QUALE FUTURO PER LA CGIL
Intervista di Domenico Codispoti a Riccardo Terzi
Il giudizio sulla situazione del Sindacato in generale e della CGIL in particolare. Le scelte Congressuali. Le mozioni politiche contrapposte. Il peggioramento della situazione economica. I nuovi processi di ristrutturazione. Gli obiettivi del Sindacato nel maxi negoziato di giugno Intervista al segretario generale della CGIL Lombarda, Riccardo Terzi
Quale giudizio dai sulla situazione del sindacato in generale e della CGIL in particolare?
«Il movimento sindacale ha attraversato una fase di grande difficoltà, caratterizzata dai processi di ristrutturazione dell’apparato industriale, dall’affermazione di nuovi poteri di tipo oligarchico e da una generale tendenza, nell’economia e nella politica, ad esaltare il ruolo del mercato e a mettere in crisi i principi di solidarietà. È un fenomeno non solo italiano, ma europeo e mondiale.
In una tale situazione, il sindacato è stato costretto sulla difensiva, e ha dovuto subire anche un certo arretramento, e in questo contesto si sono manifestali anche elementi di crisi nel rapporto di fiducia tra sindacato e lavoratori.
La CGIL ha visto, più delle altre organizzazioni, questa situazione di crisi, e ha cercato di individuare le linee di un rinnovamento. Di questo infatti si tratta oggi: di elaborare una politica sindacale che sia all’altezza della situazione mutata, che ci metta in grado di misurarci con il nuovo scenario mondiale, con le grandi tendenze della vita economica.
Stare sulla difensiva non è più sufficiente. Credo che il movimento sindacale italiano possa avere la forza necessaria per non restare travolto dai processi di trasformazione in atto, e per impostare su nuove basi una propria iniziativa efficace.
Ci sono quindi due atteggiamenti, tra loro opposti, entrambi da evitare: quello “rassicurante” che nega l’esistenza di qualsiasi crisi, che si autocompiace della grande forza organizzata di cui il sindacato tuttora dispone, e che pertanto non riesce a vedere la necessità di un cambiamento, e quello “distruttivo” che analizza la situazione come situazione di sconfitta, di fallimento, alimentando così sfiducia e protesta cieca. Si tratta di giudizi sbagliati, che non aiutano a capire, e che ci bloccano in una polemica interna che non porta da nessuna parte.»
Il Congresso della CGIL è alla porte, quali sono a tuo avviso le cose più importanti che dovranno essere decise?
«Mi pare anzitutto necessario fare un’analisi corretta della situazione, delle tendenze in atto, capire il senso dei processi: l’internazionalizzazione dell’economia, l’innovazione tecnologica, le nuove caratteristiche del lavoro. È solo sulla base di un’analisi di questo tipo che possiamo individuare gli strumenti, gli obiettivi, le politiche rivendicative. Di grande ed essenziale rilevanza è sicuramente il tema dell’Europa, perché è questa la dimensione necessaria in cui si deve collocare anche l’azione del sindacato. Occorre dunque costruire un sindacato europeo, superando i limiti delle esperienze che si sono sin qui fatte. Inoltre dall’analisi dei nuovi processi che hanno investito le imprese, sia dell’industria che del terziario, emerge la necessità di un’azione contrattuale di tipo nuovo, legata alla concretezza delle diverse situazioni di lavoro, ai bisogni differenziati del lavoratori, capace di cogliere le nuove opportunità e le contraddizioni che si aprono nella vita delle imprese. Da un modello contrattuale rigido e centralizzato dobbiamo passare ad un modello flessibile ed articolato. Davanti al Congresso della GGIL sta dunque un arco di questioni molto ampio e complesso. Dovremo discutere a fondo, con serietà, senza semplificazioni propagandistiche. Perché questa discussione possa essere produttiva di risultati sono preliminari due scelte politiche, che vorrei mettere in evidenza.
La prima è la ricostruzione di un rapporto democratico trasparente tra il sindacato e i lavoratori. Se non c’è il coinvolgimento attivo dei lavoratori, se la discussione resta chiusa negli apparati e nei gruppi dirigenti viene meno la condizione essenziale, la capacità di costruire un’azione sindacale che parte dalle condizioni di lavoro, dal nuovi bisogni di qualità del lavoro e che indica obiettivi concreti di umanizzazione e di valorizzazione del lavoro. Senza una rete democratica nei luoghi di lavoro, una tale linea è irrealizzabile. Di qui l’importanza che assume il rinnovamento delle strutture di rappresentanza, con nuovi criteri democratici attuando l’accordo sulle RSU.
La seconda condizione è il rilancio dell’unità sindacale cominciando da subito a verificare quali possono essere passi concreti ed impegnativi in questa direzione.
Un sindacato diviso non ha la forze di affrontare i problemi nuovi e complessi di questa fase. Se ciascuno sta rinchiuso nella propria logica di bottega, rischiamo di restare attardati intorno a vecchie divisioni ormai superate, e di non vedere i compiti nuovi del movimento sindacale. Il prossimo congresso della CGIL dovrà, a mio giudizio, fare con chiarezza e con estrema decisione una scelta per l’unità, superando definitivamente vecchi settarismi e vecchie logiche di conservazione burocratica.»
Come giudichi la proposta di Bertinotti, di discutere su diverso mozioni politiche?
«La mozione presentata da Bertinotti e da altri compagni mi sembra che si muova in una linea del tutto diversa da quella che qui ho cercato di prospettare. Prevale una polemica retrospettiva sugli errori del sindacato, sulla sua presunta subalternità, con un giudizio molto sommario e propagandistico. Prevale la ricerca della differenziazione della polemica e non invece, come sarebbe necessario, uno sforzo costruttivo e unitario. L’iniziativa della mozione introduce una divisione per molli aspetti artificiosa e rischia di caratterizzare il Congresso come un Congresso di scontro, di contrapposizione, di resa del conti nei gruppi dirigenti.
Non è in discussione naturalmente la legittimità della presentazione di un documento alternativo. Ma dovremmo tutti impegnarci per impedire possibili degenerazioni. D’altra parte il Congresso è solo iniziato, e non si deve ridurre a un pronunciamento di tipo referendario. Dobbiamo discutere e approfondire seriamente tutti i problemi. Partiamo dal documenti nazionali, ma c’è ancora un grande lavoro da fare. Dichiarare pregiudizialmente che si sta all’opposizione non mi pare un atteggiamento utile. Valuteremo alla fine le conclusioni del Congresso e in ogni caso quelle conclusioni saranno impegnative per tutta l’organizzazione.»
La situazione economica dal paese è orientale verso uno scenario di recessione, il Governo propone una manovra aggiuntiva per riaggiustare i conti dello Stato, ciò comporterà nuove tasse a danno dei lavoratori. La Confindustria ha già dichiarato di non condividere l’aumento della pressione fiscale, proponendo di tagliare le spese, il sindacate cosa propone?
«La politica economica che è stata sin qui seguita dal governi sta portando l’Italia in una situazione di crescente debolezza e precarietà: cresce il debito pubblico, si accentua l’inefficienza dei servizi e della pubblica amministrazione, si fa drammatica la situazione di degrado e di illegalità nel Mezzogiorno, e manca una guida politica, una strategia, un’azione coerente per orientare il nostro sviluppo verso fini di progresso, socialmente condivisi. Una tale politica penalizza i lavoratori e penalizza anche il tessuto delle imprese produttive, favorendo solo il clientelismo parassitario, la ricchezza improduttiva e l’evasione fiscale.
Per realizzare una svolta rispetto a questo stato di cose occorre una nuova e severa politica fiscale, improntata a criteri di giustizia, e occorre mettere mano con grande decisione a una riforma della pubblica amministrazione per garantire livelli sufficienti di efficienza.
In questo senso va la nostra proposta di una riforma del rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Occorre più in generale affrontare il problema delle riforme istituzionali, finora solo agitato o usato come terreno di polemica tra i partiti politici, senza riuscire ad assumere nessuna decisione seria e concreta.
La Confindustria ha affrontato finora questi problemi in un’ottica di parte, con una vecchia mentalità padronale, agitando come sempre il problema del costo del lavoro, e chiedendo allo Stato condizioni di favore e privilegi.
È una strada non accettabile. L’Italia non esce dalla sua debolezza attraverso un’ulteriore compressione delle condizioni dei lavoratori dipendenti, con una politica di sacrifici “a senso unico”. Occorre invece una vasta azione riformatrice: fisco, servizi pubblici, mezzogiorno sono i grandi capitoli in cui si deve articolare una politica di riforme.»
Siamo alla vigilia di nuovi processi di ristrutturazione che investiranno ancora principalmente l’industria, le vecchie regole non bastano più per affrontarli con successo, che cosa si può proporre?
«Per le imprese le esigenze fondamentali sono oggi quelle della qualità e della flessibilità rispetto alle esigenze del mercato. I processi di innovazione diventano così un elemento permanente, perché non è mai raggiunto un equilibrio definitivo, e occorre un continuo adattamento. Il quadro oggi è quindi diverso rispetto a quella che è stata la prima ondata delle grandi ristrutturazioni industriali.
Ora il problema è quello di definire nuove regole e nuove relazioni industriali che consentano di affrontare il processo di innovazione nelle condizioni più favorevoli sia per le imprese che per i lavoratori.
L’innovazione d’altra parte richiede, a differenza del passato, condizioni nuove di consenso, di partecipazione attiva, di autonomia nel lavoro, richiede quindi la rottura del vecchio modello autoritario e gerarchico.
Per questo è ora all’ordine del giorno il problema di una riforma democratica dell’impresa. Si tratta allora di definire gli strumenti e le regole perché si realizzi la partecipazione dei lavoratori alle decisioni, perché ci sia un confronto permanente sulle scelte, un accesso alle informazioni, un processo continuo di formazione e di crescita professionale.
Se si affronta in questo modo il problema delle relazioni industriali, il conflitto sociale può assumere un nuovo carattere, perché è incanalabile dentro un sistema di regole in cui il conflitto si può combinare con forme di cooperazione e di intesa tra le parti.»
A giugno si svolgerà un maxi negoziato con il Governo e gli imprenditori, quali sono gli obiettivi che intende raggiungere il sindacato?
«Bisognerà anzitutto concludere la stagione contrattuale e bisogna ora avviare la costruzione di una piattaforma unitaria da discutere con i lavoratori. Non entro quindi nel merito delle varie opzioni possibili, trattandosi di una discussione ancora aperta. Ciò che è essenziale è arrivare all’appuntamento con una nostra proposta complessiva che affronti sia il problema della struttura contrattuale sia quello della riforma del salario, evitando di dover giocare solo di rimessa, lasciando troppa libertà di manovra alle controparti.
Insomma, non si deve ripetere la scena che abbiamo visto in altre occasioni, per cui alla fine si discute solo di scala mobile e di costo del lavoro, e resta solo la possibilità di limitare i danni, di tamponare un’offensiva contro i lavoratori.
La trattativa ha un senso se si svolge su un terreno diverso e se affronta contestualmente tutta una serie di problemi: la struttura contrattuale, il costo del lavoro e la struttura del salario, il fisco e la contribuzione sociale.
Per la CGIL l’obiettivo principale è la definizione di un disegno di riforma degli assetti contrattuali tale da realizzare uno spostamento significativo a vantaggio della contrattazione articolata, affrontando seriamente in questo contesto anche tutto il problema delle piccole e medie imprese.
Per quanto riguarda il costo del lavoro, occorre intervenire soprattutto sui contributi sociali, mentre per la scala mobile è possibile discutere di un suo diverso funzionamento, ma è comunque necessario mantenere un istituto automatico di protezione dall’inflazione, con un grado di copertura non inferiore a quello attuale.
Su tutti questi aspetti le nostre scelte dovranno essere rese esplicite, e dovrà essere chiarito il mandato da parte dei lavoratori, con una consultazione e con la convocazione di un’Assemblea nazionale dei delegati.»
Busta: 2
Estremi cronologici: 1991, giugno
Autore: Domenico Codispoti
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Il lavoratore edile”, n. 3, giugno 1991