I NODI PRINCIPALI DI FRONTE ALLA CGIL

10 domande a Susanna Camusso

di Riccardo Terzi

Vorrei sottoporre all’attenzione di Susanna Camusso, nuova Segretaria generale della CGIL, un promemoria, sotto forma di decalogo, indicando quelli che a me sembrano i nodi principali che la CGIL dovrà affrontare nel prossimo futuro. Voglio subito chiarire, in premessa, che il mio punto di partenza è una disposizione di attesa fiduciosa, considerando sia le qualità personali di Susanna, sia la forza complessiva che la CGIL esprime come grande organizzazione di massa che non si è lasciata travolgere, e che riesce tuttora a rappresentare un’identità collettiva, un punto di riferimento obbligato per chiunque voglia ragionare sul futuro del nostro Paese. La scelta di un “decalogo” è quindi solo il ricorso a una antica forma letteraria, e non si tratta in questo caso di “comandamenti”, per i quali non ho né l’autorità né la presunzione, ma solo di interrogativi che restano in attesa di una risposta e che, penso, meriterebbero una discussione. Procedo dunque, nel modo più sintetico possibile, alla formulazione dei dieci punti.

 

1) Il regime interno della CGIL

Comincio da qui, perché è sempre un buon metodo quello di sottoporre a critica se stessi, di vedere non solo ciò che dipende dal contesto esterno, ma ciò che dipende da noi. Una grande organizzazione è sempre esposta al rischio di irrigidirsi nella ripetizione di un rituale burocratizzato, senza più riuscire a scorgere i punti di criticità che richiedono un cambiamento. La CGIL, sotto questo profilo, è oggi un misto di forza e di fragilità, perché il suo regime interno garantisce la continuità, ma ostacola l’innovazione. Ciò che servirebbe è l’adozione di un criterio di selezione dei gruppi dirigenti che sia tutto proiettato alla valorizzazione delle qualità personali, dell’autonomia di giudizio e di pensiero, della creatività nel lavoro. Se invece la selezione avviene per fedeltà, per cooptazione, per osservanza delle convenzioni, la forza dell’organizzazione non può che deperire. A mio giudizio, noi già ci troviamo nel punto in cui rischiamo di essere sopraffatti dalla forza di inerzia di un’organizzazione preoccupata solo di salvaguardare se stessa e le sue procedure consolidate. Ma una svolta non può avvenire se non c’è un chiaro impulso da parte del vertice dell’organizzazione: un impulso che liberi tutte le energie potenziali e dia a tutti i militanti il senso nuovo di una libertà di movimento e di una promozione delle diversità.

 

2) L’unità sindacale

Questo è il punto più acuto di criticità nell’attuale situazione. È chiaro che non servono a molto le esortazioni retoriche all’unità, perché ciò che divide le confederazioni non è il soggettivismo dei gruppi dirigenti, ma è un giudizio complessivo sullo stato dell’Italia e sull’evoluzione dei rapporti politici. Ma occorre impedire che queste differenze, che sono reali e non contingenti, si cristallizzino in un dualismo strategico senza più nessuna possibilità di mediazione, col risultato di “bipolarizzare” il movimento sindacale: da un lato un sindacato di governo, dall’altro un sindacato di opposizione. La mediazione resta possibile se c’è un reciproco riconoscimento di legittimità. Senza nascondere nessuna delle ragioni di contrasto, dobbiamo perciò mantenere un approccio di apertura e di dialogo, il che viene precluso nel momento in cui si dovessero giudicare le altre confederazioni come ormai organiche al blocco di destra. Insomma, si può anche essere costretti ad andare da soli, ma è assolutamente perniciosa e distruttiva la tesi per cui l’andare da soli è segno di forza, e la mediazione è segno di cedimento. È la retorica dell’autosufficienza che deve essere apertamente contrastata.

E se il nostro prossimo futuro è, con ogni probabilità, un futuro di differenziazioni, diventa decisivo fissare le regole che possono disciplinare questo pluralismo. In assenza di un accordo sulle strategie, il primo passo da fare è l’accordo sulle regole.

 

3) Il rapporto con la politica

Se il rapporto con la politica è troppo stretto, l’esito diventa necessariamente la bipolarizzazione del sindacato. Il tema cruciale resta quindi quello dell’autonomia, che viene spesso enunciata in via di principio, ma smentita nei comportamenti reali. Io penso che sia il momento di una più netta affermazione, nella teoria e nella pratica, dell’autonomia dei soggetti sociali, come condizione della vitalità democratica e della stessa coesione sociale del Paese. Il sindacato non può essere il campo di battaglia nel quale si disputa la competizione per l’egemonia politica, né può essere una struttura collaterale, un punto di partenza per future carriere politiche, come ancora troppo spesso avviene. La CGIL non è un esercito di riserva, e non è a disposizione di nessuno. Dobbiamo rendere chiaro a tutti che la nostra funzione di rappresentanza travalica le ragioni della politica, e si afferma in un rapporto dialettico che non risparmia nessuno dei soggetti politici. Dopo lo scioglimento delle correnti di partito, c’è un ulteriore passo da fare, per formare un gruppo dirigente che sia il depositario e il garante delle ragioni dell’autonomia del sindacato.

 

4) La rappresentanza

Rappresentare il lavoro, nelle sue diverse forme, e rappresentare, più in generale, le domande sociali in un mondo in rapida trasformazione, è questo il compito del sindacato. Per questo, occorre un investimento di iniziativa e di organizzazione in tutti quei territori che oggi sono, sostanzialmente, senza rappresentanza. Mentre, con l’invenzione del Sindacato dei pensionati, si è data rappresentanza alle persone anziane, riconosciute non per il loro passato lavorativo ma per la loro attuale condizione sociale, il punto più scoperto nella nostra funzione di rappresentanza resta quello delle nuove figure sociali, in particolare giovanili, che sono entrate nel circuito perverso della precarizzazione, del lavoro e della vita, e che comunque, anche ai livelli più alti, sono esposte a un futuro di incertezza. Qui sta la scommessa per il nostro futuro. Lo stesso discorso vale per tutto il vasto arcipelago dell’immigrazione, nel quale si riproducono i meccanismi più brutali dello sfruttamento e del lavoro servile, senza diritti e senza cittadinanza. La CGIL deve essere la forza che si apre a questi mondi, e che costruisce una rete organizzata, dando voce a chi viene spinto ai margini della vita civile. Da questo punto di vista, vanno ripensate tutte le forme organizzative, per rendere possibile ed efficace un’apertura ai nuovi soggetti di cui si compone l’attuale mondo del lavoro.

 

5) La questione FIOM

C’è un attacco concentrico contro la FIOM, con il tentativo evidente di metterla definitivamente fuori gioco, in quanto espressione di un estremismo sindacale non più compatibile con le ragioni di un moderno riformismo. Questo attacco deve essere respinto, e nessuno può chiedere alla CGIL di partecipare a questo gioco di isolamento e di emarginazione della FIOM. Nella FIOM c’è il deposito di una storia e di una cultura sindacale che ha una sua compattezza e un suo radicamento sociale. Non è una scheggia impazzita, ma un momento dell’articolazione e del pluralismo del sindacalismo italiano. Naturalmente, ci sono molte questioni da discutere e da chiarire, oggi come ieri. L’essenziale è che resti aperto il circuito di comunicazione, di confronto, di ricerca comune, tra la CGIL e le diverse esperienze di categoria, intendendo la confederalità non come il comando gerarchico della confederazione sulle categorie, ma come il processo sempre aperto in cui, partendo da punti di vista diversi, si costruisce un orizzonte comune. Occorre quindi impedire che la FIOM sia il capro espiatorio, e che si rinchiuda in se stessa, in una disperata difesa della sua autonomia. È la circolarità delle esperienze e delle culture sindacali che deve essere riattivata, mettendo tutti nelle condizioni di concorrere, alla pari, alla discussione e alla definizione degli obiettivi comuni. C’è stato un Congresso, in cui il gruppo dirigente della FIOM si è collocato all’opposizione. Ma non serve a nessuno prolungare e cristallizzare quegli schieramenti congressuali, perché nel frattempo tutta la situazione si è messa in movimento, e dobbiamo ragionare non sul passato, ma sul futuro. Un nuovo, più costruttivo, rapporto con la FIOM è una delle condizioni per il rilancio della CGIL.

 

6) Le trasformazioni del lavoro

Tutti diciamo che il mondo del lavoro è cambiato, ma troppo spesso ci si ferma a qualche formula generica: il post-fordismo, la precarizzazione, il capitalismo molecolare. Manca l’impegno a una analisi più approfondita e concreta, per cogliere davvero tutte le implicazioni sociali dei mutamenti che si stanno producendo nel sistema produttivo e nel sistema sociale. E questo ritardo ha determinato una carenza di elaborazione delle politiche contrattuali e rivendicative: orario di lavoro, organizzazione del lavoro, formazione, professionalità, strumenti di partecipazione. D’altra parte, tutta la vicenda Fiat ci mette di fronte a una sfida molto alta e impegnativa, perché il progetto politico è quello di imporre al sindacato e ai lavoratori un modello di impresa che non lascia più nessuno spazio alla contrattazione e che chiude il mondo del lavoro in una gabbia di regole che è definita in modo del tutto unilaterale, in funzione solo della produttività del sistema. Il sindacato, da tempo, ha perso il controllo dei diversi fattori che regolano la prestazione lavorativa. È tutto l’asse del nostro lavoro che si è spostato su un altro terreno, più politico, più generale, attinente ai diritti fondamentali, lasciando scoperto il campo dell’innovazione tecnologica e organizzativa che ha investito il mondo delle imprese. Ma è urgente recuperare questo ritardo, e affrontare questi problemi con una nostra autonoma capacità propositiva.

 

7) Il territorio

Analogamente, il territorio va indagato nelle sue trasformazioni, nelle sue dinamiche e nei suoi conflitti. Dire solo “centralità del territorio” vuol dire rifugiarsi in una retorica del tutto improduttiva, e subire l’egemonia della cultura leghista, che costruisce il mito della comunità territoriale come superamento dei conflitti sociali. Il territorio è centrale solo perché dobbiamo considerare le persone nella pienezza della loro condizione, che non si esaurisce nel lavoro, ma investe il loro rapporto con le istituzioni e la qualità della vita nel suo significato più ampio. Occuparsi del territorio vuol dire allora occuparsi dei rapporti di potere, dei percorsi partecipativi che devono essere attivati per mettere sotto controllo le strutture di potere, della costruzione della cittadinanza, dell’universalità dei diritti, il che significa non un superamento del conflitto sociale, ma piuttosto una sua estensione a nuovi campi, vedendo tutta la stretta connessione tra il lavoro e il sistema sociale complessivo. Spostare risorse e competenze sul territorio, superando il tradizionale verticismo dell’organizzazione, vuol dire quindi attrezzarsi nel confronto e nel governo dei nuovi processi sociali.

 

8) Europa e mondo

Anche in questo caso, c’è uno scarto tra la retorica e la prassi reale. La globalizzazione è entrata nel nostro linguaggio quotidiano, ma le nostre azioni restano circoscritte e non hanno la forza di incidere sul processo globale. Anche l’Europa è spesso solo l’invocazione astratta di un’identità collettiva, senza che si misurino i passi necessari per dare vita effettiva a tale identità. Anche la CGIL partecipa di questo ritardo, di questo scarto tra le dichiarazioni e i fatti. Le politiche internazionali ed europee sono rimaste un settore, un segmento riservato a qualche specialista, e non la dimensione obbligata che condiziona tutto il nostro lavoro.

 

9) L’identità

Di fronte ai processi di individualizzazione che attraversano tutte le società occidentali, di fronte alla crisi delle ideologie tradizionali, anche il tessuto connettivo della CGIL rischia progressivamente di essere sfrangiato e indebolito. Ma una grande organizzazione non può essere tenuta insieme solo da comportamenti di convenienza, da rapporti di tipo strumentale, ma ha bisogno di una identità, ovvero di un nucleo centrale di valori che sia capace di ricondurre all’unità tutto il pluralismo delle situazioni particolari. Lavorare sull’identità, è un compito urgente e necessario, perché questa è la condizione per una adesione al sindacato che non sia solo legata a motivazioni contingenti. Il centro di una nuova identità può essere cercato nel binomio di persona e cittadinanza. Persona, ovvero riconoscimento della sua autonomia, della sua libera scelta, in tutti i campi della vita. Cittadinanza, ovvero realizzazione della persona non nel ripiegamento individualistico, ma nella ricchezza della rete sociale e nel protagonismo di un impegno civile che investe le forme e i contenuti del nostro vivere collettivo. In ogni caso, occorre dare un senso all’impegno sindacale, una motivazione per aggregare l’insieme del mondo del lavoro intorno a un progetto di società.

 

10) Lo stile di direzione

L’autonomia del sindacato rispetto alla sfera politica deve essere anche, in confronto con la spettacolarizzazione mediatica della politica, un diverso stile di lavoro, nel quale conta il lavoro collettivo, il rapporto con le persone, e la capacità di misurarsi con le reali condizioni di vita delle persone. La figura del dirigente sindacale deve apparire, ed essere nella realtà, qualcosa che si stacca, con nettezza, dal clima politico corrente, per il suo linguaggio, per il suo stile di vita, per il modo in cui si approccia ai problemi. Deve cioè risultare chiaro che il sindacato non è una “casta”, una sovrastruttura parassitaria, ma un’organizzazione che sta al servizio dei lavoratori e che si occupa delle loro condizioni reali. Susanna Camusso può essere un’ottima soluzione per la segreteria generale della CGIL, ma lo è in questo contesto, in questa dimensione collettiva, pensando cioè che si tratta solo di una “funzione”, la quale deve garantire il pieno sviluppo della vita democratica interna, senza quella curvatura leaderistica e autoritaria che ha contrassegnato, negli ultimi tempi, la vita politica del nostro Paese.

In conclusione, penso che su tutti questi temi la CGIL abbia le risorse per lavorare, e per produrre i cambiamenti necessari. Ciò non può avvenire spontaneamente, ma richiede una discussione, un confronto politico organizzato, per poter valutare in tutta la loro portata e nella loro oggettiva difficoltà i nodi che ci stanno di fronte.



Numero progressivo: E15
Busta: 5
Estremi cronologici: 2010, dicembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Note: Bozza sostanzialmente identica al testo a stampa
Pubblicazione: “Argomenti umani”, dicembre 2010, pp. 17-23