IL SINDACATO NELL’ITALIA CHE CAMBIA. RIPARTIRE DALL’UNITÀ

Incontro su Europa e unità sindacale per la fondazione Brodolini, 1990

Relazione Riccardo Terzi – Segretario generale CGIL Lombardia

Nel titolo di questo incontro ci sono due concetti: l’Europa che cambia e l’unità sindacale. C’è un rapporto, e quale, tra questi due aspetti?

Io ritengo fondato un discorso sull’unità che prende le mosse dai cambiamenti dello scenario internazionale. Ma si tratta di, chiarire in quale senso viene pensato questo collegamento.

Schematizzando, si possono configurare due diversi approcci. Il primo intende il crollo dell’Est europeo come liquidazione di ogni ipotesi di trasformazione del modello occidentale dell’economia di mercato, e in questo contesto l’unità è possibile in quanto viene rimossa e scalzata l’anomalia italiana di un movimento operaio a egemonia comunista. La questione viene così posta su un terreno essenzialmente ideologico, con tutti gli effetti di strumentalizzazione politica che ne discendono.

Il secondo possibile approccio consiste nell’individuare i nuovi problemi e le nuove sfide che si pongono di fronte al movimento operaio, e per i quali risultano ormai inadeguate tutte le risposte tradizionali. Il fatto nuovo è dato dal processo mondiale di internazionalizzazione dell’economia, dalla crisi degli istituti della sovranità nazionale, dal massiccio spostamento che è avvenuto nell’equilibrio dei poteri e nel rapporto tra politica ed economia.

In questo contesto i cambiamenti in atto nell’Est europeo vanno letti nella loro valenza contraddittoria, come rottura delle forme autoritarie di dominio politico, e come apertura di un nuovo conflitto sociale. Insomma, il processo storico non può essere superficialmente interpretato come una generale omologazione al modello occidentale, ma piuttosto come l’insorgere, all’Est e all’Ovest, di nuovi conflitti e di nuove contraddizioni.

Questo secondo tipo di approccio, che rifugge dalle troppo banali semplificazioni ideologiche, ci consente di vedere il tema dell’unità del movimento sindacale europeo nei suoi termini reali, come nuova necessità politica di fronte alle sfide internazionali del nostro tempo.

Per riproporre l’obiettivo politico dell’unità, occorre in primo luogo un confronto esplicito sull’analisi del processo sociale e politico degli anni ‘80, e delle forme che ha assunto la modernizzazione capitalistica. L’elemento essenziale di tale processo è lo spostamento nei rapporti tra potere politico e potere economico, tra Stato e mercato, ed è il nuovo ruolo, anche politico, che è stato assunto dalla grande impresa. Ciò ha comportato un attacco politico al ruolo e al potere del sindacato, il tentativo di marginalizzare la funzione dell’organizzazione sindacale. E in effetti il sindacato si è trovato per molti aspetti spiazzato rispetto ai processi reali. Anche la rivoluzione tecnologica ha agito come acceleratore di questa crisi.

Il punto di partenza è quindi il riconoscimento di una situazione oggettiva di crisi, indotta dai processi internazionali e dalle trasformazioni della struttura economica. È a partire da qui che si ripropone la necessità politica dell’unità sindacale, proprio per essere in grado di fronteggiare la nuova situazione.

In questo senso sono devianti le letture oggettivistiche, che riconducono il problema della crisi del sindacato al prevalere di posizioni politiche subalterne. In realtà la subalternità è il portato di un processo oggettivo che non si riesce a controllare e di uno squilibrio che si è determinato nei rapporti di potere.

E allora, se le singole organizzazioni sindacali stanno chiuse nel gioco di una concorrenzialità burocratica, sono allora destinate ad una sopravvivenza mediocre, mentre è invece necessario un nuovo progetto politico che sia capace di rimettere in moto il processo unitario.

Le difficoltà e gli ostacoli non sono solo di natura politica o ideologica. È, necessaria un’esplorazione concreta dei problemi di strategia sindacale, tenendo ben fermo il terreno dell’autonomia del sindacato.

Possiamo allora concordare un’agenda di problemi da discutere e da approfondire, superando ogni logica di collateralismo politico, proporrei, per questo lavoro comune di esplorazione, quattro ordini di questioni.

Il primo problema è la rappresentanza, ovvero la definizione delle regole di democrazia nel rapporto tra il sindacato e i lavoratori, È ormai indispensabile assumere i criteri fondamentali della democrazia (i principi di proporzionalità e di maggioranza) come elementi costitutivi della rappresentanza sindacale, il che significa abbandonare ogni idea di monopolio confederale delle “associazioni maggiormente rappresentative”. Il problema è la costruzione di un sistema forte e legittimato di democrazia rappresentativa, integrato da forme regolate di democrazia diretta.

Per raggiungere questo obiettivo, è necessaria una sanzione legislativa. Non solo perché le organizzazioni sindacali sono state fin qui incapaci di autoregolare in modo efficace il proprio rapporto con i lavoratori, ma perché si tratta di un problema politico e istituzionale di interesse generale, perché un sindacato che voglia essere “soggetto politico” e voglia superare una concezione solo movimentistica, deve conseguentemente definire il proprio ruolo anche dal punto di vista istituzionale.

Occorre naturalmente una ricerca unitaria tra le organizzazioni sindacali, come condizione e come premessa di una decisione legislativa.

La seconda questione è quella del modello contrattuale, partendo dall’assunzione della contrattazione articolata come fondamentale esigenza strategica del sindacato, in quanto solo a questo livello è possibile un effettivo intervento sulle condizioni di lavoro e delle trasformazioni tecnologiche e organizzative. Dovrà in questo senso essere chiaramente definito il rapporto tra contratti nazionali e contrattazione aziendale, in un quadro di chiarezza e con la definizione di un nuovo complesso di regole che dia certezze sufficienti anche al sistema delle imprese.

In terzo luogo si pone tutta la problematica della democrazia economica e della democrazia industriale. Essa presuppone alcune condizioni di partenza: un sistema efficace di democrazia sindacale, e uno sviluppo positivo delle relazioni industriali, ovvero degli spazi di contrattazione sull’insieme delle scelte strategiche delle singole imprese, dei grandi gruppi e dei settori industriali.

Su questa base va aperta la ricerca intorno ai vari istituti di partecipazione, e va compiuto da parte del sindacato uno sforzo culturale innovativo per andare oltre una concezione solo conflittuale e rivendicativa, per individuare il terreno possibile di un nuovo e più alto tipo di conflitto, che consenta nuove forme di governo consensuale dei processi di innovazione e di ristrutturazione.

Infine, mi sembra che assuma un rilievo sempre più importante il problema del rapporto tra il sindacato e il sistema politico. Va fatto lo sforzo più grande per garantire l’autonomia progettuale del movimento sindacale, per impedire che tale autonomia sia vanificata dall’interferenza dei partiti politici e dalla loro competizione.

Unità e autonomia sono elementi indivisibili di un medesimo processo. E da questo punto di vista si pone per tutte le Confederazioni la necessità di un esame critico della propria situazione interna, e mi riferisco in primo luogo alla CGIL e al problema tuttora irrisolto del ruolo delle componenti politiche.

Ma ponendo il problema del sistema politico penso ad una questione più generale e più ampia: alla necessità di una nostra posizione sul tema delle riforme istituzionali, al ruolo che il sindacato può avere in un nuovo sistema di regole dell’ordinamento politico, alte relazioni tra sindacato e governo, tra sindacato e poteri locali, relazioni che richiedono di essere inquadrate in un chiaro sistema di regole.

Su questi quattro punti proporrei di iniziare una ricerca e un confronto unitario. La condizione è l’assunzione di una chiara volontà politica

L’unità nelle condizioni di oggi, non può essere il risultato di una spinta dal basso, ma richiede un progetto politico consapevole dei gruppi dirigenti. E richiede quindi un’aperta lotta politica contro le forze d’inerzia burocratica che sono insite nel funzionamento delle organizzazioni, contro la tendenza dell’organizzazione a costituirsi come fine a se stessa.

Occorrono dunque occasioni concrete e reali di confronto, di comunicazione. E occorre lavorare per l’oggi, intendere cioè il tema dell’unità sindacale come un problema dell’attualità politica, come un obiettivo su cui i gruppi dirigenti fanno un’esplicita scommessa politica, investendo in questa direzione il loro prestigio e la loro autorevolezza.

Chi è disponibile a questa scommessa deve muoversi da subito, dando continuità al lavoro che si è avviato e costruendo sedi e strumenti concreti di lavoro.


Numero progressivo: A24
Busta: 1
Estremi cronologici: 1990, settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: ?