EQUIVOCO RISCHIOSO: TRA COMPROMESSO E ALTERNATIVA NON C’È “CONTINUISMO”

di Riccardo Terzi – membro del Comitato Centrale del PCI

Il concetto di “compromesso storico” ha avuto una funzione centrale e dominante nella strategia politica dei PCI nei corso degli anni ‘70. Poi è stato lasciato cadere, senza però rendere chiaro attraverso quali mutamenti, quali passaggi, prendeva corpo una politica nuova, basata sulla parola d’ordine dell’alternativa democratica. Per questo è necessario tornare a riflettere sul tema del compromesso storico, su questo nodo politico non chiarito e non sciolto; e gli articoli di Baget Bozzo e di Petruccioli (vedi L’Unità del 15 e 21 settembre) aprono una discussione che è bene sviluppare per chiarire, all’interno dei Partito e nella cultura di sinistra, opinioni e valutazioni differenti.

Compromesso storico ed alternativa sono due concetti distinti, divergenti, e non possono essere intercambiabili. Il tentativo di Petruccioli di individuare una linea di coerenza e di continuità tra le due fasi mi sembra forzato e non suffragato dai fatti.

È assai forte nei partito, la tendenza a vedere la propria storia politica come un complesso coerente di posizioni e di scelte che discendono una dall’altra, per cui ogni singola posizione ha il suo posto necessario, la sua giustificazione, la sua ragion d’essere nei quadro di uno svolgimento lineare. Questo “continuiamo” mi sembra essere un pericoloso elemento di freno e di conservazione, in quando esclude ogni idea di rottura, di svolta, di innovazione tattica o strategica. Nella realtà dei fatti, poi, il passaggio alla politica di alternativa è avvenuto nei vivo di una crisi, di un tra vaglio, come tentativo di risposta al logoramento subìto dai partito e all’obiettivo esaurirsi della politica di “solidarietà democratica”, e se si prescinde da ciò tutta la discussione rischia di essere astratta.

L’idea centrale dei compromesso storico è quella dell’unità e della convergenza di tutte le forze democratiche e popolari, come condizione per una trasformazione socialista nella salvaguardia della democrazia. Solo questa unità può scongiurare una radicalizzazione dello scontro, una offensiva conservatrice che assuma un carattere di massa e che sia spinta verso sbocchi eversivi e reazionari.

In questo contesto, è del tutto corretto e conseguente porre il problema del rapporti con la DC nel senso di un coinvolgimento unitario, e non solo verso un’ala di questo partito, ma verso l’intera Democrazia Cristiana, in quanto espressione di interessi sociali compositi, di strati intermedi, di forze moderate. Ogni idea di alternativa è quindi esclusa da questo orizzonte, ed è vista con sospetto come una pericolosa fuga in avanti, come uno scivolamento di tipo soggettivistico ed avventuristico. Questa è stata, nel fatti, la concezione politica che ha guidato il Partito negli anni passali.

Il passaggio ad una politica di alternativa è un passaggio delicato e rischioso, che va calibrato con molta attenzione, perché e evidente il pericolo di un arretramento verso posizioni di integralismo settario. E ln questa ultima fase molte scorie di questo tipo sono riaffiorate. Si tratta allora di assicurare alla politica di alternativa un’elaborazione adeguata, riesaminando in questa nuova prospettiva tutta la questione dei rapporti politici e sociali.

Il problema, ad esempio, della Democrazia Cristiana, del suo ruolo nella società, e del nostro rapporto politico con tutto ciò che essa rappresenta, non può essere eluso, e non ci si può limitare alla condanna dei “sistema di potere”. Petruccioli dice, in proposito, cose interessanti e affronta lucidamente il problema dell’equilibrio democratico che è necessario saper costruire con in DC anche in una prospettiva di alternativa, in un sistema di relazioni politiche che configuri la DC ed il PCI come forze antagonistiche.

Entrambe queste forze sono parte essenziale del quadro democratico, ma ciascuna di esse esprime pienamente la propria funzione e la propria capacita di rappresentanza sociale solo all’interno di un rapporto di competizione. Per questo, l’esperienza della “grande intesa” non ha prodotto gli effetti sperati, non ha creato quel clima di tensione unitaria a cui si mirava.

Per questo il compromesso storico e finito in un vicolo cieco. Non c’è stata soltanto la slealtà dei gruppi dirigenti democristiani, ma anche un loro margine di manovra obiettivamente ristretto.

Lo stesso Moro vedeva sì la necessità di un nuovo tipo di rapporto col PCI, ma escludeva e temeva compromissioni che mutassero la natura sostanziale della DC. Il progetto di Moro non era il compromesso. Era un progetto più sofisticato e complesso: portare la DC, tutta intera, ad una capacita più alta di confronto e di competizione con la sinistra, e tentare, per questa via, una rifondazione di egemonia democristiana, mettendo nei conto anche la possibilità e il rischio di un passaggio alla opposizione.

Poste così le cose, il progetto dell’alternativa può camminare nella realtà se questa sfida viene raccolta e se la sinistra riesce ad avviare un processo assai vasto e complesso di ricomposizione di un nuovo blocco sociale e politico.

In questi anni vi sono stati mutamenti profondi che hanno messo in crisi la compattezza del blocco sociale democristiano, che hanno avviato un tendenziale declino del ruolo centrale ed egemonico della DC, e sono appunto tali mutamenti che rendono praticabile e non velleitario il passaggio ad una politica di alternativa. Questa tendenza è chiaramente visibile nei grandi centri urbani, nel punti più avanzati dello sviluppo, nei quali il sistema delle forze politiche si differenzia, si articola, e non rientra più in una struttura di tipo bipolare.

Decisiva, per una sinistra che ponga se stessa come alternativa di governo, è la sua capacità espansiva, l’allargamento dei propri confini, e ciò può essere il risultato solo di uno schieramento molto articolato, che valorizzi l’autonomia delle singole forze.

Sembra talvolta, nella nostra discussione e nella nostra polemica con i compagni socialisti, che la questione essenziale ed esclusiva sia di unità e di volontà politica, e ci sfugge forse il nodo vero, quello del rapporti di forze complessivi nella società, della necessità di spostare forze reali, pezzi di società, di disarticolare quindi nei suoi punti più sensibili quel sistema complesso di dominio e di consenso che si è costruito intorno alla Democrazia Cristiana.

Non dobbiamo certo attendere da De Mita un lasciapassare per l’alternativa. L’alternativa non sarà il frutto di un accordo disinteressato sulle procedure e sulle regole dei gioco. Essa dovrà essere conquistata, pezzo per pezzo, costruendo nella realtà un complesso di alleanze che la renda possibile e necessaria.



Numero progressivo: G11
Busta: 7
Estremi cronologici: 1982, 28 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “L’Unità”, 28 settembre 1982