

Tutti i movimenti nuovi che sono sorti in questi anni hanno in comune questa radicalità, che consiste nel porre oggi problemi di cambiamento profondo, senza rinviarli ad una meta storica finale.

Per parlare a questa nuova società in fermento, non serve né l’esaltazione un po’ retorica della nostra storia, né tanto meno il piccolo cabotaggio di chi cerca la via più indolore per approdare al governo. Conta solo ciò che sappiamo concretamente essere e fare. Conta un progetto per la costruzione di un tipo di partito che oggi non esiste: conseguentemente democratico nella sua vita interna, struttura di movimento e non apparato burocratico, la cui linea politica sia l’espressione del conflitto sociale, nella varietà delle sue articolazioni.

Io penso così la svolta, come il tentativo di rifondare la politica, collegandola saldamente alle contraddizioni reali che nella società si esprimono, come un cambiamento che è anche, insieme, la riscoperta delle nostre radici.

Parlo di contraddizioni reali, che si determinano nel vivo del processo di produzione, nella modernizzazione capitalistica, che apre un nuovo conflitto di potere sull’uso delle nuovi tecnologie, sulla diffusione del sapere e delle conoscenze, sul carattere, democratico e autoritario, dei processi decisionali.

Non solo, quindi, disagio e sofferenza, ma forze reali che possano essere messe in campo, a partire dal lavoro, come centro di un sistema complesso di relazioni.

So bene che ci sono interpretazioni diverse, anche assai distanti, e che pertanto dovremo confrontarci con grande chiarezza.

Ma questa discussione può riguardare solo l’area Si? Pagheremmo tutti un prezzo troppo alto se un terzo del partito si arroccasse, o fosse costretto ad arroccarsi in una posizione di ostilità pregiudiziale.

Non si tratta certo di operare ricuciture verbali, né di pensare che dopo il Congresso di Bologna le divisioni possono essere azzerate.

Ma può esserci l’assunzione comune di un nuovo orizzonte di ricerca, e un confronto più stringente qui contenuti, sulle opzioni di strategia, sui caratteri nuovi cha deve assumere il partito nel suo processo di rifondazione.

La partita è tutta aperta, e l’esito dipenderà da come, insieme, sapremo giocarla nei prossimi mesi.



Numero progressivo: H13
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -