FEDERALISMO E RIFORME
di Riccardo Terzi – Segretario Nazionale SPI CGIL
La necessità di una discussione a tutto campo: ciascuno dichiari apertamente le proprie scelte e si stringa un confronto concreto non sull’astrattezza dei principi, ma sulle cose da fare, oggi e domani.
Di federalismo e di riforma dello Stato si parla ormai da molti anni, ma non si può dire di essere giunti ad un punto d’approdo chiaro e condiviso.
Dietro un’apparente convergenza, si moltiplicano in realtà i punti controversi ed irrisolti, e il federalismo finisce per essere come un oggetto misterioso, che ciascuno si racconta a modo suo.
Molte di queste difficoltà e contraddizioni dipendono dal fatto che il tema del federalismo è stato imposto nell’agenda politica su iniziativa della Lega Nord, e non è riuscito ancora a schiodarsi da questo suo marchio di origine. Le altre forze politiche si sono avventurate su questo medesimo terreno con molta improvvisazione e tatticismo, senza riuscire a dare il senso di un progetto nazionale coerente, dando così l’impressione di essere sostanzialmente incerte ed oscillanti circa il cammino da intraprendere.
Non basta infatti invocare le ragioni della solidarietà e dell’unità nazionale, perché questo rischia di essere un discorso solo retorico.
Il federalismo continua ad essere la ragion d’essere della Lega, il progetto che risponde alle ragioni e alle domande del Nord, contro il parassitismo della burocrazia statale e contro l’assistenzialismo che copre le inefficienze delle regioni meridionali.
Questa è la rappresentazione corrente, e noi non siamo riusciti a capovolgere questa logica. Eppure, io credo che una profonda riforma dello Stato e dei meccanismi di regolazione tra poteri centrali e poteri decentrati sia assolutamente necessaria, e che dunque il federalismo non sia un’invenzione estemporanea, una forzatura, o un surrogato della secessione nordista, ma il terreno su cui ripensare e rimodellare tutta l’organizzazione dello Stato.
Ma occorre allora dare delle risposte precise a tutta una serie di problemi che appaiono del tutto irrisolti o accantonati.
Proviamo, sommariamente, ad elencarli.
La riforma costituzionale del Parlamento
Un sistema federale non può funzionare se non c’è un organo centrale che sia rappresentativo dei diversi territori, e che sia quindi il luogo della mediazione e del coordinamento tra le diverse politiche regionali. Il modello più convincente continua ad essere, a mio giudizio, quello tedesco, nel quale il Bundesrat, in cui sono rappresentati i governi regionali, garantisce la coesione complessiva dell’ordinamento statale.
Finora tutti i tentativi di riforma del parlamento sono naufragati per l’estrema resistenza dei partiti nazionali e della burocrazia statale, non disponibili a perdere il controllo sull’insieme del processo decisionale. Fino a quando questo nodo non verrà sciolto, con chiarezza e decisione, il federalismo rimarrà solo una parola senza senso compiuto. Il risultato, per ora, è solo quello di un infinito conflitto di competenza tra i diversi livelli istituzionali, proprio perché non si è costruito un sistema coerente, e non è chiara la ripartizione delle responsabilità.
Il rapporto Nord-Sud
Il problema principale dell’Italia è il fortissimo divario territoriale tra Nord e Sud, che riguarda sia gli aspetti economici sia quelli civili. Se il federalismo dovesse avere l’effetto di accentuare ulteriormente questo divario, sarebbe un progetto del tutto insensato.
Per il mezzogiorno, il federalismo ha un senso solo se promuoverà l’autogoverno locale, innestando un processo virtuoso che valorizzi tutte le risorse disponibili e che apra la via ad una nuova stagione di sviluppo. Ma questo problema, che è cruciale per il nostro paese, non è stato affrontato con la dovuta serietà, anche per responsabilità delle classi dirigenti meridionali, che sembrano solo attente a conservare un sistema di protezioni pubbliche, senza scommettere su un progetto di autonomia. In queste condizioni, il federalismo rischia di essere davvero quello che vuole la Lega: un Nord più forte e un Sud lasciato allo sbando.
Federalismo e Riforme
Un’altra importante peculiarità dell’Italia è l’esistenza di una forte e radicata tradizione municipale, che continua ad essere il luogo principale dell’identità collettiva, mentre resta debole il senso di appartenenza regionale.
Il federalismo, in questa concreta condizione, non può essere solo un sistema incentrato sulla dimensione regionale, ma deve essere anche, contestualmente, un rilancio e una valorizzazione dell’intero sistema delle autonomie. Ma, in tutti questi anni, ciò che è concretamente avvenuto è un progressivo logoramento della rete comunale, su cui si sono scaricati i costi del risanamento della finanza pubblica, con una serie di tagli e di limitazioni, fino alla recente abolizione dell’ICI, senza attivare efficaci misure alternative.
Il paradosso della recente storia politica italiana è che l’avvio dichiarato di una riforma federalista coincide con una nuova e più pesante centralizzazione, a scapito dell’autonomia degli Enti Locali. È cambiato il colore politico dei governi nazionali, ma non è cambiata questa linea di marcia.
Su queste basi, non ci potrà essere nessuna effettiva riforma dello Stato, ma solo un centralismo regionale che si somma a quello statale. Lo Stato ha bisogno di un generale decentramento di poteri e di risorse, per dare vita ad una amministrazione più attenta ai diversi contesti locali, più vicina ai cittadini, più capace di interagire, sulla base del principio di sussidiarietà, con le iniziative della società civile.
La ripartizione delle risorse
Non è ancora chiaro quali saranno i meccanismi distributivi del cosiddetto “federalismo fiscale”. Ma dovrebbe essere chiaro il rischio che alla fine ci sia solo un processo cumulativo, per cui alla fiscalità nazionale si aggiunge la fiscalità regionale e locale, con un aumento della pressione complessiva sui contribuenti. Invece che un processo di decentramento, c’è una sorta di federalismo aggiuntivo. Ci sarà, prevedibilmente, un duro conflitto tra le regioni per la suddivisione della torta, mentre resteranno inalterate le inefficienze croniche della nostra macchina burocratica. Un federalismo che nasce così, con una prova di forza tra i diversi soggetti contraenti, non potrà che penalizzare le Regioni più deboli.
I diritti fondamentali
Va ribadito che i diritti fondamentali, sanciti dalla Costituzione, debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. All’autogoverno locale può essere lasciata la scelta degli strumenti, le politiche concrete, le forme organizzative, ma se il federalismo dovesse anche intaccare la sfera dei diritti, saremmo allora fuori dal nostro ordinamento costituzionale. A parole, tutti sembrano essere d’accordo con questo principio.
Ma occorrerà un’attenta vigilanza, perché molte sono le spinte verso una società diseguale.
Busta: 3
Estremi cronologici: 2008, febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Pubblicazione: “Auser informa”, n. 2, 2008, p. 10