[SCIOPERO NAZIONALE SUL FISCO]

Relazione di Riccardo Terzi decontestualizzata

1) La decisione dello sciopero nazionale sul fisco per il 21 novembre è indubbiamente il fatto di maggior rilievo nell’attuale momento politico e sindacale.

La nostra valutazione non può che essere positiva: perché prende corpo la priorità della questione fiscale come condizione pregiudiziale per ogni operazione successiva di riforma del salario, perché il sindacato si inserisce nel vivo di uno scontro politico che è aperto nel Parlamento e nel paese, e riprende così la propria iniziativa dopo un periodo segnato da incertezze e da divisioni, e infine perché si compie un passo assai importante in direzione della dell’iniziativa unitaria.

Il nostro impegno, quindi, deve essere pieno e incondizionato: la giornata del 21 novembre deve essere un successo dell’iniziativa sindacale.

Dobbiamo curare con attenzione scrupolosa l’informazione l’azione di propaganda, la partecipazione alle manifestazioni, senza tra scurare nessuno degli aspetti organizzativi e senza lasciare le cose alla spontaneità.

La battaglia per la riforma fiscale ha una sua autonomia, una sua specificità e per questo è una scelta giusta quella di indire uno sciopero con una chiara e precisa finalizzazione, evitando così piattaforme generiche e omnicomprensive, in cui c’è tutto, ma in modo confuso e indistinto. Per questo abbiamo escluso di caricare sulla scadenza del 21 novembre anche gli obiettivi per l’occupazione, i quali richiedono un proprio distinto itinerario di iniziativa e di lotta.

Circa i contenuti dello sciopero del 21 possiamo distinguere tre aspetti. In primo luogo vi sono le rivendicazioni di riforma fiscale che riguardano il lavoro dipendente, in particolare la revisione delle aliquote dell’IRPEF, e l’eliminazione del drenaggio fiscale. Questo aspetto deve stare al primo posto, perché si tratta qui di obiettivi che interessano direttamente il mondo del lavoro e che hanno perciò un immediato significato sindacale. Valgono per noi, come CGIL, le proposte contenute nel documento di luglio, mentre, a livello unitario, c’è ancora una certa indeterminazione. (Non c’è, nei documenti unitari, un’affermazione netta sul superamento “strutturale” del fiscal drag).

C’è ancora, quindi, uno sforzo di precisazione da fare, ma è comunque importante che, su questo tema, si passi dalle dichiarazioni alla lotta.

In secondo luogo, il sindacato si impegna per un appoggio ai principi contributivi della Legge Visentini (lotta all’evasione – accertamenti induttivi). Questo è solo un aspetto della politica fiscale, ma a nessuno può sfuggire che si è aperto uno scontro sociale e politico di grandi proporzioni, che c’è un violentissimo attaccò di destra, e che quindi il sindacato deve avere una posizione netta, senza oscillazioni, per impedire che prevalgano le tendenze all’affossamento o allo stravolgimento.

Dobbiamo evitare uno scontro sociale con le categorie del lavoro autonomo: ma questa preoccupazione non può indebolire o offuscare una nostra linea di coerenza e di rigore. È alla prova per la prima volta, dopo tante teorizzazioni fumose, la politica dei redditi, e quindi l’esistenza o meno di una volontà politica per un controllo della dinamica complessiva dei redditi dei diversi gruppi sociali. Se passano i ricatti corporativi, è la nostra linea generale di politica economica che subisce un colpo mortale.

Il terzo aspetto riguarda la richiesta di ulteriori interventi fiscali, sui titoli di Stato, e sui patrimoni.

Non è una fuga in avanti, ma una richiesta che ha un valore immediato: è infatti possibile da subito la tassazione sui Bot per le società, e possono essere prese misure preparatorie in vista dell’imposta patrimoniale.

Queste misure sono il necessario completamento della manovra fiscale, che altrimenti diviene unilaterale, rivolta in modo esclusivo verso le categorie dei commercianti e artigiani.

 

2) Dopo la decisione nazionale sul fisco, si è posta per noi la necessita di riesaminare orientamenti a cui eravamo pervenuti in modo unitario, sul tema dell’occupazione, con l’indicazione di uno sciopero per il 28 novembre.

Ho già detto dell’inopportunità di mettere insieme, in un’unica piattaforma fisco e occupazione.

Quindi, come è detto nel comunicato unitario delle segreterie regionali la decisione è solo quella di un rinvio temporaneo, ferma restando l’esigenza politica di una mobilitazione regionale per l’occupazione e per lo sviluppo.

Dovremo decidere, in accordo con le strutture di categoria e territoriali, i tempi, le modali e i contenuti della nostra iniziativa. A questo fine, si può ipotizzare una riunione unitaria di tutte le strutture interessate, che potrebbe svolgersi ai primi di dicembre.

Intanto, deve continuare il programma di lavoro già annunciato: gli incontri con le istituzioni locali, con i parlamentari lombardi, e inoltre con le associazioni imprenditoriali, per affrontare le situazioni più urgenti, a partire dalla questione dei licenziamenti collettivi (Magneti Marelli, SNIA).

 

Sulle scadenze successive, vanno anzitutto confermate tutte le argomentazioni politiche che ci avevano portato all’ipotesi di uno sciopero regionale. C’è un aggravamento della situazione occupazionale, e c’è inoltre una linea di attacco e di sfida al sindacato da parte dei gruppi dirigenti capitalistici, che ha la sua punta più avanzata nel gruppo FIAT.

A ciò occorre rispondere con decisione e con tempestività. La linea padronale dei licenziamenti, del blocco della contrattazione aziendale, del nuovo attacco all’istituto della scala mobile con la decisione di non pagare i decimali, in sostanza la linea che punta a liquidare il potere di contrattazione del sindacato, deve essere affrontata con grande determinazione, senza sottovalutare la posta che è in gioco e l’asprezza del conflitto di classe.

Nello stesso tempo si richiede da parte nostra, proprio per vincere questo scontro, una capacità più alta di elaborazione e di proposta. Si richiede un movimento che non si esaurisca nella protesta e nella denuncia, ma sappia mettere in campo un complesso di rivendicazioni concrete verso il padronato, e verso le istituzioni pubbliche (Governo, Regione).

Possono, a questo punto, essere prese in considerazione diverse ipotesi.

Può essere deciso uno spostamento dello sciopero regionale già programmato per una data intorno alla metà di dicembre.

È questa l’ipotesi che va in primo luogo valutata, in quanto ci consentirebbe la risposta più efficace, e in tempi ravvicinati.

Occorre valutare la praticabilità di questa proposta, soprattutto per quelle realtà territoriali, come Milano, che già hanno alle spalle iniziative di lotta impegnative (lo sciopero del 30 ottobre, e altre iniziative settoriali).

In subordine, si può costruire una linea di maggiore articolazione: scioperi di comprensorio scaglionati nel tempo sulla base di una comune piattaforma di carattere regionale, oppure una prospettiva di sciopero regionale da fissare in una fase successiva (ad esempio a gennaio) e che può essere preparata con alcune iniziative territoriali o di categoria.

Pongo il problema in modo aperto, ma sarebbe bene definire già oggi un nostro orientamento di massima, da confrontare successivamente con CISL e UIL.

 

3) Il problema dell’occupazione va considerato a tutti gli effetti come la questione prioritaria per il movimento sindacale. E da questo giudizio debbono discendere comportamenti coerenti.

In Lombardia, pur avendo una situazione economica con alcuni elementi di dinamismo, il dato più saliente è l’ampiezza dei processi di ristrutturazione in tutti i principali settori dell’industria, e quindi l’acutizzazione di una crisi sociale dovuta ad una crescente estromissione di forza-lavoro da tutti i grandi gruppi industriali.

Si tratta di processi di segno diverso: in alcuni casi di vere e proprie crisi, e quindi di un declino dell’apparato industriale, di un restringimento delle basi produttive; in altri casi di ristrutturazioni che hanno una loro validità sotto il profilo delle scelte di politica industriale, e che pur tuttavia determinano anch’esse effetti sociali non facilmente governabili.

Nell’insieme, pur richiamando questa complessità della situazione, ed evitando quindi una rappresentazione di tipo catastrofico, il giudizio non può non essere di forte preoccupazione, non solo per gli effetti sociali che più direttamente si scaricano sul lavoro del sindacato, ma per la tenuta complessiva dell’apparato industriale lombardo, per le sue prospettive, per i rischi di un processo di progressiva deindustrializzazione che muterebbe nel profondo il ruolo e la collocazione della Lombardia nell’economia nazionale.

La nostra risposta deve avvenire anzitutto sul terreno della politica industriale. Rifiutiamo un ruolo della Lombardia come centro di intermediazione finanziaria, come sede di un’attività terziaria che perda il collegamento con le attività produttive.

E rifiutiamo perciò una logica che, nel nome del necessario riequilibrio fra le diverse regioni del paese, conduca ad un generale smantellamento del nostro apparato industriale, nella convinzione, ormai chiaramente illusoria, che possono funzionare in Lombardia meccanismi spontanei di compensazione e di adattamento.

Per questo, alcune vertenze aperte sono emblematiche, e di grande portata politica.

La difesa della Pirelli-Bicocca e dell’Alfa di Arese – per citare solo i due casi più rilevanti – non è un omaggio anacronistico alle tradizioni del movimento operaio lombardo ma è una scelta politica motivata e del tutto attuale.

Già in molti settori la Lombardia è stata penalizzata. Si tratta ora di costruire in modo più efficace una nostra difesa, senza spirito di campanilismo, ma senza rassegnazione.

Date le caratteristiche della nostra regione, in cui vi è una presenza decisiva dell’industria pubblica in tutti i diversi settori, la definizione degli indirizzi di politica industriale richiede in primo luogo una sede di confronto che impegni il sistema delle PP.SS.

Può essere importante, a questo fine, una conclusione positiva del negoziato con l’IRI e l’avvio, quindi, di nuove procedure e di nuovi strumenti di consultazione che riconoscano a tutti gli effetti, il ruolo di contrattazione del sindacato su tutte le scelte (produttive, organizzative, tecnologiche) delle aziende pubbliche.

Se va in porto positivamente la definizione del protocollo con l’IRI, noi chiediamo che la Lombardia sia interessata alla sperimentazione dei nuovi strumenti sia a livello territoriale, sia in alcuni settori, e ciò proprio per il fatto che abbiamo in Lombardia una presenza pubblica intersettoriale più ricca e più complessa che in altre regioni.

Occorre inoltre considerare e analizzare i processi crescenti di internazionalizzazione e i loro effetti sulla struttura produttiva. E occorre ridefinire le politiche di settore (chimica, elettromeccanica ecc.) programmando in tempi brevi specifiche riunioni di verifica.

Per quanto riguarda il problema degli strumenti con cui affrontare le eccedenze di forza lavoro, possiamo distinguere due vie fondamentali.

In primo luogo, ci sono gli interventi sul sistema degli orari e sull’organizzazione aziendale, la ricerca, quindi, di soluzioni possibili all’interno dell’impresa: riduzioni di orario, flessibilità, part-time, contratti di solidarietà, ecc.

In secondo luogo vanno considerati gli interventi per la mobilità del lavoro. Questo aspetto è stato finora sottovalutato, e in alcuni casi apertamente rifiutato. Ma senza una politica della mobilità, la situazione è senza sbocco. Occorre dunque esaminare quali strumenti devono essere attivati per il governo del mercato del lavoro, per la formazione e riqualificazione dei lavoratori, quali possibilità vi sono di spostamento dall’industria al terziario e di accesso alla Pubblica Amministrazione.

La linea che proponiamo si basa quindi sull’utilizzo di una pluralità di strumenti, nessuno dei quali può essere di per sé risolutivo.

Ed è una linea che tende a limitare gli interventi di tipo assistenziale: uso massiccio e indiscriminato della CIG, o ricorso generalizzato ai prepensionamenti.

È aperta nel sindacato una discussione sul prepensionamento a 50 anni.

Occorre approfondire la questione, senza escludere in via di principio l’utilizzo di questo strumento, ed esaminando anche le diverse possibilità che già oggi esistono in materia di pensionamento anticipato.

Va respinta però, con nettezza, una linea che significhi la rinuncia a tutti gli altri strumenti, la loro dichiarazione di fallimento, e la scelta, quindi, del prepensionamento come strumento privilegiato.

Una tale linea ci collocherebbe in una posizione subalterna e di rinuncia. Alcune soluzioni possono invece essere trovate per incentivare il ricorso al part-time per i lavoratori oltre i 50 anni, con l’impegno contestuale per l’assunzione di giovani, ed occorre inoltre vincolare gli incentivi alle imprese e le stesse misure di fiscalizzazione all’attuazione di impegni per l’occupazione, e all’utilizzo degli strumenti contrattuali e legislativi esistenti.

In sostanza, le misure assistenziali (come il prepensionamento) possono essere utilizzate solo in via ultimativa, dopo aver effettivamente esperito tutte le altre possibilità.

Con questo criterio dobbiamo affrontare le situazioni oggi aperte, nelle quali c’è la minaccia del ricorso ai licenziamento.

È questo un dato nuovo, che si spiega solo nel quadro di una manovra politica, di una sfida al sindacato, il quale ha sempre dimostrato la propria concreta disponibilità a ricercare le soluzioni possibili per far fronte alle eccedenze di forza lavoro.

L’attacco riguarda anzitutto la Magneti Marelli e la SNIA. I tempi sono ormai strettissimi, ed è nei prossimi giorni che dobbiamo trovare soluzioni e tentare un accordo.

Su quali basi? Su questo vogliamo discutere, con urgenza, con le strutture che sono impegnate nelle trattative.

Occorre da un lato respingere i ricatti, non accettare, pur di evitare i licenziamenti, qualsiasi soluzione. E d’altra parte, occorre anche una valutazione realistica, e non restare inchiodati a pregiudiziali di principio.

Così, se rifiutiamo il puro e semplice passaggio dai licenziamenti alla CIG a zero ore, non possiamo escludere in assoluto un ricorso parziale alla CIG a zero ore, a condizione che contestualmente siano utilizzati anche altri strumenti. Siamo comunque alla stretta, e dobbiamo decidere in modo preciso la nostra tattica e individuare gli spazi per una possibile soluzione.

Nessuno si può illudere che si tratti di una battaglia facile, proprio perché siamo in presenza di un disegno politico, che travalica quindi i dati oggettivi, le difficoltà concrete delle singole aziende.

E, per questo, occorre un’iniziativa più vasta del sindacato, che non sia tutta rinchiusa nelle realtà aziendali, occorre una pressione politica e una sensibilizzazione delle istituzioni e della opinione pubblica. Una nostra sconfitta potrebbe essere il segnale per l’insieme del fronte padronale per un attacco più massiccio e generalizzato.

 

Anche per questo, deve andare avanti la nostra mobilitazione generale sul fronte dell’occupazione, e la definizione di un a piattaforma che ponga a tutte le controparti (padronato, governo, Regione,) delle richieste precise.

Nei confronti del Governo, il movimento sindacale ha puntualizzato, con la lettera rivolta al Presidente del Consiglio, le proprie richieste in materia di mercato del lavoro e di politica industriale.

Per quanto ci compete, dobbiamo precisare i nostri obiettivi nel rapporto con l’istituzione regionale. La seconda relazione tratterà più diffusamente di questo tema.

Mi limito a due rapide considerazioni.

Va anzitutto sottolineata la necessità che la Regione svolga un ruolo politico attivo su tutte le grandi questioni aperte, in rapporto con il governo nazionale e con i grandi gruppi industriali. Questo impegno politico è oggi carente, e anzi sembra prevalere l’idea che l’avvenire della Lombardia sia tutto affidato alla diffusione del terziario e della piccola impresa, eludendo così i nodi oggi cruciali della crisi dei grandi gruppi industriali.

Inoltre c’è la necessità di attivare tutti gli strumenti nel campo del mercato del lavoro, della formazione, del sostegno all’innovazione e alla piccola impresa, della promozione di attività alternative, e vi deve essere il necessario impegno della Regione per il potenziamento delle infrastrutture e per la mobilitazione degli investimenti, pubblici e privati.

 

4) Nell’Attivo regionale unitario, del 31/10/84, abbiamo tentato di trovare un intreccio e un collegamento tra il tema dell’occupazione e quello della contrattazione articolata.

È su questa linea che dobbiamo lavorare, evitando quindi che la contrattazione aziendale si svolga lungo un binario separato, senza definire priorità e obiettivi che stiano in rapporto con le esigenze più generali e complessive del mondo del lavoro.

Con l’attivo regionale, non solo c’è stato un’importante ripresa del confronto unitario, ma abbiamo compiuto alcune scelte politiche di fondo.

Vi è anzitutto la scelta di costruire una fase diffusa di contrattazione aziendale, come leva fondamentale per affrontare i problemi del cambiamento che è in atto nel sistema della impresa (innovazione, ristrutturazione, nuove professionalità, cambiamenti nelle condizioni di lavoro, ecc.)

Questa scelta implica la necessità, per il sindacato, di ripartire dalle situazioni concrete, da una presa di contatto diretto con i problemi della condizione lavorativa, in tutti i suoi aspetti, e la necessità, quindi, di riattivare le strutture di base del sindacato.

Questa fase di contrattazione è già stata avviata in numerosi settori, e già possiamo fare un primo bilancio.

I risultati sono molto differenziati, e in generale non c’è stata una sufficiente capacità di direzione. Sono risultati che, comunque, dimostrano la possibilità di soluzioni innovative, pur in un quadro in cui vi sono resistenze della controparte e anche una forza d’inerzia tra i lavoratori e nel sindacato.

Dobbiamo meglio conoscere e valorizzare alcune esperienze positive, come ad esempio gli accordi (nel settore tessile soprattutto) per la riduzione di orario in rapporto a una diversa utilizzazione degli impianti.

La riduzione dell’orario è lo strumento essenziale per un collegamento tra contrattazione e occupazione.

Non è una concessione alle posizioni CISL: perché mai dovremmo considerare il problema dell’orario come estraneo alla nostra politica? Dobbiamo anzi recuperare i ritardi e le incertezze che abbiamo avute. D’altra parte, il tema dell’orario va assunto dentro una linea di forte articolazione, in rapporto alla specificità delle singole imprese, dei settori, ecc.

Vi è poi la necessità di conquistare nuove forme di controllo e di contrattazione dei processi innovativi e di ristrutturazione.

In questo campo, la tendenza generale va in una direzione del tutto negativa: verso la liquidazione del potere contrattuale del sindacato, verso un deterioramento delle relazioni industriali.

Una controtendenza, che può avere effetti politici di grande rilievo, può essere data dall’accordo con l’IRI, che può significare il riconoscimento del ruolo del sindacato come interlocutore su tutte le questioni che riguardano la vita dell’impresa, e la definizione di procedure per la consultazione preventiva sui processi di innovazione e di riorganizzazione.

Per quanto riguarda gli aspetti della politica salariale, ci sembra necessario un approfondimento. Fermo restando che l’asse portante della contrattazione non può essere in questa fase il salario, perché ciò entrerebbe obiettivamente in contraddizione con la priorità che assegniamo all’occupazione: tuttavia occorre un intervento dinamico sul salario in rapporto alla produttività e alla professionalità, alle condizioni di lavoro, al controllo dei salari di fatto, evitando quindi una linea che si riduca semplicemente all’adozione di criteri di moderazione salariale.

Pesano, d’altra parte, su questo tema, le incertezze e le divisioni presenti a livello nazionale a proposito della struttura del salario della scala mobile, ecc. Con CISL e UIL, abbiamo concordato un ulteriore itinerario di lavoro che prevede: a) un’azione generale di coordinamento della contrattazione articolata, in rapporto con le categorie; b) approfondimenti specifici a partire dalla politica degli orari, e dall’inquadramento; c) iniziative per il settore del pubblico impiego.

 

5) Per valutare le scadenze e gli sbocchi della nostra iniziativa, occorre una valutazione sullo stato dei rapporti unitari.

Mi pare indubbia la presenza di alcune tendenze positive.

Il lavoro unitario è stato riattivato sui temi decisivi: contrattazione, occupazione, fisco, anche se permangono difficoltà di ordine generale, e singole situazioni di rottura.

Occorre aver chiaro, sul tema dell’unità sindacale e delle sue prospettive, una nostra opzione politica.

C’è ancora un’area di resistenza, di sfiducia, di diffidenza pregiudiziale. Ci sono tentazioni integralistiche che vanno apertamente combattute.

Occorre che la CGIL, nel suo insieme, sia impegnata attivamente e con slancio per una ripresa del processo unitario, per un suo rilancio, Certo, su basi nuove, sapendo che non è possibile tornare semplicemente al passato, che l’unità non esclude differenziazioni, tensioni, lotta politica, e che soprattutto si pone il problema delle regole di funzionamento del sindacato della sua democrazia interna, del con i lavoratori. Non è sostenibile una situazione in cui o c’è l’unanimità, o c’è la rottura. E il processo unitario non può essere solo al livello dei gruppi dirigenti ma richiede un rilancio dei CdF, una definizione del loro ruolo, della loro funzione come organi di rappresentanza generale di tutti i lavoratori.

 

6) Infine, restano aperti i problemi che abbiamo affrontato nel documento di luglio per una riforma della struttura del salario.

La consultazione all’interno delle strutture ha registrato un assenso sostanziale, pur con molte esigenze di precisazione e di arricchimento. Le difficoltà politiche non ci hanno permesso, finora, il passaggio alla seconda fase, alla consultazione cioè di tutti i lavoratori.

Tuttavia questo passaggio resta essenziale, e dovremo valutare con quali strumenti e con quali tempi possiamo effettuarlo. E il tema della struttura del salario non può essere eluso da nessuno, tanto più in presenza di un nuovo attacco padronale alla scala mobile.

Ci ripromettiamo di tornare rapidamente su questa questione, con una riunione del Consiglio generale della CGIL Lombardia dopo il Consiglio Generale nazionale: per fare una sintesi politica del dibattito fin qui svolto, e per decidere le iniziative successive, nel rapporto con i lavoratori, e nel confronto con le altre confederazioni.



Numero progressivo: A55
Busta: 1
Estremi cronologici: [1984, novembre]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -