[LA DEMOCRAZIA E LA SUA CRISI]
Assemblea annuale del CRS
Relazione di Riccardo Terzi
Essendo questa l’assemblea annuale del CRS e avendo anche al centro un tema fondamentale e strategico, perché discutiamo della democrazia e della sua crisi, credo che dovremmo cercare di capire se riusciamo, a partire da qui, a mettere un po’ più in chiaro qual è l’impianto strategico del nostro lavoro, cioè se abbiamo un’ipotesi di fondo su cui lavorare e dentro la quale, poi, attivare le diverse competenze e le diverse sensibilità, sempre con una logica aperta, ma avendo un impianto che definisce il nostro lavoro.
Da questo punto di vista non credo che riusciamo ad arrivare a delle conclusioni definitive in un’assemblea anche per la partecipazione non sufficiente.
Dico la mia opinione: mi sembra che di fronte al tema “esiste o meno una crisi della democrazia” assistiamo nel dibattito politico a due tesi prevalenti, possiamo dire una massimalistica e una minimalistica.
La prima che, appunto, accentua e drammatizza il tema della crisi della democrazia, vedendo in atto un processo di restaurazione tendenziale di un regime di tipo autoritario e quindi opponendo a questo processo la necessità di una linea di resistenza.
La seconda interpretazione minimalistica tende a vedere tutto quello che accade, anche gli aspetti negativi, come gli elementi di una transizione che è ancora in corso, una transizione incompiuta, non si è ancora trovato un assestamento sufficientemente forte e razionale verso un bipolarismo compiuto e quindi sono crisi di assestamento alle quali rispondere rilanciando il progetto per la costruzione di un sistema bipolare.
A me non convincono nessuna delle due interpretazioni, credo piuttosto che quello che avviene soprattutto in Italia, ma non è solo un fatto italiano, è una mutazione delle forme della democrazia e non una crisi nel senso di un collasso della democrazia.
Cambiano le forme e questo per effetto di una serie di processi politici, sociali, economici che non sto qui a ricordare e il cambiamento avviene verso una democrazia di tipo verticale, cioè di tipo plebiscitario o populista.
La verticalizzazione del potere, la personalizzazione, i meccanismi dell’investitura diretta, una logica decisionista in un rapporto diretto elettore e vertici del potere: questo è un modello a cui si può opporre, si è opposto storicamente un diverso modello, quello che possiamo chiamare di democrazia di tipo orizzontale, basata sulla pluralità delle rappresentanze, sul coinvolgimento partecipativo delle rappresentanze, sia politiche che sociali nel processo decisionale, quindi una politica di mediazione che riconosce le autonomie territoriali e sociali e che lavora, quindi, per una democrazia allargata.
Questi due modelli non coincidono, non corrispondono esattamente alla politica di destra o di sinistra, non c’è sovrapposizione, coincidenza dei due piani perché noi abbiamo una parte della sinistra che ha deciso di competere sul terreno della democrazia verticalizzata, accettandolo quell’impianto e considerandolo il portato inevitabile della modernizzazione della società.
Il problema, quindi, è la leadership, la costruzione del soggetto politico in grado di competere nella competizione bipolare: il problema è costruire l’Ulivo e costruire il suo leader, punto e basta.
Se guardiamo al panorama europeo, in realtà un’esperienza come quella del laburismo inglese con Blair sta tutta dentro questo modello di verticalizzazione, è una democrazia tutta incentrata nella figura del leader.
Se guardiamo, poi, ai processi storici, più che la sinistra quelli che hanno elaborato una teoria delle autonomie sociali, della società di mezzo, delle rappresentanze, delle politiche di mediazione sociale di concertazione sono soprattutto le forze cattolico-democratiche, più che quelle tradizionali di sinistra che avevano in mente un’idea molto più giacobina di primato della politica.
Comunque sia a me pare che oggi il tema strategico è un po’ questo: considerando inevitabile questa mutazione che è il portato dei processi della modernizzazione, si tratta di stare dentro questa mutazione e di procedere verso il compimento della transizione verso un modello di bipolarismo compiuto e quindi verso una forma di estrema semplificazione e rarefazione del sistema democratico o se invece il problema, che a questo punto si apre, è quello di rivedere come riusciamo a costruire le forme di una democrazia allargata.
Questo mi pare sia il tema su cui decidere un nostro orientamento e se il tema, come io credo, è questo della democrazia allargata o della democrazia orizzontale, la questione della rappresentanza è quella decisiva.
Questo tema l’ha messo a fuoco, nella parte conclusiva, la relazione di Melchionda e io sono d’accordo che la risposta alla destra non può essere soltanto nei meccanismi giuridici e istituzionali, è una risposta politica e richiede l’attivazione dei soggetti politici, delle rappresentanze politiche. Il tema della rappresentanza, visto nei suoi diversi aspetti politici e sociali: si tratta di riconoscere e valorizzare le rappresentanze che ci sono e costruire meccanismi di rappresentanza laddove sono assenti.
Noi abbiamo oggi territori sociali senza rappresentanza e la destra e il suo messaggio populista è tanto più forte quanto più siamo in presenza di società atomizzate, senza rappresentanza sociale.
Il tema è anche quello dei partiti politici: se si pensa che i partiti politici sono ormai un retaggio, una sopravvivenza del passato destinata ad essere surclassata da altri soggetti, se si pensa che il problema ormai è il nuovo soggetto della coalizione oppure i partiti sono destinati a dissolversi nella spontaneità sociale, nella spontaneità dei movimenti vuol dire che stiamo addentro a quell’altro modello, cioè stiamo addentro un’idea che non è quella di una società democratica strutturata e organizzata.
Io, poi, penso che i partiti non possono più essere visti secondo un principio forte di primato della politica, sono una delle funzioni, accanto ad altre, non ci può essere una visione partitocentrica.
Senza una struttura delle rappresentanze politiche, però, noi andiamo verso un collasso di una democrazia organizzata e andiamo inevitabilmente verso una forma di populismo, magari declinato a sinistra.
Così è essenziale tutto il tema delle forze sociali, non soltanto del Sindacato – del Sindacato anzi tutto – ma più in generale dei rapporti sociali, della loro autonomia, dello spazio che va costruito perché venga esercitata pienamente la funzione di rappresentanza autonoma delle Organizzazioni sindacali.
Da questo punto di vista io non condivido le cose che dice Salvi e credo che la scelta del referendum sia stata del tutto errata perché è un tentativo di scavalcamento delle Organizzazioni sindacali su un tema dove, invece, sono le grandi Organizzazioni sindacali quelle che devono affrontare e risolvere, trovare le soluzioni per un sistema più adeguato dei diritti in una pratica di concertazione sociale.
Se individuiamo questo tema che io ho chiamato della costruzione di una democrazia allargata, con questo criterio dobbiamo affrontare, poi, i vari temi: questo vuol dire democrazia economica, che scompare nel modello plebiscitario e interessa soltanto il vertice dello Stato, ma tutte le forme concrete di partecipazione alle decisioni nella sfera economica viene relegato, l‘ho già ricordato in una riunione precedente. Il tema del territorio, quindi come si organizza il federalismo, come si organizza la sussidiarietà, anche quella orizzontale, cioè la sussidiarietà come momento di partecipazione, di coinvolgimento dei soggetti sociali all’attuazione di politiche pubbliche.
Il tema dell’Europa, cioè che tipo di Europa vogliamo costruire e quali sono, anche qui, le ossature, i soggetti politici che costruiscono l’Europa, i progetti politici. Tutto il problema è quello di ridefinire spazi, luoghi e soggetti della democrazia contro un modello di semplificazione.
Da questo punto di vista va fatto un bilancio critico di questa fase, di questo modo un po’ improvvisato in cui siamo passati a un sistema maggioritario, non tanto per criticare perché io non credo che si tratti di rifiutare in sé, dal punto di vista politico, un modello bipolare ma il bipolarismo non significa che tutta la società debba essere forzatamente bipolarizzata, che ci debba essere una sorta di colonizzazione politica della società per cui o si sta di qua o si sta di là: c’è uno spazio di autonomia sociale che va pienamente valorizzato e riconosciuto. E siccome il problema della destra è che dietro di essa stanno forze, stanno interessi, c’è un blocco sociale e non è soltanto un potere mediatico di Berlusconi, noi dobbiamo agire su questo terreno, intervenire dentro i processo sociali.
Io credo che qui possiamo trovare una linea di lavoro anche come CRS, intendendolo non come un organismo specialistico che si occupa soltanto in termini tecnici di riforme istituzionali ma come una sede politica che sta dentro una riflessione strategica in un rapporto di confronto e di collaborazione con la sinistra politica, senza pensare di essere noi gli unici ad avere soluzioni miracolistiche, in una visione realistica dei processi, in un rapporto che va costruito con le rappresentanze politiche attuali e non quelle immaginarie, fare una strada seria di riflessione.
Busta: 3
Estremi cronologici: [2003, 23 giugno?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CRS -