ENTE LOCALE, GESTIONE SOCIALE, AMMINISTRAZIONE SCOLASTICA
Convegno provinciale PCI - Milano, Sala Gramsci - 18-19 novembre 1978
Intervento conclusivo di Riccardo Terzi – Segretario della Federazione
Questo mio intervento rischia di essere un po’ sfasato rispetto all’andamento complessivo dei lavori del Convegno. Infatti non è possibile considerare queste delle conclusioni; non solo per l’invito che faceva ora Ambrosetti a non trarre conclusioni affrettate, ma anche per il tipo di svolgimento dei lavori del Convegno, che si è scelto di articolare appunto attraverso una serie di relazioni, di comunicazioni, senza un vero e proprio dibattito. Mi pare che questa scelta non abbia nuociuto all’interesse complessivo del Convegno stesso, anche se naturalmente non potrà essere questa una prassi da generalizzare. Neppure si tratta per quello che riguarda questo intervento conclusivo, di un discorso generale ed organico sui problemi, come meglio di me avrebbero potuto fare altri compagni.
Io cercherò quindi soltanto di cogliere alcuni spunti, alcune sollecitazioni tra le molte possibili che sono venute dalle relazioni e dalle comunicazioni; e vorrei anzitutto premettere un giudizio positivo sulla impostazione complessiva del Convegno. Mi pare che vi sia una elaborazione di posizioni sufficientemente organica e coerente ed uno sforzo per affrontare il problema della scuola non in modo isolato, settoriale, ma nel contesto di una concezione dello Stato democratico, della sua articolazione istituzionale, del suo rapporto con la società. Quindi c’è una base certo non conclusiva di elaborazione, ma quanto mai utile e stimolante e la pubblicazione del materiale può offrire, quindi, ai quadri del Partito, degli importanti elementi di analisi, di riflessione, di conoscenza, del problema.
L’ispirazione fondamentale mi pare sia quella che rappresenta poi tutto il lavoro che si svolge in questi giorni: quello di considerare la comunità scolastica come parte integrante del nostro ordinamento democratico, e da questo viene una sottolineatura del rapporto che è necessario costruire tra la scuola e l’ordinamento democratico dello Stato, le articolazioni di questo ordinamento, in modo particolare un rapporto tra scuola e l’Ente locale.
Mi pare siano evidenti le ragioni per cui noi stabiliamo questo tipo di connessione in quanto consideriamo l’attività di formazione, l’attività educativa come uno dei compiti primari dello Stato democratico, un compito non delegabile ad altri, e quindi il problema della scuola deve essere affrontato nel contesto di una migliore, adeguata articolazione democratica complessiva dello Stato.
Ora questa è questione impegnativa e importante, che ci impegna anche in un confronto critico con altre posizioni, ed in modo particolare con le posizioni che sono presenti all’interno del campo cattolico. Ne hanno parlato molti compagni, lo ricordava anche la compagna Sangiorgio, come certe posizioni siano presenti nel mondo cattolico in forme più o meno accentuate. Ma c’è comunque un filo conduttore che unisce la grande maggioranza delle posizioni del mondo cattolico che si muovono in una ottica diversa da questa.
A me pare che oggi non ci sia soltanto questo aspetto e questa polemica un po’ tradizionale tra forze cattoliche e forze di orientamento laico, una polemica tradizionale che si è sviluppata in modo particolare sul terreno della politica scolastica, essendo qui concentrata gran parte degli interessi e di punti di forza del mondo cattolico.
Mi pare che oggi ci sia qualche cosa di più vasto (e qui allargo un po’ il discorso andando oltre le questioni strettamente relative alla scuola): mi pare che più in generale ci sia uno sviluppo, nella società italiana, di una tendenza anti-statalista, che coinvolge forze diverse, non soltanto quelle cattoliche che tradizionalmente sono formate con questo tipo di impostazione, e che interessa diversi campi dell’intervento dello Stato. Potremmo fare numerosi esempi per illustrare questo concetto; ne farò solo alcuni e mi scuso subito se tratto questioni che non riguardano direttamente l’argomento, il tema centrale di questo Convegno, ma mi pare che ci sia una connessione che può essere utile mettere in evidenza.
Guardiamo alcuni fatti della vita politica recente, di questi anni, di questo ultimo anno. L’esempio che viene subito alla mente, quello più sintomatico, quello più significativo, è quello che si ricava da tutta la vicenda che si è aperta nel marzo scorso, la vicenda del rapimento e dell’uccisione di Moro, che è stata utilizzata da alcune forze (tra cui anche una forza importante, decisiva della sinistra come il partito socialista), per una specie di requisitoria contro la “ragion di Stato”, in nome di una visione più aperta, più attenta ai valori di umanità, e così via. Sulla base di questa impostazione, che per quello che riguarda le forze politiche soltanto il partito socialista ha sostenuto, c’è tutta una pubblicistica quanto mai ampia che si è mossa in questa direzione; basta ricordare l’opera più significativa sotto questo profilo, il libro di Sciascia “L’Affaire Moro”, che è un’opera tutta pervasa da questo tipo di impostazione antistatalista, una specie di rappresentazione del palazzo del potere come luogo esplosivo di intrighi, di prevaricazioni, per cui Moro recupera la sua umanità solo nel momento in cui abbandona la dimensione politica, rompe con la dimensione politica e diviene un privato, un uomo dominato dalla sua vicenda personale, nel momento in cui dà sfogo al suo risentimento contro gli uomini del potere.
La posizione che su questo problema, attorno a questa drammatica vicenda, ha assunto il partito socialista è apparsa a molti ed anche a molti di noi come un errore di valutazione politica, come una mossa sbagliata, una mossa controproducente che avrebbe danneggiato l’immagine e il prestigio di quel partito.
A me pare invece che in realtà, al di là delle valutazioni di merito, quella posizione non sia stata presa casualmente, non è stata presa in modo avventato ma ha cercato di riflettere, di interpretare uno stato d’animo abbastanza diffuso, certo non maggioritario, ma consistente, presente nella realtà del Paese.
Altri segni abbiamo avuto nel periodo successivo, segni di una polemica contro il regime dei partiti, di un distacco che in qualche situazione ha assunto dimensioni gravi, preoccupanti, tra la società politica e la società civile. Basti ricordare quanto è emerso dai risultati del referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, nelle grandi città anzitutto; o alcune vicende locali come quelle delle elezioni amministrative di Trieste, che rappresentano un elemento di novità rispetto alle situazioni del passato, una tendenza appunto a forme di municipalismo, a forme di organizzazione al di fuori dei canali tradizionali dei partiti e che introduce un elemento nuovo nella situazione italiana.
Tutto questo dimostra come siano cresciuti fenomeni di stacco tra società e Stato; e questo fenomeno lo si avverte soprattutto nelle grandi concentrazioni urbane dove più avanzati sono i processi di disgregazione della comunità e dove meno saldo è il tessuto che lega le forze politiche con la realtà sociale.
Voglio fare un ultimo esempio tratto proprio dalle vicende di questi giorni. Tutti i compagni avranno certamente seguito le impostazioni nuove uscite dal Convegno del partito socialista sui problemi della informazione. Anche qui vediamo l’emergere di una linea che rientra in questa generale tendenza a una posizione anti-statalistica, e qui si tratta di un problema abbastanza analogo a quello della scuola, perché anche in questo campo noi riteniamo che vi siano compiti primari e fondamentali dello Stato democratico, di uno Stato democratico che non voglia abdicare alle proprie prerogative; qui il problema della organizzazione pubblica o privata dei mezzi di informazione, del rapporto che deve esistere tra questi due settori è un problema politicamente assai impegnativo, assai importante. Ed è indicativo quindi il fatto che oggi si profili un attacco all’intervento pubblico in questo campo, vedendo nell’intervento pubblico il segno di una politica di regime, e cercando una garanzia democratica nello spazio che deve essere lasciato alla iniziativa privata. È indicativo soprattutto che queste istanze privatistiche trovino una particolare disponibilità non soltanto nei settori tradizionalmente di destra, ma trovino una ampia disponibilità in un partito che ha la collocazione politica propria del PSI.
Ora, quali sono le ragioni di questa polemica, di questa tendenza di cui ho fatto alcuni esempi? lo credo che anzitutto vi sia una ragione politica immediata, legata cioè al nuovo quadro politico che si è andato formando nel nostro Paese, nel corso di questo ultimo anno, al fatto che il Partito comunista ha assunto un ruolo di governo. Le forze tradizionalmente conservatrici che hanno nel passato utilizzato lo Stato, i suoi apparati i suoi strumenti, sono ora spinte ad una tattica diversa, si sentono un po’ meno sicure dello Stato, di uno Stato che si apre a un rapporto nuovo con il movimento operaio, con la sinistra; uno stato nel quale per la prima volta la classe, operaia e il nostro partito possono esercitare una influenza assai più ampia che nel passato. Quindi c’è già una modifica di atteggiamento nei confronti dello Stato che dipende dal mutamento del quadro politico; e questo mi pare spieghi il fatto che nel linguaggio delle forze conservatrici compare ora per la prima volta, la nozione di “regime”, un’ispirazione contro un presunto “regime” che si sarebbe instaurato in questo ultimo periodo nella vita politica italiana. Compaiono i segni propri di una cultura radicale, libertaria, antistatalista; e qui c’è un filo che lega posizioni tra loro lontane e diverse, ma che ha però appunto una certa matrice comune. Da Montanelli a Panella, troviamo spesso le medesime ispirazioni culturali teoriche, il “regime” del compromesso storico è il bersaglio di questa politica.
Le posizioni assunte dal partito socialista, sono indubbiamente un elemento di preoccupazione seria perché (anche se certamente dobbiamo distinguere il ruolo del PSI da quello di altre forze e non dobbiamo in nessun modo rinunciare ad un’azione unitaria, ad un rapporto unitario) non c’è dubbio che l’avere contribuito a questa campagna fa sì che il partito socialista rischi di coprire e incoraggiare delle spinte di destra che si vanno riorganizzando e irrobustendo nella realtà di oggi.
Io credo però che non ci siano soltanto queste ragioni, di polemica politica immediata; c’è anche un problema reale di diversa organizzazione dello Stato, di sviluppo dei suoi caratteri democratici, di collegamento dello Stato con la realtà sociale, con i momenti di autonomia che nella società civile si sono venuti costituendo. Quindi, al di là di quelle che sono evidenti forzature propagandistiche, di quelle che sono forzature legate alla contingenza della battaglia politica, c’è il riflesso di una situazione che è mutata nel Paese, del fatto che il rapporto tra Stato e società comunque oggi si deve impostare in modo diverso dal passato.
Io credo quindi che la battaglia contro le posizioni anti-statalistiche, contro le posizioni privatistiche nei vari campi e nei vari settori, può essere efficacemente combattuta e può essere vinta solo se si afferma un disegno nuovo di riorganizzazione dello Stato, se viene superata la struttura burocratico-centralistica dello Stato, se avanza un processo di democratizzazione reale, di avanzamento della partecipazione democratica a tutti i livelli. Se non riusciamo a fare questo, la spinta anti-statalistica e i fenomeni di distacco della politica, i fenomeni di corporativizzazione dalla società rischiano di prendere una consistenza sempre maggiore.
Ecco allora, se questo è vero, il valore fondamentale che assume il sistema delle autonomie locali, come articolazione di uno Stato di tipo nuovo; di qui l’importanza di quanto già si è fatto per un decentramento delle funzioni, per una concezione diversa dello Stato; di qui la convinzione nostra che questo sia un cammino fondamentale, uno degli indirizzi fondamentali su cui orientare il nostro lavoro. O c’è questo tipo di sviluppo dello Stato nel senso del decentramento, nel senso della valorizzazione del sistema delle autonomie locali, oppure, se questo non c’è, il rischio è che si vada nella direzione, appunto di un potenziamento di strutture di tipo corporativo, settoriale.
Noi quindi dobbiamo batterci per un recupero dello spirito pubblico in questa visione rinnovata, tenendo conto dei mutamenti che sono intervenuti nella società italiana, per quello che riguarda il rapporto Stato e società.
Questa premessa, forse un po’ troppo lunga, credo ci consenta di inquadrare i problemi propri del mondo della scuola, che si muove nella direzione che era presente nell’impostazione complessiva del Convegno. Anche nella scuola, il punto di riferimento unitario può essere rappresentato dall’Ente locale, con quelle cautele che già altri compagni hanno messo in evidenza, ma indicando comunque una linea di tendenza, nel senso di un decentramento di funzioni dallo Stato centrale al sistema delle Autonomie locali; cioè nel senso di un collegamento all’Ente locale degli organi collegiali che altrimenti rischiano di costituire una struttura chiusa, corporativa.
Ora qui c’è un problema che va affrontato, che è quello della capacità o meno degli Enti locali di assolvere a questo ruolo, non soltanto per la scuola ma per tutto il complesso della vita della società italiana. È in grado il sistema degli Enti locali di essere questo elemento di coesione complessiva? Questo può essere fatto se si proceda a un riordino delle strutture amministrative, e questo compito, questa esigenza di un riordino delle strutture amministrative è cosa quanto mai urgente. Questi sono problemi che stiamo affrontando, i problemi del decentramento amministrativo delle grandi città, il problema di una revisione delle strutture amministrative che dia funzioni diverse all’Ente intermedio, il problema del rapporto Regioni e Comuni, i problemi anche di una realtà come quella milanese del governo metropolitano, di un livello di governo che tenga conto della dimensione dell’area metropolitana milanese. Io naturalmente non mi soffermo su questo; dico solo che tutto questo riordino deve tendere da un lato a una maggiore democraticità, a valorizzare i mezzi di partecipazione; e insieme ad un recupero di efficienza, superando la situazione attuale che vede spesso divaricati questi due elementi, l’elemento della democrazia e l’elemento della efficienza.
Una riflessione dobbiamo fare sugli organi collegiali della scuola. Già molti interventi si sono soffermati su questo; io credo che sia necessaria una riflessione critica. Essi infatti sono sorti sulla base di una concezione profondamente estranea alla nostra, perché l’ispirazione culturale fondamentale era un’altra, era quella di tipo cattolico, cioè della comunità come un fatto chiuso, autonomo, che non entra in una relazione colla società nel suo complesso, e con le sue istituzioni; e non è certo un caso che il mondo cattolico abbia trovato qui un suo terreno privilegiato.
Il rischio è, se non intervengano dei correttivi, che questo tipo di strumento sia del tutto sfasato rispetto all’ordinamento democratico complessivo del paese, che vada avanti la logica di partecipazione settoriale nei vari campi, in cui non si partecipa come cittadini ma appunto si partecipa come insegnanti, come genitori, come figure sociali limitate. Questo fa venire meno quello che è l’elemento di fondo a cui noi invece tendiamo, quello cioè di una partecipazione alle scelte politiche complessive.
Quindi non c’è dubbio che dobbiamo tendere a una certa correzione, se questo è possibile; una certa correzione tenendo comunque conto di quanto è avvenuto. Non credo che nessuno proponga di assumere una posizione critica e negativa in generale; dobbiamo tenere conto di una domanda di partecipazione che si è sviluppata, e di una realtà che è affermata, che ha avuto una sua storia anche se una contrastata e contraddittoria. Una correzione può avvenire cercando un collegamento sistematico tra Ente locale e organi collegiali, cercando di trovare delle procedure precise che regolamentino questo tipo di rapporto. Poi si tratta di vedere se siamo in grado di aprire un dibattito anche con le altre forze politiche per cercare di definire un assetto più funzionale degli organi di governo della scuola, realizzando un certo snellimento, vedendo di definire meglio le funzioni, di avere una maggiore corrispondenza con i livelli amministrativi, di eliminare una serie di scompensi che oggi sono presenti, su cui già altri compagni sono intervenuti.
Inoltre l’affermazione del ruolo dello Stato, seppure di uno Stato ampiamente decentrato, deve fare i conti con l’esistenza di una iniziativa privata, nel campo della scuola così come negli altri campi. Qui non c’è dubbio che noi dobbiamo riconoscere uno spazio, all’iniziativa privata, salvaguardando le questioni di principio. Quindi è certamente possibile e opportuno oggi trovare momenti di intesa, e evitare una contrapposizione di carattere ideologico; perché anche in questo campo il problema fondamentale è il rapporto con le organizzazioni e con le esperienze di orientamento cattolico. Quello che non può essere accettato è il deterioramento delle strutture pubbliche, l’accettazione di una linea che porta allo sfascio della scuola pubblica, alla sua dequalificazione e che avrebbe come effetto quello di rilanciare una posizione privilegiata e predominante delle iniziative di carattere privato. In certi settori già questo fenomeno è presente. Vediamo oggi che le Università milanesi che reggono di più, che funzionano di più, sono l’Università Cattolica e la Bocconi, mentre c’è una pericolosa decadenza della Università di Stato.
Più in generale si pone il problema del nostro rapporto con il mondo cattolico; questo è nel settore della scuola un aspetto fondamentale per ragioni evidenti, per il grado di egemonia che le forze cattoliche sono riuscite storicamente a conquistarsi. Ora a me pare che non sempre troviamo in questo rapporto con il mondo cattolico la calibratura giusta. Vi è ancora una certa oscillazione tra posizioni di contrapposizione ideologica: di radicalismo, di chiusura da un lato, e dall’altro posizioni che appiattiscono la nostra linea, la linea del compromesso storico facendo venire meno l’elemento di conflittualità, di lotta per l’egemonia di confronto-scontro tra posizioni diverse. L’una e l’altra di queste oscillazioni non fanno che favorire la forza, l’egemonia e l’influenza della parte cattolica.
Nella relazione di ieri che ha fatto il compagno De Matteis vi era una illustrazione assai chiara e interessante di come è organizzato il mondo cattolico nel campo della scuola. Spero che il compagno De Matteis non sia stato troppo convincente al punto da invitare i compagni ad aderire a Comunità educante! Ma certo c’è da trarre una riflessione e un insegnamento perché qui vediamo appunto una organizzazione assai articolata che riesce ad aderire alla particolare natura e alla dimensione propria del mondo della scuola. Qui noi non abbiamo soltanto una disparità di carattere organizzativo (certo le disparità organizzativa è evidente): siamo ben lontani da quel livello di articolazione e di efficienza organizzativa, ma non c’è soltanto questo: c’è una disparità che riguarda, diciamo, il grado diverso di attenzione per un certo tipo di problematica, quella problematica che riguarda appunto l’esperienza soggettiva, il momento della formazione etica e culturale, i problemi del rapporto famiglia-scuola-società; qui c’è un ritardo nostro, di carattere culturale prima che organizzativo, e che quindi dobbiamo cercare di colmare.
Credo anche che si tratti di dare un giudizio attento, non sommario, su quello che sono le tendenze di fondo in atto oggi nel mondo cattolico, questo fenomeno di ripresa, di rilancio delle organizzazioni cattoliche. Sbaglieremmo, a me pare, se vedessimo soltanto gli elementi di integralismo che pure sono presenti, ma che non credo siano il tratto fondamentale. Non si tratta di integralismo di vecchio stampo, ma di un fenomeno nuovo, di un tentativo del mondo cattolico di dare delle risposte complessive, di indicare una scala di valori in cui trovino una risposta ai bisogni fondamentali degli individui nella società moderna, nella società che ha certi fenomeni di disgregazione, di lacerazione; il tentativo quindi di fornire una visione integrale della vita che è cosa diversa dall’integralismo. Neppure può valere a mio avviso, una interpretazione che vada in questa ripresa del mondo cattolico solo come una fuga nel privato, un abbandono dell’impegno civile, dell’impegno politico, un ritorno a una visione puramente privatistica; questo mi pare che non corrisponda alla realtà e non sia una interpretazione esatta, perché c’è piuttosto una certa ripresa di spirito religioso, di attivizzazione delle organizzazioni religiose, la ricerca di una dimensione comunitaria che superi i fenomeni più vistosi di individualismo che sono tipici della società borghese. Quindi dobbiamo cercare di vedere attentamente tutto questo complesso di problemi da cui, mi pare, possiamo ricavare la convinzione che sono possibili punti di contatto, di intesa, momenti di iniziativa comune tra le forze cattoliche e le forze del movimento operaio.
Se questa analisi che io ho cercato di fare corrisponde alla realtà, dobbiamo vedere quale tipo di presenza organizzata è possibile nel mondo della scuola.
Io credo che dobbiamo tendere a una presenza organizzata che non sia immediatamente politicizzata, perché questo limiterebbe le possibilità nostre di influenza e di intervento. Una delle ragioni di forza che il mondo cattolico ha, è una struttura associativa quanto mai articolata che aderisce alle esigenze concrete dei vari soggetti, insegnanti, genitori, senza un riferimento politico diretto.
Noi dobbiamo tenere conto degli elementi di particolarità, di autonomia, dei particolari bisogni, delle particolari sollecitazioni che ci vengono dal mondo della scuola. Per questo io credo che la strada da seguire sia quella di organizzare un movimento o meglio di definire, di costruire una struttura associativa che cerchi di rispondere a quelle che sono le domande specifiche, di carattere culturale, e educativo che ci vengono dall’interno dell’ambiente della scuola.
Questo in parte, si è cominciato a farlo, con alcuni risultati positivi, tra gli insegnanti. Dobbiamo operare con criteri analoghi nelle altre direzioni, fra i genitori, tra gli studenti, distinguendo quelli che sono oggettivamente interessi diversi, delle diverse componenti della scuola; cercando poi però di ricomporre il disegno unitario, di stabilire un collegamento, di superare quindi il rischio di una visione soltanto settoriale.
Questo mi sembra sia il compito che abbiamo davanti e non c’è dubbio che ciò richieda un potenziamento del lavoro del Partito; ma appunto cercando di avvertire subito, con il massimo di chiarezza possibile in che cosa deve consistere il lavoro del Partito, in quali forme, con quali caratteri si deve sviluppare il lavoro, perché se ci limitassimo ad un appello attivistico, credo che otterremmo risultati assai modesti; probabilmente, rischieremmo di indirizzarci su una strada sbagliata, in quella strada di un eccesso di politicizzazione, di intervento che appare come esterno, come una volontà di strumentalismo nei confronti della problematica specifica dell’ambiente scolastico. Quindi dobbiamo muoverci con una certa duttilità, cercare un collegamento con la realtà esterna, con le diverse esperienze, con quelli che sono protagonisti reali che operano nella scuola, in modo molto aperto, senza forzature strumentali.
Ora io non so dire, non so dare una valutazione precisa di quella che è la situazione di oggi per quanto riguarda il lavoro del Partito e ai vari livelli il lavoro delle sezioni. Forse c’è ancora qualche eccesso di chiusura interna, di lavoro interno anche a volte utile e interessante ma che non ci consente ancora a sufficienza di stabilire contatti vasti, molteplici; aperti, con le varie forze che operano negli organismi di gestione sociale della scuola; non soltanto con i compagni, ma con tutto un arco di forze disponibili a un discorso con noi; un discorso che abbia appunto questa capacità di intervenire sui problemi concreti, specifici che nella scuola si presentano, e che non abbia nessuna tendenza a forzature di immediata politicizzazione, a forzature strumentali.
Io credo quindi che in questo modo dobbiamo cercare di operare, considerando la scuola come una istituzione fondamentale presente nel territorio, per cui la Sezione territoriale deve considerare l’ambiente, il problema scuola come parte integrante del proprio lavoro. La Scuola deve rientrare a tutti gli effetti nella iniziativa politica del partito, certo cogliendo la sua specificità. Non possiamo lavorare verso la scuola nello stesso modo, con gli stessi strumenti, con cui lavoriamo verso le fabbriche, perché sarebbe una distorsione della realtà.
E soprattutto la condizione preliminare a me pare (oltre a questo lavoro di organizzazione delle nostre forze a questo maggiore impegno anche attivistico) quella di darci una attrezzatura culturale adeguata. Qui c’è ancora molta zavorra da eliminare. Se pensiamo alle vicende di questi ultimi anni, all’influenza che ha avuto sul movimento operaio, e anche in parte all’interno del partito, tutta una problematica che è venuta dalla cultura sessantottesca, vediamo come qui ci sia ancora tutto un recupero da operare. Basti pensare a tutte le teorie di una cultura alternativa e di una cultura operaia, che come tale si dovrebbe contrapporre al bagaglio culturale complessivo; basti pensare alle posizioni antiautoritarie portate appunto all’eccesso per cui il processo educativo come tale, alla fine, diventa un elemento di repressione. Ora qui c’è da operare il recupero in una visione culturale più seria, più adeguata, evitando di rimanere un po’ schiacciati (come in una certa fase lo siamo stati) tra questo tipo di impostazione estremistica da un lato e dall’altro le posizioni invece moderate e conservatrici del mondo cattolico, con i lavoratori un po’ in mezzo, schiacciati tra queste due tendenze, senza riuscire a sufficienza a elaborare un discorso originale. Questo mi pare sia oggi il compito cui accingersi: costruire una elaborazione della funzione della scuola che sia collegata ai compiti di trasformazione della società, all’obiettivo del superamento della crisi in cui ci troviamo; e in questo quadro si pongono quei problemi del rapporto scuola-professionalità, scuola-lavoro di cui hanno parlato alcuni compagni. C’è quindi questo lavoro di elaborazione culturale, per cui oggi abbiamo la condizioni all’interno del Partito ed anche la forza, come ci mostra anche la riuscita di questo convegno, l’interesse che in molti compagni c’è, la presenza di forze qualificate del Partito che possono essere in grado di farci compiere questo salto di qualità necessario per affrontare in modo più adeguato tutta la problematica della scuola.
Busta: 6
Estremi cronologici: 1978, 18-19 novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Quaderni della Commissione scuola della Federazione milanese del PCI”, pp. 71-78