CONOSCERE LA REALTÀ OPERAIA
di Riccardo Terzi
Abbiamo talora sentito, in questo ultimo periodo, avanzare la teoria secondo cui la classe operaia si avvia rassegnata verso la sua integrazione ed il ruolo di forza d’avanguardia sarebbe assunto dalle élites intellettuali. È questa una tesi estremizzante, che pochi hanno la franchezza di sostenere apertamente, se non altro perché appare troppo poco ortodossa e troppo poco rispettosa della tradizione.
Ma, nella pratica, molto spesso ci si comporta come presupponendo la verità inconfessata di questa tesi: si moltiplicano le riunioni nelle quali si discutono, in tutte le sfumature, i problemi degli studenti, e agli operai si lascia il ruolo di forza di riserva, di cui ci si ricorda solo nelle grandi occasioni. Nella foga di sconfiggere il vecchio operaismo stalinista, si finisce così per perdere di vista la stessa nozione di movimento operaio.
Non è un giudizio da generalizzare, ma certamente deformazioni di questa natura si sono manifestate è là dove appaiono si compromette la capacità di un’azione politica nell’ambito della gioventù operaia. Il primo risultato che dobbiamo ottenere con la prossima Conferenza della gioventù operaia comunista è la coscienza precisa, in tutta l’organizzazione, della necessità di difendere e consolidare la natura di classe del nostro movimento. Questa scelta potrà sembrate a qualcuno un ripiegamento, una svolta verso l’operaismo dettata dalle difficoltà che si incontrano nel movimento studentesco e nei rapporti con le altre forze politiche giovanili.
Ma, in verità, queste difficoltà si possono sciogliere alla sola condizione di qualificare la FGCI come organizzazione dell’avanguardia operaia. Prendiamo l’esempio del movimento studentesco: l’incertezza di prospettiva che oggi lo caratterizza viene dal fatto che, mentre si è formata una coscienza politica di sinistra, non è stato realizzato un rapporto reale con il movimento di classe. Chiamato ad assolvere una impossibile funzione di avanguardia, il movimento studentesco ha subìto tutte le suggestioni dell’estremismo, si è illuso di poter valicare i limiti oggettivi della sua funzione, oppure ha ripiegato verso una linea corporativa.
Se la FGCI non ha saputo evitare queste incertezze, ed ha anzi perduto qualcosa della sua capacità di organizzazione e di egemonia nell’ambito della scuola, ciò è avvenuto perché la FGCI non è apparsa come una espressione reale della classe operaia e non ha offerto con chiarezza alle forze studentesche la possibilità di agganciarsi ad una realtà sociale diversa, più ampia, nella quale anche i problemi studenteschi trovassero uno spazio ed una verifica. In altre parole, una visione corretta del sindacalismo scolastico, aliena da ogni vizio corporativo, può affermarsi solo se è sorretta dall’esistenza di una forza politica operaia, capace di tracciare il quadro delle lotte politiche e di classe nel quale prendono valore anche le esperienze limitate del movimento studentesco.
Noi abbiamo invece peccato di una visione ancora troppo studentesca della politica, e non abbiamo quindi aiutato gli studenti di sinistra nella loro necessaria maturazione, non li abbiamo aiutati a divenite davvero parte integrante dell’avanguardia, e cioè della classe operaia. La rettifica che dobbiamo operare nel nostro lavoro, con la prossima Conferenza, non è dunque un ripiegamento. Anzi soltanto se la FGCI riesce a diventare partecipe di tutte le esperienze della giovane classe operaia, solo a questa condizione può presentarsi con una sua chiara fisionomia, e può allora affrontare il dibattito politico con le altre forze con la coscienza di rappresentare qualcosa e seguendo una linea politica che appare dettata dalle necessità oggettive del movimento. In una parola, tutta la nostra capacità di azione politica si rafforza dal momento che la FGCI riesce a stringere dei rapporti reali, organizzati, con le esperienze di fabbrica dei giovani lavoratori. Dobbiamo però evitare anche che questi propositi si risolvano in una nuova forma di velleità o di retorica. Il contatto con la realtà operaia non si può risolvere con qualche slogan propagandistico, ma deve essere perseguito con metodo e con un lavoro sistematico. Bisogna anzitutto conoscere la realtà, saperla interpretare nel suo movimento, cogliere tutte le trasformazioni che avvengono nella struttura economica e nei rapporti di classe.
Senza questa conoscenza, tutta la nostra azione risulterebbe viziata: saremmo costretti solo a ripetere delle formule senza poterle argomentare; ci ridurremmo a declinare all’infinito la parola sfruttamento, senza poter dire dove e come questo sfruttamento viene attuato. La realtà non si lascia violentare dalla retorica, ma si lascia invece trasformare dall’azione cosciente.
La ragione di tante delusioni è appunto in questo modo troppo superficiale di affrontare i problemi: si pensa che la classe operaia sia come una molla rivoluzionaria pronta a scattare, e si crede allora che basti pronunciare la parola magica per mettere in movimento la rivoluzione. La realtà è meno romanzesca e più impegnativa: i giovani operai, che per tutte le condizioni della loro esistenza sono la forza decisiva su cui deve appoggiarsi la lotta socialista, giungono a svolgere pienamente la loro funzione d’avanguardia solo attraverso delle tappe, prendendo gradualmente coscienza della prospettiva che hanno di fronte.
Ecco allora la necessità di una propaganda che sappia dimostrare, convincere, una propaganda che sia scritta in prosa e che sia il frutto di un’analisi dei fatti. Bisogna mettersi nella disposizione giusta, entrare nel vivo del processo di maturazione della coscienza di classe. Per questa ragione, non possiamo tralasciare i problemi dell’azione sindacale, non considerare le esperienze di lotta che si sono realizzate, non possiamo pretendere di entrare nella fabbrica con un messaggio politico astratto, la cui esigenza non sia già stata maturata.
L’esperienza sindacale attraversa oggi una fase delicata, nella quale vanno maturando le prospettive dell’unità, ma insieme maturano anche disegni di subordinazione del sindacato. L’esito dell’attuale dibattito dipenderà, in misura eminente, dalle posizioni e dall’orientamento delle forze operaie giovanili.
I giovani sentono l’importanza e la possibilità dell’unità sindacale, vedono le ragioni dell’unità e non accettano le ragioni della divisione. Questa spinta unitaria, che si accompagna spesso ad un atteggiamento di polemica verso le centrali sindacali esistenti, deve essere valorizzata e guidata. Far avanzare il processo di unità, vincere le chiusure e gli irrigidimenti, impegnare in questa azione tutte forze giovanili: ecco il compito che deve essere sostenuto dai giovani comunisti nelle fabbriche.
Ma, nello stesso tempo, l’unità sindacale è un risultato che lascia aperti lo scontro e l’azione continua per far valere una linea di lotta coerente, per battere tutti i tentativi di capitolazione.
La necessità della politica, e quindi dell’azione di partito, nasce da queste considerazioni organizzare il gruppo comunista nella fabbrica vuol dite organizzare un’opera di pressione, una spinta che faccia avanzare la lotta del sindacato verso gli obiettivi più avanzati possibili, vuol dire far circolare nella fabbrica un dibattito politico che faccia maturare la consapevolezza delle possibilità d’azione che si offrono.
Coscienza sindacale e coscienza politica non sono separate da una barriera, ma sono tappe distinte di uno stesso processo. Per conquistare le masse all’azione politica bisogna che la politica si appropri dei problemi delle masse, che venga fatta appoggiare sulla realtà. È questo appunto il significato del lavoro cui ci dobbiamo accingere.
Busta: 7
Estremi cronologici: 1967, 19 novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Nuova generazione”, 19 novembre 1967, p. 7