CONVEGNO AMBIENTE E LAVORO DEL 10-12 MARZO 1992
Intervento di Riccardo Terzi, segretario generale CGIL Lombardia e Presidente nazionale Associazione Ambiente e Lavoro
A cinque anni dall’avvio dell’esperienza di Ambiente e Lavoro, il tipo di approccio che l’associazione si è dato si sta dimostrando sempre di più come l’approccio adeguato ai problemi che dobbiamo affrontare.
Io non voglio fare un bilancio, l’ha già fatto Rino Pavanello in apertura.
Voglio solo ricordare che la linea di grande rigore scientifico, e la ricerca di un rapporto il più largo possibile: con le forze politiche, con le istituzioni, con il mondo industriale, nella ricerca di forme di comunicazione tra questi diversi mondi, pone oggi l’associazione Ambiente e Lavoro nelle condizioni ottimali per contribuire al necessario salto di qualità nelle esperienze di politica ambientale.
Io condivido del tutto le cose dette in apertura da Mercedes, il giudizio che ha dato nella situazione attuale ed il tipo di impostazione programmatica, Noi abbiamo avuto negli anni passati una fase, nell’esperienza del movimento ambientalista, in cui erano prevalenti gli elementi di movimento e gli elementi di conflitto.
Questo è tipico di qualunque movimento nella sua fase iniziale, perché esso deve caratterizzarsi, e perciò deve radicalizzare le posizioni, aprire dei conflitti, per porre in modo radicale un’esigenza di cambiamento.
Oggi questo tipo di fase è visibilmente ad un punto critico. Dopo un certo periodo di tempo non è sufficiente questa impostazione, perché un movimento riesce a consolidarsi in quanto produce dei risultati, e non soltanto in quanto avanza delle esigenze.
La fase critica in cui ci troviamo dipende dal fatto che nessuno decide, e le diverse forze si neutralizzano e non riescono a risolvere i problemi. Vi è d’altra parte il rischio che l’ambiente si riduca ad una specie di messaggio pubblicitario, dietro il quale sta il vuoto; non ci sono più nemici dichiarati della causa ambientalista, si sono tutti messi un po’ di verde sulla faccia, ma anche questo non produce risultati, produce un’operazione solo di immagine.
Di qui la necessità di rivedere l’impostazione dei movimenti ambientalisti, delle forze che si sono impegnate su questo terreno, cercando di avere come punto di orientamento l’ottenimento di risultati effettivi, non soltanto il movimento, non soltanto il fatto di produrre dei conflitti significativi.
Mi pare che l’impostazione che Ambiente e Lavoro ha dato vada esplicitamente in questa direzione. Ambiente e Lavoro ha sempre cercato di caratterizzarsi così, non soltanto come un movimento, ma come un’organizzazione che tende a produrre delle proposte e tende a realizzare una strategia di mediazione tra i diversi soggetti.
Quindi non soltanto il conflitto, ma la ricerca di punti realistici, praticabili, di mediazione tra le diverse forze: politiche, istituzionali, economiche.
Ora questa linea mi pare ancora più necessaria. Sul versante politico, il patto di impegno ambientale ci ha consentito di stabilire una rete di rapporti, in alcuni casi anche molto produttivi, con diversi settori del mondo politico, e questa strategia non va abbandonata, ma non può essere da sola sufficiente.
Nella relazione si parlava appunto di un patto sociale, della necessità cioè di attivare con la medesima impostazione metodologica un sistema di collaborazione e di rapporti con le forze che agiscono nella società,
D’altra parte, qualunque politica non funziona se non ha i suoi referenti sociali e se non c’è una rete di soggetti che intervengono nella società.
Questo non vuol dire “più mercato”, non è questo il senso, ma “più società”, più capacità di organizzare i comportamenti collettivi.
Le proposte vanno sicuramente tutte approfondite e discusse, ma quello che mi interessa è vedere se siamo d’accordo sull’ impostazione di massima, cioè sulla valutazione della fase. Ho sentito all’inizio Annibaldi che su questo punto ha dichiarato un consenso, e questa mi pare una cosa da registrare come un fatto importante. Ciò non elimina, su ciascuno dei problemi che dovremo affrontare, l’esistenza di valutazioni diverse, di punti di vista ed interessi che possono essere contrastanti, però se conveniamo che si deve passare ad una fase di comunicazione tra i diversi soggetti, di ricerca di soluzioni concrete, per superare quella situazione di crisi e di blocco delle decisioni che si è prodotta in questo ultimo periodo, allora abbiamo aperto un discorso nuovo.
Il sindacato deve partecipare attivamente a questo tipo di processo; il rapporto tra sindacato e sistema delle imprese può avere degli sviluppi innovativi.
Al congresso della CGIL abbiamo insistito su un punto, per quanto riguarda il sistema delle relazioni; la prospettiva della codeterminazione, il che significa, al di là dei rapporti contrattuali classici, l’individuazione di alcuni terreni sui quali si decide insieme.
Il tema dell’ambiente mi pare tipico, è un terreno su cui più che su altri dovrebbe essere possibile questa metodologia, questo tipo di approccio nelle relazioni tra diversi soggetti, portatori di interessi diversi, ma non antagonisti.
Essendo evidente che risolvere i problemi dell’ambiente non è un’esigenza di parte, non è soltanto un’esigenza dei lavoratori ma è un’esigenza della collettività, del sistema economico, dell’efficienza complessiva della nostra società.
Abbiamo in Lombardia un primo esperimento, con un accordo tra le confederazioni sindacali e l’Assolombarda, che dà vita ad una commissione paritetica per affrontare i problemi dell’ambiente.
Credo che molto si potrebbe fare anche in materia di formazione, congiuntamente dei progetti di formazione per operatori sindacali, per delegati, e anche per i dirigenti delle imprese, per affrontare insieme i problemi delle politiche ambientali.
Possiamo dare più respiro a tutto questo riprendendo le proposte che erano nella relazione: un Forum per lo sviluppo sostenibile, con il sistema delle imprese, i sindacati, le associazioni ambientaliste, e dei tavoli tecnici specifici per mettere a punto delle soluzioni, delle proposte, delle strategie su singoli, concreti problemi.
Tutto questo, e davvero concludo, va oggi visto anche in rapporto ai nuovi problemi di crisi economica e di crisi industriale. Io sento il rischio per il sindacato che nel momento in cui torna l’emergenza occupazionale si riproduca l’effetto che si è avuto nel passato, per cui i temi dell’ambiente sono stati messi in secondo piano, perché c’era prima il problema dell’occupazione. Questo è stato un errore allora e sarebbe un errore doppio oggi, perché dalla crisi si esce con una politica industriale che mette al primo punto le esigenze di più alta qualità dello sviluppo e della condizione ambientale complessiva.
Un arretramento, un minore impegno del movimento sindacale su questi temi, sarebbe un errore grave.
Oggi i problemi sono quelli di un’efficienza ambientale complessiva, come diceva anche Ruffolo; un’efficienza ambientale che richiede come condizione una responsabilizzazione dei diversi soggetti. Non bastano le leggi, non basta il Ministero dell’ambiente, se non creiamo una rete di comportamenti, una responsabilizzazione delle diverse forze che concorrono poi a determinare il risultato complessivo della condizione ambientale.
D’altra parte, è questo il filo conduttore delle cose che ci spiegava stamattina il Ministero dell’ambiente tedesco, la necessità cioè di processi che hanno come effetto quello di responsabilizzare le forze che prima non erano responsabilizzate, che non si ponevano il problema delle conseguenze delle proprie decisioni, di produzione o di commercializzazione, per questo le diverse forze devono trovare delle sedi di comunicazione e di confronto. Questa è la proposta, l’impostazione che esce da questo convegno e che come CGIL dobbiamo completamente fare nostra.
Busta: 1
Estremi cronologici: 1992, 10 marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Dossier Ambiente”, n. 18, pp. 78-79