LA RICERCA DEL PSI E LA POLITICA UNITARIA
Riflessioni sul ruolo delle sinistre di fronte alla crisi
di Riccardo Terzi
La lezione del centro sinistra nelle più recenti esperienze socialiste. Autonomia, alternativa, rivitalizzazione del ruolo del partito nella società. Le oscillazioni e le ambiguità ancora presenti nel dibattito. Creare le condizioni per un reale avanzamento del movimento operaio come nuova forza dirigente
I nostri rapporti col partito socialista hanno avuto un’evoluzione complessa, non lineare, e talora stentiamo a coglierne i dati essenziali e ad usare criteri di valutazione adeguata. Mi pare che vi sia un ritardo, e anche un certo impaccio, nell’analisi della realtà politica attuale del PSI, e da ciò deriva il fatto che le difficoltà oggettive e gli elementi reali di differenziazione divengono motivo di una conflittualità confusa ed emotiva, che non consente di dispiegare appieno un’iniziativa politica unitaria, consapevole dei propri obiettivi.
Per inquadrare correttamente il problema, occorre avere presente la crisi profonda e traumatica che ha portato alla definitiva liquidazione della politica di centro sinistra. Il fallimento di questa politica ha significato, per il PSI, l’abbandono di una linea strategica generale a cui erano affidati l’identità del partito ed il suo ruolo autonomo nell’evoluzione politica del paese. Con il centro sinistra avrebbe dovuto aprirsi l’era dello sviluppo delle forze socialiste, della costruzione di una formazione politica moderna, aderente alla realtà europea, capace di inserirsi in modo dinamico nella realtà del capitalismo sviluppato.
Sembrava allora necessario, per realizzare questo progetto ambizioso, liberarsi da tutti i condizionamenti della politica unitaria, affermare l’assoluta autonomia del partito socialista, e anche segnare nei confronti del PCI un confine di carattere ideologico, di principio, facendo affidamento sul logoramento e sull’usura che avrebbero dovuto investire la nostra forza, i nostri principi, i nostri legami di massa. Il PSI rappresentava il nuovo ed era portavoce di un’idea moderna del socialismo, mentre i comunisti erano ancora prigionieri del dogmatismo e di una mitologia sorpassata.
L’erroneità di tutta questa costruzione strategica è oggi evidente, ma tuttavia una certa plausibilità poteva averla nel clima culturale del neocapitalismo; e in effetti non si trattò solo di un errore, ma di una iniziativa politica insidiosa che poté essere battuta solo con una lotta difficile, complessa, la cui efficacia dipendeva anzitutto dalla capacità nostra di non smarrire le ragioni unitarie del movimento operaio e di non rinchiuderci in un atteggiamento settario di recriminazione o di condanna moralistica. Per questo, non ci siamo rifiutati di riconoscere che si veniva aprendo un terreno di lotta più avanzato e abbiamo condotto la nostra polemica ponendo l’accento sul carattere scissionistico che andava assumendo la politica del PSI, sulle conseguenze negative che da ciò derivavano per la stessa iniziativa socialista. Infatti, in assenza di un disegno unitario, che poteva essere ricercato anche in forme nuove e articolate, la partecipazione al governo poneva il PSI in una situazione di impotenza e di subordinazione alle forze moderate.
Oggi certamente possiamo valutare tutta la fase del centro-sinistra con maggiore distacco e con maggiore oggettività, e tuttavia non abbiamo nessun motivo per correggere il giudizio critico di fondo, il quale discendeva dalla considerazione, che è in ogni momento essenziale, dell’unita di classe, e dalla difesa di un patrimonio unitario, che deve sapersi rinnovare, ma che nel contempo deve essere salvaguardato nelle sue ragioni fondamentali.
La teoria secondo cui il centro sinistra ha rappresentato una fase obbligata di trapasso ha indubbiamente un certo fondamento, ma non dobbiamo scordare che l’avvio di questa politica avveniva nel segno di una profonda rottura ideologica, per cui veniva negata in linea di principio la possibilità di una comune lotta per il potere, e che la spinta alla divisione tendeva a trasferirsi anche nelle autonomie locali e nel movimento di massa. Non vi era, cioè, l’idea di un equilibrio provvisorio, da spostare in avanti facendo leva sul movimento unitario delle masse, ma all’opposto si introduceva nel movimento operaio una divaricazione di ordine ideologico e di ordine strategico. Attraverso questa esperienza, l’autonomia del partito socialista era tutt’altro che realizzata, e anzi si capovolgeva nel suo opposto, nella subordinazione ad un sistema di potere dominato interamente dalla Dc, a cui si accompagnava il distacco crescente del PSI dalla realtà viva del movimento operaio, e quindi dalle sue stesse tradizioni di classe. L’atteso sviluppo delle forze socialiste non avvenne, ma proprio in quegli anni si consolidò l’egemonia comunista nel movimento operaio e si spostarono ulteriormente i rapporti di forza nell’ambito della sinistra.
Il nostro giudizio non può limitarsi alla legittima soddisfazione per i risultati che abbiamo conseguito e per il fatto che abbiamo saputo sconfiggere il centro sinistra e la logica scissionistica da cui era animato. Se e vero che il movimento operaio si articola attraverso diverse e irreducibili espressioni politiche, allora la questione dell’autonomia del PSI le del suo ruolo non ci può essere estranea. La soluzione non può certo essere cercata nella riproposizione di una linea «fusionista», che già più volte si è dimostrata illusoria e astratta, ma occorre invece delineare una strategia politica capace di comprendere in sé la diversità, e capace quindi di assegnare ad entrambi i partiti della sinistra un ruolo proprio, una identità originale.
Per questo dobbiamo guardare con estrema attenzione e con grande sensibilità alla ricerca travagliata con cui il PSI cerca di superare la crisi di identità e di rivitalizzare la propria presenza nella società italiana. Anche per i compagni socialisti, l’epoca del centrosinistra è ormai, definitivamente, una esperienza conclusa e non più percorribile. Le elezioni del ‘75 hanno determinato una rottura assai radicale, e hanno fatto tramontare ogni ipotesi di rilancio del centrosinistra, ogni illusione di realizzare nell’ambito di questa formula equilibri più dinamici e più avanzati. Non vi sono motivi, a mio avviso, per dubitare di questa rottura e della sua autenticità. Chi ha seguito le vicende interne del PSI di questi ultimi anni ha potuto cogliere, in tutto il dibattito, un impulso assai forte al cambiamento dell’immagine del partito, deteriorata ed infiacchita dalla lunga esperienza governativa.
Questo sforzo di rivitalizzazione del partito mi pare l’obiettivo prioritario che si propongono, in questo momento, i socialisti. Non si tratta certo di un’impresa semplice, perché i guasti prodotti nel corpo del partito, nel suo modo d’essere, sono stati profondi. Durante il centro sinistra, infatti, si e prodotto un quasi totale assorbimento delle energie del partito nell’amministrazione della cosa pubblica, le sue strutture organizzative di base non hanno retto a questo processo, sono state svuotate di funzioni, si sono ridotte ad una vita asfittica, animata soltanto dalle lotte di corrente. Anche il nostro partito, che ha una solida struttura organizzativa, ha incontrato, dopo il 15 giugno, difficoltà di tipo nuovo e ha dovuto combattere contro il pericolo di vedere sacrificata la propria autonomia rispetto al lavoro nelle istituzioni, e quindi possiamo misurare di quale entità siano stati e siano tuttora i problemi per il PSI e possiamo comprendere le ragioni per cui la vita interna di questo partito ha perduto molto della sua vitalità. Vanno anche tenute presenti le trasformazioni che sono avvenute nella composizione sociale e che hanno la loro ragione nella mutata collocazione politica del PSI: si è notevolmente indebolita la presenza operaia e si è invece accresciuta la presenza di quadri provenienti dal ceti impiegatizi e della piccola borghesia intellettuale.
L’obiettivo della rivitalizzazione del partito costituisce quindi un compito preliminare, ed è certamente positivo il fatto che di questi problemi vi sia oggi maggiore consapevolezza, che si sia dato avvio ad un esame critico e autocritico. Tuttavia, si ha l’impressione che questo rilancio del PSI sia perseguito in modo un po’ affannoso e volontaristico: basti pensare all’insistenza con cui viene posto il problema di un «riequilibrio» nell’ambito della sinistra, alla suggestione che viene esercitata da altre realtà europee, all’idea non ben definita di un «polo socialista». Si tratta di aspirazioni certamente legittime, ma che hanno il respiro corto se l’attivismo organizzativo e propagandistico non è sorretto da un’analisi concreta della situazione italiana e da una precisa proposta strategica. Gran parte delle tensioni fra i due partiti della sinistra hanno origine proprio in questa carenza strategica, in questo stato d’animo che esprime si un’esigenza politica, ma senza saperla razionalizzare. Avviene così che lo spirito di partito si manifesti nella ricerca della differenziazione ad ogni costo, nella concorrenzialità, in una volontà di rivalsa che assume talora toni di asprezza.
È doveroso però aggiungere che la costruzione di un clima politico più disteso, sgombro da sospetti reciproci e da animosità, dipende anche dalla nostra capacità, dall’attitudine a ragionare in termini politici oggettivi, senza quell’integralismo di partito che ancora affiora e i cui frutti sono in ogni caso dannosi. Un passo avanti nella comprensione e nella collaborazione può avvenire se il confronto viene portato ad un livello più alto, se la discussione si sposta sulle grandi questioni della trasformazione socialista e della strategia politica entro cui essa può realizzarsi. È evidente, infatti, che sul terreno dell’immediatezza politica e della tattica contingente gli elementi di conflittualità tendono ad accentuarsi, che in assenza di una prospettiva unitariamente costruita finiscono per essere prevalenti e dominanti gli interessi particolari di partito e i calcoli tattici.
Credo che sia anche indispensabile sviluppare un rapporto che non si riduca alla diplomazia di vertice, ma coinvolga la massa dei quadri, il corpo attivo dei due partiti. La diplomazia più accorta e raffinata non potrà mai creare un movimento unitario reale e fecondo, il quale richiede esperienze comuni, contatti diretti, richiede un’elaborazione politica di cui siano artefici e protagoniste le masse organizzate nei partiti della classe operaia. Occorre, a questo fine, modificare i metodi di lavoro, creare lo spazio per esperienze di tipo nuovo, non lasciarsi invischiare in una trattativa permanente dove le questioni politiche sono soppiantate da quelle della distribuzione del potere. Dobbiamo porre con chiarezza questo problema ai compagni socialisti, per organizzare insieme un lavoro politico di massa che dia a tutta la sinistra una coscienza più elevata dei compiti che deve affrontare.
Nella fase politica nuova che si è aperta, questo obiettivo può essere perseguito con nuovo slancio e con nuova fiducia. Ma occorre comprendere, anzitutto, che per il PSI la correzione della propria linea politica precedente comporta una preoccupazione anche più acuta per l’autonomia del partito. Nel momento stesso in cui si riprende il cammino unitario, il PSI deve salvaguardare la propria identità e rifiuta di adattarsi a un ruolo subordinato o collaterale. Autonomia e alternativa: in questi due concetti si riassume la tendenza fondamentale del PSI, il, suo stato d’animo, la sua coscienza di sé. Da un lato la rivendicazione di un’identità propria che non deve andare smarrita, che deve rimanere intatta e chiara pur nel quadro di una politica unitaria; dall’altro lato, l’esigenza di correggere radicalmente quella politica di collaborazione subalterna, di cedimento, che ha portato il partito ad una crisi profonda e che ha messo a repentaglio le sue basi di massa, e le sue tradizioni di classe. È in questo contesto che vanno valutate anche le vicende interne del PSI, il nuovo assetto, la nuova dislocazione delle correnti in preparazione del prossimo congresso nazionale.
Ancora non può dirsi definito un progetto politico preciso, e quindi si manifestano nella pratica oscillazioni, pendolarismi, ambiguità. E, d’altra parte, il punto di congiunzione rischia di essere trovato solo nella volontà di contrastare e di logorare la politica di larga convergenza democratica indicata dal nostro partito. Il prevalere di una tale tendenza non solo è dannoso per l’unità delle sinistre, ma ha come effetto anche l’acutizzazione dei contrasti interni allo stesso partito socialista, e anche ciò è per noi motivo di preoccupazione. Tuttavia, il dibattito interno è tutt’altro che concluso, e non sta comunque a noi prendere posizione ed esprimere giudizi circostanziati. Si tratta invece di comprendere i termini politici generali del dibattito, le tendenze che si vanno manifestando, tenendo comunque ferma la ricerca di una politica unitaria, e assumendo come un dato necessario l’esigenza di piena autonomia del partito socialista.
Non possiamo certamente chiedere al PSI di svolgere soltanto un ruolo di mediazione tra comunisti e democristiani, di fare solo il battistrada che prepara il nostro ingresso nell’area di governo. È tra l’altro evidente che, in questa ipotesi, il PSI avrebbe tutto l’interesse ad allungare i tempi di questo processo, proprio per non vedere esaurita la propria funzione di mediazione, il proprio ruolo di partito-cerniera. Dobbiamo piuttosto lavorare per approfondire, insieme con i compagni socialisti, con tutte le componenti del PSI, il senso politico delle rispettive impostazioni, così da superare la contrapposizione sommaria e superficiale di parole d’ordine che hanno un senso positivo solo se non vengono irrigidite e dogmatizzate. Disquisire in astratto sull’alterativa e sul compromesso storico non ha nessuna utilità. Se il dibattito dovesse fermarsi a questo punto, sarebbe un grave errore per tutta la sinistra. Vi è invece la possibilità di un’azione coordinata e unitaria, di una battaglia comune della sinistra che spinga ad accelerare i processi politici e che impedisca alla Dc di rifugiarsi in una manovra trasformistica e di mantenere inalterato il proprio sistema di potere.
È chiaro infatti che ogni ipotesi strategica sarebbe perdente se non si cercassero oggi le condizioni per un reale avanzamento del movimento operaio come nuova forza dirigente, e che nel corso della lotta politica concreta possono essere ulteriormente precisate e approfondite le questioni di ordine tattico e strategico. Ciò che non possiamo accettare è un’interpretazione della politica di alternativa che conduca al coagulo confuso di tutte le spinte centrifughe, di tutti gli elementi di protesta, di tutte le forze che sono incapaci di disciplinare se stesse e che sono pregiudizialmente ostili ad ogni idea di ordinamento, di efficacia e di autorità dello Stato democratico. Una tale impostazione deve essere combattuta con la massima energia, perché conduce alla disgregazione e apre il varco ad ogni sorta di massimalismo irresponsabile e di provocazione.
È possibile dunque, a mio giudizio, cercare le linee di una strategia unitaria, nella chiara consapevolezza dei ruoli distinti, delle diversità, dei contrasti che non possono essere eliminati, ma che possono tuttavia non essere drammatizzati ed enfatizzati. In ogni caso, questo sforzo deve essere compiuto, e il partito deve essere chiamato a svolgerlo con responsabilità e con impegno. Non si tratta di ripetere come una litania la nostra volontà unitaria, ma di riflettere e di capire quali siano oggi le condizioni politiche concrete che possono consentire un rapporto rinnovato di collaborazione e di lotta comune tra socialisti e comunisti. Il PSI di oggi non è né quello del centrosinistra, né quello del frontismo, e quindi non può essere valutato con un metro che non gli è proprio. Per questo, il rapporto col PSI appare oggi più impegnativo e difficile: non lo si risolve né con il semplice richiamo alle tradizioni unitarie né, tanto meno, con l’irritazione e con una polemica astiosa. Chiusa la fase del centro sinistra, che aveva provocato divisioni profonde nel movimento operaio, il confronto teorico e politico può oggi avvenire senza l’impaccio di antagonismi dogmatici, in modo aperto, tenendo ferma l’ispirazione unitaria di fondo, e considerando che la diversità, la battaglia delle idee, il confronto tra esperienze diverse possono essere un arricchimento del patrimonio complessivo del movimento dei lavoratori.
Busta: 7
Estremi cronologici: 1978, 10 febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 6, 10 febbraio 1978, pp. 13-14