[DEMOCRAZIA IN EUROPA]
Intervento di Riccardo Terzi a un incontro tenuto a Madrid
Vi ringrazio per l’invito. È un’occasione feconda per un confronto e per una ricerca comune intorno allo stato attuale dei nostri sistemi democratici, qui nella vecchia Europa, che è stata la culla della democrazia, e che attraversa ora una fase di grave incertezza.
La mia tesi è che siamo in presenza di una vera e propria crisi della democrazia. Non è solo un mutamento delle forme della politica, e non basta che siano formalmente salvaguardate le procedure di legittimazione del potere, perché una democrazia ridotta a procedura viene svuotata della sua forza e diviene solo una cornice del tutto astratta, entro la quale ciò che accade è un rovesciamento del rapporto tra partecipazione e potere, secondo una linea di tendenza che svincola il potere da ogni forma di controllo. È questo un movimento che si sta producendo sull’intera scala europea, con qualche significativa particolarità nazionale, ma all’interno di un comune orizzonte.
L’Italia berlusconiana non è un’eccezione, ma è solo il punto in cui il processo degenerativo è più visibile e scoperto. Berlusconi ha il merito di mettere a nudo la sostanza del problema: tutta l’enfasi sul decisionismo, sulla necessità di un potere più concentrato e più efficace, tutto ciò che è stato esaltato come il “nuovo” di una politica post-novecentesca, post-ideologica, come un andare oltre le vecchie appartenenze, produce infine un sistema di governo del tutto degenerato. Torna di estrema attualità il problema delle garanzie, dei contrappesi, della divisione dei poteri, per mettere un argine ad un potere arbitrario e invasivo, che tende ad occupare tutto il campo della vita sociale e a liquidare ogni forma di autonomia: nell’informazione, nella cultura, nelle relazioni sociali.
Non sto andando fuori tema, perché è evidente che non c’è nessuno spazio significativo per il protagonismo democratico dei cittadini se non in un contesto istituzionale che punti sulla partecipazione come sua fondamentale risorsa, e questa condizione di partenza non è data oggi in nessuno dei maggiori paesi dell’Europa. Che cosa è accaduto, negli anni trascorsi, per produrre questa situazione di crisi? Sono accadute due cose, tra loro connesse. Da un lato, c’è l’esplosione dell’economia globalizzata e la contestuale egemonia delle teorie liberiste, secondo cui il mercato è l’unico supremo regolatore di tutte le relazioni umane. In questa visione, la politica viene relegata nell’angolo, e può servire solo come forza di lubrificazione di un meccanismo oggettivo e neutrale, che ha in se stesso la sua ragion d’essere. Se, come ha sostenuto la signora Thatcher, non esiste la società, ma esistono solo i comportamenti e le convenienze individuali, la politica viene meno perché viene meno il suo oggetto, e si tratta allora solo di regolare il traffico di un sistema che obbedisce solo ai suoi impulsi, senza che la politica possa imporre una sua visione alternativa.
Dall’altro lato, la politica, per contrastare questa sua emarginazione, punta le sue carte sul modello di un decisionismo autoritario, sacrificando su questo altare le ragioni della democrazia, nell’illusione di poter ripristinare, per questa via, il suo primato. Nella realtà, nel momento in cui vengono prosciugate le risorse della democrazia, la politica è ancora più impotente, e in totale balia di poteri che sfuggono al suo controllo. Il discrimine tra tutte le diverse ipotesi politiche sta quindi essenzialmente nel nodo della democrazia, se è vista come una risorsa o come un intralcio, come la risposta alla globalizzazione, o come un arcaismo non più compatibile con i ritmi di un mondo che non può più attardarsi nei tempi lunghi del processo democratico. Decisione, velocità, autorità, potere carismatico: sono i nuovi miti fondativi di un pensiero che tende a sbarazzarsi delle vecchie zavorre democratiche. Anche la sinistra politica non è stata estranea a questa tendenza, e in molti casi essa appare alla ricerca non di un nuovo pensiero, ma di un nuovo capo a cui consegnare le nostre libere scelte.
È in questo scenario di mutazione e di decadenza che va inquadrato tutto il problema della partecipazione, sapendo individuare con esattezza gli ostacoli da rimuovere, ed essendo determinati ad andare contro corrente. La democrazia non è un dato ormai acquisito, ma essa va riconquistata, sottoponendo ad una verifica critica e a una incisiva azione di riforma tutte le strutture di potere.
Il capitolo che riguarda il ruolo delle persone anziane non è un dettaglio secondario, perché si tratta, dati gli attuali andamenti demografici, di un vastissimo e crescente spazio sociale, il quale viene spinto, da tutti i meccanismi oggi dominanti, verso un destino di marginalità e di passività. L’invecchiamento tende a produrre un immenso deposito di vite sprecate, di risorse inutilizzate. La condizione degli anziani getta una luce sulla qualità complessiva della struttura sociale. A partire da qui, possiamo valutare il grado di coesione e di solidarietà dell’intera comunità nazionale.
Da varie parti, si tende ad alimentare il conflitto intergenerazionale, presentando gli anziani come i depositari di una rendita di posizione che blocca le possibilità di ascesa sociale per le nuove generazioni. In realtà, giovani e anziani sono, nella stessa misura, le vittime del meccanismo competitivo, e possono essere alleati in una battaglia comune per un cambiamento dell’attuale modello di sviluppo, mettendo al centro la dignità della persona umana, nelle diverse fasi della sua vita. Non regge più la classica tripartizione del ciclo della vita, per cui il tempo è scandito nei tre distinti e separati momenti dello studio, del lavoro e del riposo. Al contrario, è necessario che questi tre elementi siano sempre tra loro intrecciati, sia pure con modalità diverse. In questo senso, noi mettiamo al centro della nostra iniziativa, come sindacato dei pensionati, l’obiettivo dell’invecchiamento attivo, che significa pienezza di impegno e di riconoscimento sociale, nelle diverse forme che ciascuno può autonomamente decidere, con il prolungamento del lavoro remunerato o con la partecipazione alla vasta rete del volontariato e dell’associazionismo. In ogni caso, va contrastata l’idea che gli anziani debbano semplicemente farsi da parte, ed essere avviati verso un esito di passività, chiusi nella loro piccola dimensione privata. Una politica per l’invecchiamento attivo è una delle condizioni per la vitalità del sistema democratico, proprio perché si tratta di mettere tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro età e dal loro lavoro, nella condizione di contribuire al dibattito pubblico e alle scelte di fondo che riguardano la nostra vita collettiva.
Questo processo non si produrrà né spontaneamente, né per la graziosa concessione del sovrano, ma richiede una azione sociale organizzata. In generale, c’è democrazia solo se c’è una società che si organizza, se tra il potere e la massa indistinta dei singoli cittadini si costituisce una “società di mezzo”, ovvero una rete di soggetti collettivi e di rappresentanze, nella quale la partecipazione prende forma come esperienza concreta. In assenza di questa rete, in assenza degli strumenti e degli spazi per la partecipazione, diviene inarrestabile il dominino di un modello plebiscitario, di una politica che si svolge tutta nella competizione per la leadership, lasciando che i cittadini siano solo spettatori passivi. Siamo già andati molto avanti in questa linea di svuotamento della democrazia, dove il partito politico è soppiantato dal leader, il dibattito pubblico dall’intrattenimento televisivo, la chiarezza del progetto politico dall’ambiguità e vacuità delle formule propagandistiche. E anche per questo, per questo slittamento della politica nell’irrilevanza, cresce in tutta Europa l’astensionismo e prendono forza i sentimenti dell’antipolitica.
Quindi, il primo passaggio necessario è la costituzione delle rappresentanze. In questo senso, le organizzazioni sindacali hanno una funzione democratica di primo piano, non perché invadono impropriamente il campo della politica, ma perché danno alla società una struttura e danno voce collettiva alle persone, a quell’insieme di interessi e di passioni di cui è composta la nostra vita.
L’esperienza italiana del Sindacato dei pensionati è un esempio molto interessante e positivo, proprio in quanto svolge questa funzione essenziale di offrire un’organizzazione al mondo degli anziani, che rischia altrimenti di restare escluso dal dibattito pubblico. Rispetto agli altri modelli organizzativi che si sono adottati in molti paesi, nei quali i pensionati restano legati alle loro originarie categorie professionali, il grande vantaggio è che la persona anziana viene rappresentata non per il suo passato, ma per il suo presente, non per il suo lavoro pregresso, ma per la sua attuale condizione sociale ed esistenziale. Con ciò, il Sindacato dei pensionati si trova ad affrontare tutta la complessità di quella difficile fase di transizione e di cambiamento che chiamiamo “invecchiamento”, nella quale ciascuno deve saper riprogettare la propria vita e ridefinire il proprio ruolo sociale.
Accanto al sindacato, c’è inoltre un vasto e complesso mondo associativo, che concorre a formare il cosiddetto “terzo settore” (volontariato, cooperative sociali, associazioni per il tempo libero e per l’educazione degli adulti). È questa realtà intermedia, tra lo Stato e il mercato, che va valorizzata e sviluppata, per sottrarre ambiti vitali della nostra esperienza alla logica mercantile e alla competizione individualistica, secondo un principio di solidarietà e di coesione sociale. Tutto ciò ha trovato recentemente un sostegno costituzionale con l’affermazione del principio di “sussidiarietà”, che significa in concreto il riconoscimento della funzione pubblica che può essere svolta anche da libere associazioni di cittadini, in vista di obiettivi di pubblica utilità. In Italia, tutta questa realtà ha un rilievo sociale significativo. Secondo una recente ricerca promossa dallo SPI e dall’IRES CGIL, il contributo che gli anziani danno, a vario titolo, al benessere comune della collettività, nel lavoro volontario e nelle reti della solidarietà familiare, corrisponde all’1,2% del prodotto interno lordo, a cui si deve aggiungere l’effetto di sostegno al lavoro femminile, pari al 2,4% del PIL.
E allora, se c’è ed è vitale questa rete sociale organizzata, in che senso parliamo di una crisi della democrazia? La crisi sta nel fatto che tra questo mondo sociale e le istituzioni politiche non si è costruita una relazione organica, che le due sfere restano separate. Il momento della decisione è sottratto al controllo e alla partecipazione. La politica si costituisce come una sfera autosufficiente: una volta ottenuta l’investitura democratica con le elezioni, il rappresentante politico non si occupa più dei rappresentati, considerandosi ormai sciolto da ogni vincolo, spesso anche dai vincoli della legalità e della decenza. Berlusconi incarna esattamente questa idea autoritaria del potere, operando sistematicamente fuori dalle regole e dalle garanzie costituzionali, come il depositario di un potere assoluto. Ma è tutta la politica che rischia di avvitarsi in questa spirale, creando una spaccatura drammatica tra il corpo sociale e le istituzioni.
C’è un ultimo aspetto che voglio considerare, ed è il problema dello spazio, dell’estrema dilatazione dello spazio che è indotta dal processo di globalizzazione. Questo è un argomento che viene spesso usato per giustificare la concentrazione del potere: nei grandi spazi della società globalizzata, e di fronte ai ritmi estremamente veloci del processo economico, è inevitabile un certo restringimento delle garanzie democratiche, perché sia gli spazi che i tempi non sono più quelli che abbiamo conosciuto nella passata stagione, e tutto lo scenario politico ne viene sconvolto. Stiamo entrando in un mondo – questa è la tesi – non più compatibile con le tradizionali procedure democratiche.
È un argomento che merita una risposta. Anzitutto, lo spazio globale convive con i tanti spazi locali, e i grandi flussi dell’economia transitano da determinati luoghi, e c’è sempre quindi una relazione tra il globale e il locale, un impatto dei flussi sui luoghi. Agire localmente vuol dire anche condizionare l’intero processo. Per questo sono importanti tutte le esperienze di democratizzazione che vengono tentate all’interno di una determinata comunità: consultazione dei cittadini, referendum, dibattito pubblico, democrazia deliberativa. Esistono diverse esperienze. Cito, ad esempio, una recente legge regionale della Toscana a sostegno delle forme di partecipazione dei cittadini alle scelte più rilevanti che riguardano l’uso del territorio, e proprio in Toscana abbiamo promosso una ricerca per esplorare tutto il tema della partecipazione, nei suoi limiti e nelle sue potenzialità. Dobbiamo impegnarci in questa direzione, in un sistematico lavoro di democratizzazione del processo decisionale, ai diversi livelli.
Certo, resta aperto, e di non facile soluzione, il problema della democrazia nei grandi spazi. Questo tema va oltre i limiti di questo nostro incontro. Voglio solo dire che non possiamo rassegnarci all’idea che si tratti di un problema insolubile. È possibile individuare una linea di riforma delle grandi istituzioni internazionali, ed è urgente un nuovo passo nella costruzione democratica dell’Europa, superando il carattere verticistico e tecnocratico che fin qui ha avuto la politica europea. Ed è necessario che i soggetti sociali, le rappresentanze, si muovano nella nuova dimensione spaziale, costruendo rapporti, relazioni, collaborazioni e azioni comuni, per essere una forza capace di incidere nel mondo globalizzato. La democrazia va riconquistata, e va anche ridefinita nei suoi obiettivi e nei suoi strumenti. È il lavoro che ci attende nel nostro prossimo futuro.
Busta: 4
Estremi cronologici: [2010]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Note: Si è scelto di collocarlo tra gli Scritti Sindacali per il contesto in cui è inserito, ma il contenuto del discorso è prevalentemente politico