DEMOCRAZIA SOFFOCATA DALLA BUROCRAZIA
Intervista di Antonio Galdo (?) a Riccardo Terzi
Terzi, che cosa succede nella CGIL?
«Innanzitutto c’è una crisi più generale, del sindacato, e non soltanto nostra. Poi stentiamo a dare risposte, abbiamo perso autonomia, non siamo all’altezza delle trasformazioni sociali in atto…»
Riccardo Terzi è un personaggio chiave nello scacchiere sindacale. È segretario regionale aggiunto della CGIL lombarda, una dei punti di maggiore forza dell’organizzazione di Antonio Pizzinato, e per sette anni (dal 1975 al 1981) ha guidato la federazione comunista di Milano.
«Guardi, qui siamo a Sesto Marelli, nel cuore della vecchia classe operaia – dice Terzi affacciandosi alla finestra del suo ufficio -. La Pirelli, l’Alfa, la Breda: le grandi fabbriche sono tutte qui. Ebbene, i tempi nei quali con un colpo di fischietto i lavoratori scendevano in piazza sono finiti, sotto i nostri occhi la grande industria si è ridimensionata e il consenso degli operai non è più automatico. Di fronte a questo il sindacato deve cambiare, non può stare fermo come se nulla tosse avvenuto.»
Un dirigente della CGIL di Roma ha scritto recentemente in «Rassegna sindacale» che la CGIL è in mano a «dei sordi contabili». È un’accusa ingiusta?
«Sicuramente nella CGIL c’è troppa burocrazia, il circuito democratico tra dirigenti ed operai è saltato ed anche il rapporto di fiducia è incrinato. Anche il dibattito interno di questi giorni, che riempie le pagine dei giornali, appare come una lotta tra dirigenti, è troppo oscuro, ermetico: la base lo conosce e lo capisce poco».
Eppure per la prima volta nella CGIL c’è uno scontro politico alla luce del sole. A cominciare dalla requisitoria contenuta nel documento di Bertinotti e Lucchesi.
«Sì, Bertinotti e Lucchesi hanno avuto il merito di aprire una discussione molto ampia e franca. Ormai siamo convinti che la CGIL è un sindacato da rifondare e condivido anche il rischio che abbiamo di essere sempre più subalterni, meno autonomi.»
Che cosa invece non condivide?
«Diciamo che l’analisi di Bertinotti e Lucchesi è giusta, manca però una risposta organica, perché certo la CGIL non può pensare di recuperare la sua vitalità con il rilancio della contrattazione decentrata. Mi sembra troppo poco.»
E allora?
«Allora dobbiamo allargare a fondo questa discussione interna, dirci tutto con grande chiarezza, far capire alla gente di che cosa stiamo parlando e poi arrivare ad una sintesi, a delle conclusioni operative.»
Lettieri, ad esempio, propone di sciogliere le componenti interne.
«Da tempo sosteniamo questa linea di superamento delle correnti, perché una CGIL troppo legata al PCI e al PSI rischia di non parlare ad un pezzo importante dei lavoratori. Dobbiamo andare oltre questa logica; ricordiamoci, però, che nel sindacato, come nei partiti, le correnti non si sciolgono per decreto.»
Non le sembra che, intanto, nella CGIL si scarica la crisi del PCI?
«Non credo, così come vorrei dire con chiarezza che qui lo scontro non è tra miglioristi e movimentisti. C’è qualcosa di più profondo che riguarda il nostro ruolo e la nostra strategia. Certo, la crisi della CGIL e quella del PCI hanno un elemento in comune: lo sfaldamento di alcuni punti di riferimento storici.»
A che cosa si riferisce?
«Ho già detto della crisi delle grandi fabbriche. Ma pensiamo anche al cambiamento dei rapporti di potere a vantaggio delle grandi concentrazioni industriali e finanziarie, alla crisi delle autonomie locali dove la sinistra aveva una grande forza, alla liquidazione della programmazione economica, alla messa in discussione dello Stato sociale. Ecco, dove i problemi del PCI sono quelli della CGIL e di tutta la sinistra.»
Ma dai socialisti alcune risposte sono arrivate.
«Sì, pero sono risposte che non convincono e questo complica terribilmente i rapporti a sinistra. Quando si celebra il decisionismo di Craxi, dobbiamo anche chiederci a chi ha giovato il suo modo di governare: certo non ha contrastato uno sviluppo tutto fondato sul mercato e non ha riportato i cambiamenti in un quadro di equità sociale.»
Torniamo ai problemi della CGIL. Anche Occhetto vi accusa di scarsa democrazia interna.
«È un richiamo giusto, come l’esigenza di recuperare rapporti unitari con la CISL e la UIL.»
Qualcuno ha interpretata questa presa di posizione come una liquidazione, da parte del PCI, di Pizzinato.
«È un’esagerazione. I nostri vertici li decidiamo noi, il partito non ci mette le mani.»
Senta, Terzi: ma in questa situazione non le sembra giusto arrivare ad un congresso straordinario?
«Abbiamo bisogno di una discussione congressuale. Sul tappeto ci sono questioni di fondo: la nostra rifondazione, la perdita di peso e di consenso, l’eccessiva burocratizzazione, il rilancio della democrazia interna, il recupero dell’unità sindacale attraverso la forza di un programma. Su tutto questo dobbiamo prendere delle decisioni: se poi lo facciamo con un congresso straordinario o con una conferenza di programma e di organizzazione conta poco. L’importante è farlo comunque.»
È in discussione anche la guida di Pizzinato?
«È inutile nascondere che nella CGIL molti avvertono un grave disagio con interrogativi sulla nostra politica e sul gruppo dirigente. Guai però se si andasse ad un referendum su Pizzinato.»
E allora?
«La rifondazione passa per un nuovo gruppo dirigente: prima però abbiamo bisogno di un chiarimento politico e strategico e poi dovremo affrontare la questione degli uomini. Sicuramente l’attuale gruppo dirigente della CGIL è in difficoltà, non ha la forza necessaria e non riesce a dare una sintesi dei nostri problemi: basta vedere anche l’andamento del dibattito interno. E allora nella rifondazione dobbiamo pensare al gruppo dirigente degli Anni Novanta.»
Che cosa pensa di un segretario generale non comunista?
«In linea di principio non ho obiezioni. Di fatto non mi pare pensabile che la parte più consistente del mondo del lavoro non abbia la responsabilità più rilevante nella guida del sindacato.»
Divisi sui contratti, sui dirigenti, sulle strategie: che cosa resta dell’unità sindacale?
«Non siamo all’ultima spiaggia, ma certo con la spaccatura sul contratto Fiat le ci siamo avvicinati. La Fiat è il primo gruppo industriale italiano e una spaccatura su questo terreno significa due cose. Innanzitutto che i rapporti con la CISL e la CGIL sono entrati in una fase nuova, e poi che il padronato ormai lavora per spaccarci.»
Quali responsabilità di questa rottura rimprovero alla CISL e alla UIL?
«La CISL è molto condizionata dalla presenza di un governo democristiano. Senza polemica dico che Marini non è Carniti: non arrivo a definirlo un portavoce di Piazza del Gesù, ma certo le posizioni della CISL hanno scarsa autonomia. Inoltre la CISL ha ridotto, quasi fino alla liquidazione, le strutture sindacali di base, quelle dove più si lavora per l’unità, puntando ad un’organizzazione molto centralizzata. Quanto alla UIL sta diventando sempre più, per sua stessa definizione, un sindacato d’opinione e questo porta l’organizzazione di Benvenuto a posizioni spesso molto oscillanti.»
Terzi, un’ultima domanda: che cosa rischia oggi la CGIL?
«Ragionando per estrema sintesi, direi che siamo ad un bivio. O riusciamo ad impostare la nostra rifondazione, oppure rischiamo di diventare un sindacato “residuale”, che conta sempre meno e non è in grado di incidere sul cambiamento. Un sindacato debole e vecchio, insomma, e molti purtroppo lavorano proprio per questo.»
Busta: 2
Estremi cronologici: 1988, 25 ottobre
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Il mattino”, 25 ottobre 1988