COMITATO DIRETTIVO CGIL LOMBARDIA 6 NOVEMBRE 1992
Relazione di Riccardo Terzi al Comitato direttivo regionale della CGIL Lombardia
Noi ci siamo proposti, con questa riunione del direttivo regionale, di fare un esame approfondito dell’attuale situazione sindacale. È evidente che siamo ad un passaggio molto difficile e complesso, e per questo è necessario non solo decidere intorno alle scelte di carattere immediato, decidere cioè i nostri comportamenti pratici per i prossimi giorni, ma anche cercare di delineare meglio la prospettiva e quindi affrontare in una discussione chiara tra di noi alcuni nodi di fondo anche in vista dell’assemblea nazionale di Montecatini che si terrà tra non molti giorni.
La situazione sindacale va vista in rapporto ai processi più generali che stanno avvenendo nella società italiana. Si è aperta davvero una situazione di crisi organica, nel senso letterale del termine, in quanto è l’organismo sociale e politico che non funziona più con le vecchie regole e che richiede un nuovo equilibrio.
E questa crisi si manifesta su tutti i terreni: il terreno politico, istituzionale, economico e sociale.
Il sindacato dentro a questo processo di crisi si trova ad essere esposto ad un duplice attacco su due fronti: un attacco in nome degli interessi rappresentati i quali pretendono una difesa più intransigente e, in secondo luogo, un attacco in nome della emergenza nazionale, degli interessi generali del paese, i quali richiedono anche da parte del sindacato una linea di grande responsabilità. Da qui viene una situazione contraddittoria.
In queste ultime settimane si è sviluppato un grande movimento di lotta, di un’ampiezza senza precedenti, il quale ha però dentro di sé, in modo molto visibile, un elemento di critica alla linea delle confederazioni, e anche in molti casi di contestazione aperta.
È quindi un movimento che segnala le potenzialità dell’azione sindacale, ma anche le sue contraddizioni interne. Vi sono aree estese di lavoratori che non si sentono sufficientemente rappresentati e tutelati dalle confederazioni, e in molti casi il sindacato viene avvertito come una controparte più che come un soggetto di difesa dei propri interessi, come una specie di anello del sistema politico-istituzionale che sta dentro un meccanismo consociativo.
In questa posizione critica, che a me pare abbastanza diffusa tra i lavoratori, c’è sicuramente l’individuazione di alcuni nodi reali, di limiti reali che ha oggi l’azione delle confederazioni: limiti di autonomia nel rapporto con il governo e nel rapporto con le forze politiche, limiti di democrazia nel funzionamento della organizzazione sindacale, limiti quindi nella capacità di rappresentanza sociale. Ma questa posizione critica è anche a mio giudizio il segno di tendenze che sono presenti nel corpo sociale e che possiamo dire – usando una formula un po’ generica – tendenze alla corporativizzazione, il che significa la difficoltà a ragionare in termini generali, la scarsa disponibilità a mettere in rapporto le proprie esigenze individuali e di gruppo con le esigenze generali del paese, il rifiuto di qualsiasi arretramento rispetto alle posizioni acquisite, il rifiuto a fare i conti con la crisi davvero profonda che attraversala la società italiana e che richiede una politica di risanamento.
Su questi elementi si innesca un attacco politico che ha dei segni diversi: c’è un attacco politico che viene da determinate forze della sinistra che tendono a una delegittimazione dell’azione sindacale, mettendo in moto un processo che può anche provocare degli elementi di rottura o di vera e propria scissione; dall’altro vi è un attacco che viene da posizioni leghiste e che consiste nel tentativo di costituire un blocco sociale che unisce interessi corporativi anche molto diversi in una linea di protesta e in una prospettiva di eversione, di rottura degli equilibri democratici.
Su un altro versante, la critica al sindacato viene condotta per una ragione opposta: perché il sindacato non appare in grado di interpretare le esigenze generali del paese, di fare i conti seriamente con la crisi, con l’emergenza nazionale.
Da questo punto di vista mi pare che si sia determinata una condizione di relativo isolamento del movimento sindacale nei rapporti politici e soprattutto sul versante delle posizioni culturali, dell’egemonia culturale. Se guardiamole le posizioni degli organi di stampa, le posizioni presenti nel dibattito culturale, le posizioni della cultura economica, questo fenomeno risulta abbastanza evidente. E questo attacco non viene soltanto da destra, da posizioni conservatrici, ma c’è una critica nei confronti del sindacato, una non condivisione delle sue posizioni anche da parte di forze democratiche e di sinistra. Secondo queste posizioni, il risanamento dell’economia nazionale rappresenta una via obbligata, per cui il governo non ha molte alternative e possibilità di scelta, e questa via obbligata comporta almeno nel breve periodo sacrifici e per certi aspetti anche iniquità nella loro distribuzione sociale.
Di fronte a questo, o il sindacato capisce questa necessità e quindi si mette in questa ottica, oppure è necessario che il governo proceda anche senza e contro il sindacato. Il sindacato appare in questa visione come corresponsabile di una gestione consociativa che ha determinato quegli elementi di rilassatezza e di spreco che hanno portato l’economia italiana nelle condizioni in cui si trova oggi.
Partendo da questa valutazione si considera come del tutto velleitaria e demagogica l’indicazione di una linea alternativa, di una contromanovra.
Il tentativo della CGIL di dare robustezza a un disegno alternativo alla linea del governo è stato oggetto di un attacco molto violento, e noi abbiamo subìto un arretramento.
Non siamo riusciti a passare nella coscienza del paese con una nostra proposta capace di rispondere al problemi generali e nazionali di questa fase di emergenza, e quindi anche il sindacato si è trovato a doversi confrontare su un terreno più angusto, a condurre una battaglia parziale, di tipo emendativo.
Nella valutazione dei rapporti di forza – se questi rapporti di forza li misuriamo non soltanto in termini di partecipazione alle lotte ma in termini politici e culturali – appare quindi un elemento di debolezza la mancanza di sponde politiche sufficientemente solide.
Basti vedere la posizione incerta e opportunistica che sulla questione della minimum tax ha avuto la sinistra nelle sue varie espressioni.
Di fronte a questi processi, a questo duplice attacco, il sindacato appare incerto e diviso, esposto a diverse oscillazioni. Io credo che occorre tenere conto di entrambi questi fronti, cercare di rispondere a queste diverse esigenze: l’esigenza per un verso di maggiore capacità rappresentativa e di tutela degli interessi sociali e di maggiore democrazia dentro il sindacato; dall’altro l’esigenza di rispondere al quesito politico centrale che riguarda la strategia per il risanamento dell’economia nazionale.
Questa è la difficoltà che noi abbiamo, la difficoltà di unire, in una sintesi non precaria, non fragile, gli interessi parziali che noi rappresentiamo e gli interessi generali. Di fronte a questo nodo ci sono state delle divaricazioni, ci sono delle analisi profondamente diverse dentro le confederazioni, e questo ha portato dopo una fase di grande mobilitazione unitaria a un blocco dell’iniziativa e a una crisi nei rapporti unitari.
Una parte del movimento sindacale, in particolar, la CISL, è arrivata a considerare praticamente conclusa la fase di confronto con il governo sulla manovra economica; si è ottenuto qualche risultato apprezzabile, altri risultati non si sono portati a casa, ma non c’è più nessuno spazio per continuare il confronto con il governo, e quindi bisogna passare ad altro, aprire una fase diversa, su un altro terreno, quello del confronto con la Confindustria, quello che riguarda le politiche industriali.
Si è così aperta una situazione di paralisi dell’iniziativa confederale unitaria e si è determinato uno scarto molto visibile tra le potenzialità del movimento e la capacità delle confederazioni di tradurre queste potenzialità in indicazioni concrete di lotta e di iniziativa.
Questa situazione è molto pericolosa, questo scarto questa forbice, rappresenta un’insidia molto pesante che può dividere il movimento, frantumare il movimento unitario dando luogo, da un lato, a fenomeni di radicalizzazione estremistica e dall’altro a posizioni di riflusso. Col rischio quindi di essere sconfitti su entrambi terreni, in quanto non riusciamo da una parte a governare il movimento a dare le indicazioni, di lotta convincenti per lavoratori, e dall’altra parte il sindacato appare incapace di indicare una prospettiva credibile non subalterna, per quanto riguarda le grandi scelte di politica economica.
Ora questo rischio c’è ancora tutto, non siamo usciti da questa paralisi sostanziale dell’iniziativa unitaria.
La discussione non riguarda soltanto i1 rapporto con CISL e UIL, perché queste contraddizioni le abbiamo anche dentro di noi e quindi vanno messe in chiaro in una discussione politica.
Questa situazione ha alimentato qualche, spinta verso una posizione di autosufficienza della CGIL.
La convinzione che sta serpeggiando in una parte dell’organizzazione è che il vincolo unitario produce paralisi e subalternità e che quindi dobbiamo liberarci da questo vincolo e conquistare in prima persona, come CGIL, una capacità di iniziativa, anche a prescindere dai rapporti con le altre confederazioni.
Ci troveremmo quindi a un bivio: o scegliamo il rapporto con i lavoratori o scegliamo l’unità.
Io credo che noi dobbiamo cercare una linea che non ci metta in questa alternativa perché questa alternativa è un’alternativa tra due sconfitte.
Dobbiamo partire – questa almeno è la mia valutazione – da una riconferma molto forte dell’impegno unitario, cercando però di riflettere meglio su come si configura, questo impegno unitario, quali sono le sue possibili dinamiche.
In questa situazione di crisi si è inserito un elemento nuovo, che va valutato perché rappresenta sicuramente un fatto rilevante. Si tratta dell’iniziativa autonoma di un certo numero di consigli di fabbrica. Questa iniziativa ha coperto un vuoto. Nel vuoto di iniziativa che si era determinato per la crisi dei rapporti unitari a livello nazionale, si è inserita l’iniziativa autonoma dei consigli, che almeno nella realtà di Milano ha avuto effetti rilevanti con una partecipazione molto elevata alla manifestazione e allo sciopero del 29 ottobre.
Io credo che sia stata giusta la posizione assunta dalla CGIL, di attenzione positiva e di sostegno all’iniziativa dei consigli, a condizione che si tratti effettivamente di strutture unitarie di fabbrica, e non invece di un modo surrettizio per far passare un’iniziativa unilaterale della CGIL. Nella realtà ci sono state delle forzature, ci sono casi in cui si è avuta una rottura dentro le strutture unitarie di fabbrica, anche se il dato prevalente è quello di un’iniziativa promossa dalle strutture unitarie.
Su questo punto dobbiamo essere molto rigorosi e vigilanti: il rapporto positivo della CGIL con il movimento dei Consigli ha la sua ragione d’essere nel carattere unitario di questo movimento, che può svolgere così una funzione di stimolo critico che si colloca dentro l’orizzonte confederale. Non è un altro binario, un binario parallelo e alternativo rispetto a quello delle confederazioni. In questo senso l’iniziativa ha avuto una sua utilità in quanto ha introdotto una nuova dinamica senza aprire dei processi di disgregazione nelle relazioni unitarie.
Si tratta di una fase di passaggio, attraverso la quale cerchiamo di ricostruire su basi più solide un nuovo equilibrio unitario.
Se, invece è un’altra cosa, se invece si pensa che questo movimento è la sanzione definitiva dell’esaurimento, della crisi non più rimediabile dell’esperienza confederale, e ci si illude di realizzare, a partire, da qui, una scelta strategica di ricostruzione dal basso del movimento, allora questa è un’altra linea che io considero del tutto velleitaria e da contrastare. Credo che dobbiamo vedere insieme, nel loro intreccio i problemi di unità e di democrazia, di unità sindacale e di rapporto democratico coi lavoratori, facendo una scelta non equivoca, senza remore, per l’unità sindacale, e insieme affrontando la necessità di un progetto di riforma democratica del sindacato, perché non regge più una gestione tutta verticistica.
Anche per questo l’iniziativa dei consigli è importante, perché pone il problema di un diverso rapporto tra strutture di base e vertici nazionali, pone il problema di un rilancio delle rappresentanze di base, pone il problema del loro ruolo, della loro iniziativa autonoma.
Questa è una partita aperta anche per la CGIL, anche dentro la CGIL. Abbiamo bisogno di avviare un processo vero di riforma del sindacato, realizzando una linea di decentramento, di sburocratizzazione, ed è per questo essenziale un cambiamento del modello organizzativo che sia in grado di valorizzare i momenti di autonomia. Occorre costruire una struttura intelligente, una struttura che nelle singole situazioni sia in grado di operare con un proprio progetto, con una propria analisi della realtà, sia a livello aziendale, sia a livello territoriale, sia per quanto riguarda i diversi aspetti, i diversi segmenti del mondo del lavoro.
Dobbiamo tenere insieme una linea che tiene ben ferma la bussola unitaria senza incertezze, e che affronta in modo molto più determinato il tema del rinnovamento del sindacato unitario.
Si pone in questo contesto il tema delle RSU, delle rappresentanze di fabbrica, sia vedendo accelerare dopo un periodo troppo lungo di passività l’avvio di una sperimentazione concreta nell’applicazione dell’accordo, sia anche affrontando problemi che non sono più eludibili di un quadro legislativo nuovo a sostegno di un sistema rinnovato di rappresentanza nei luoghi di lavoro.
Per quanto riguarda il merito delle questioni-del confronto con il governo, noi dobbiamo insistere su una valutazione che non considera chiuso il confronto. Il confronto deve continuare, in effetti sta continuando.
La posizione della CISL che tendeva a dire che è finita una fase, è già stata modificata nei fatti: il confronto con il governo ha ancora degli spazi, lo si vede anche in questi giorni nel momento in cui il governo riapre qualche spazio sul tema del drenaggio fiscale. Quindi non è vero che la partita è chiusa, che è definitivamente compromessa la nostra piattaforma. Ci sono ancora dei passaggi per quanto riguarda la traduzione della legge delega, in decreto governativo, per quanto riguarda la legge finanziaria, e c’è comunque la possibilità, su punti che per il momento hanno avuto esito negativo nel dibattito parlamentare, di avere delle iniziative ad hoc che consentano una correzione rispetto alle cose fin qui deliberate dal Parlamento.
Noi quindi possiamo tentare una selezione realistica degli obiettivi, sapendo però che è vero che ci sono degli spazi ma non c’è spazio per tutto. Se vogliamo stare sul terreno del realismo, c’è l’esigenza di una individuazione selezionata degli obiettivi possibili.
Noi già in qualche discussione precedente abbiamo tentato di fare questa operazione di selezione indicando sostanzialmente tre punti, i quali hanno un rilievo particolare nella realtà lombarda: la questione del drenaggio fiscale, vedendo se è possibile un intervento a breve che modifichi gli effetti a dicembre ,sulla tredicesima, e comunque ponendo un problema più organico di recupero del drenaggio fiscale in via strutturale poi i1 tema della sanità, con la richiesta di una correzione del meccanismo delle fasce di reddito, il quale moltiplica l’iniquità sociale perché si basa su fasce di reddito dichiarato che non corrispondono alla realtà; infine il tema delle pensioni, considerando come elemento prioritario la salvaguardia delle pensioni di anzianità.
Su questi punti possiamo tentare un’azione, una ripresa di iniziativa del movimento per ottenere dei risultati concreti.
Nello stesso tempo però dobbiamo affrontare un problema di più lunga prospettiva perché è evidente che gli spazi, che pure parzialmente ci sono, che vanno tutti usati, non ci consentono oggi di avere quel risultato politico generale cui abbiamo parlato, quando abbiamo cominciato a discutere della manovra economica del governo, quando abbiamo detto che quella manovra va modificata nel suo indirizzo generale, e non soltanto corretta e emendata. Ora quel risultato non l’abbiamo ottenuto e dobbiamo quindi darci una linea strategica sui tempi lunghi.
C’è bisogno di recuperare una proposta complessiva della CGIL e dei sindacati. In questo senso abbiamo sollecitato un’iniziativa della CGIL nazionale, che si dovrà concretizzare con lo svolgimento di una conferenza nazionale sulla politica’ economica.
Dobbiamo mettere a fuoco meglio di quanto abbiamo finora fatto una linea complessiva, indicando le riforme strutturali necessarie sia in materia di fisco, rilanciando e chiarendo le nostre proposte per quanto riguarda la patrimoniale, l’intervento sulle rendite finanziarie e così via, in materia di riforma dello stato sociale, in materia di distribuzione dei poteri tra lo stato sociale e le regioni, e cercando di definire una politica di sviluppo, una politica industriale, una politica che punta allo sviluppo qualitativo della società italiana, vedendo nel loro rapporto politica industriale e politica di difesa ambientale.
Inoltre abbiamo bisogno di un’iniziativa per una piena riconquista del potere contrattuale del sindacato – questo d’altra parte era il punto che abbiamo sollevato a fine luglio dopo l’accordo.
Riconquistare pienamente il potere contrattuale è la condizione per un sindacato che partecipa all’azione di risanamento dell’economia, non si estranea, non si mette fuori da questa esigenza, ma vi partecipa esercitando le proprie funzioni, usando i propri strumenti; con un’azione contrattuale che affronti quindi i problemi della produttività del sistema economico, del sistema industriale, che affronti il problema della riforma e dell’efficienza della pubblica amministrazione.
Abbiamo bisogno dunque di un movimento che abbia una sua durata, che sia capace di articolarsi affrontando alcuni aspetti della manovra economica, avviando il confronto con Confindustria per quanto riguarda la riforma del sistema contrattuale e la struttura del salario e affrontando i problemi della politica industriale e dell’occupazione.
Tutto questo ha bisogno di qualche traduzione lombarda, di qualche approfondimento sulla realtà regionale, per quanto riguarda la questione del regionalismo e dei poteri da assegnare alle regioni, per quanto riguarda la gestione di alcuni grandi servizi pubblici, in particolare la sanità, e per quanto riguarda le prospettive dello sviluppo industriale e la situazione occupazionale in Lombardia.
Abbiamo avviato su queste basi un confronto con la segreteria regionale della CISL e della UIL e questo confronto ha dato luogo a una ipotesi di accordo, che ancora però non è tale perché da parte della CISL restano delle riserve non tanto sul merito dell’accordo possibile, ma soprattutto sull’opportunità politica in questo momento di stringere un patto con la CGIL, essendo tuttora aperta la polemica a proposito dell’iniziativa dei consigli che viene usata strumentalmente per accreditare l’immagine di una non affidabilità della CGIL.
Io credo che noi dobbiamo ancora insistere per un confronto stringente e per giungere ad un’ipotesi conclusiva. I punti rilevanti di questo possibile accordo sono: una valutazione delle questioni aperte nel confronto col governo, lungo una linea analoga a quella che prima ho illustrato; una richiesta alle confederazioni nazionali per una continuità della lotta sui punti aperti, con una possibile articolazione regionale (che la titolarità del confronto col governo sia delle strutture nazionali è evidente, il problema è quello di sbloccare la situazione a livello nazionale, e il fatto che CGIL, CISL e UIL della Lombardia chiedano questo sblocco è un fatto politico rilevante), inoltre c’è un percorso che viene deciso autonomamente da CGIL, CISL e UIL della Lombardia, con una campagna di assemblee nei luoghi di lavoro, con una manifestazione di massa sulla questione del fisco, e infine con un’iniziativa che metta a punto alcuni obiettivi di politica industriale e di sostegno all’occupazione definendo una piattaforma sulla cui base decidere un programma di lotte.
Restano d’altra parte valutazioni diverse in rapporto al movimento dei consigli, senza che nessuno cerchi di sconfessare la posizione dell’altra organizzazione, con lo sforzo di indicare un percorso di ripresa unitaria che possa superare le ragioni delle difficoltà e delle tensioni che hanno incrinato in questi giorni il rapporto unitario.
La valutazione che esprimiamo come segreteria di questo accordo, se riusciamo a realizzarlo, pur con alcuni limiti che esso ha, è che esso avrebbe un valore importante anche di carattere nazionale, poiché chiama in causa le confederazioni nazionali e indica una possibile via d’uscita dalla crisi dei rapporti unitari.
A me pare importante un impegno per cercare di ricostruire un tessuto unitario non in termini generici ma in termini di iniziativa concreta di lotta e di mobilitazione dei lavoratori.
In questo quadro va visto anche il nostro rapporto con il movimento dei consigli, che avranno una loro iniziativa lunedì prossimo, che può essere utile se si muove su una linea per una ripresa del movimento di lotta.
L’ultimo tema che voglio affrontare riguarda la situazione interna della CGIL. C’è una evidente crisi nel gruppo dirigente della CGIL, e una CGIL che appare permanentemente divisa nel suo gruppo dirigente finisce per perdere ruolo e forza contrattuale. Noi dobbiamo affrontare questo nodo, e credo che la stessa assemblea di Montecatini dovrà determinare un chiarimento in proposito. Abbiamo bisogno di ristabilire un patto di unità, di solidarietà interna alla CGIL su una linea molto marcata e netta di autonomia rispetto a logiche esterne di appartenenza politica, superando sia le logiche di partito, le logiche di componente, che purtroppo stanno tornando a galla, sia le divisioni rigide di maggioranza e minoranza, che introducono una rigidità nel funzionamento dei nostri meccanismi democratici.
Se noi non riusciamo su questo terreno a fare dei passi in avanti, a superare le rigidità di collocazione politica e di collocazione interna tra maggioranza e minoranza, rischiamo davvero di essere permanentemente paralizzati.
Credo poi che bisogna guardare un po’ più a fondo al funzionamento dell’organizzazione, cercando di definire in modo più preciso una linea, un progetto di riforma dell’organizzazione. Non c’è soltanto il problema dei rapporti nel gruppo dirigente, c’è il problema di come funziona concretamente l’organizzazione. E dentro questo capitolo ci stanno molti temi: il tema delle autonomie, del regionalismo, di una rottura del modello centralizzato che tuttora funziona in CGIL; il tema della democrazia di organizzazione, l’importanza delle strutture di base, dei comitati degli iscritti – e qui c’è uno sforzo importante di elaborazione fatto dalla Camera del Lavoro di Milano – , una riforma organizzativa che sposti i punti di direzione e di responsabilità sempre più in un rapporto diretto con la realtà, superando quegli elementi di burocratizzazione che tuttora frenano la nostra iniziativa.
Non voglio ora appesantire più di tanto questa relazione, e la nostra discussione. Possiamo però darci un appuntamento, una scadenza e impegnare la segreteria a lavorare su questi temi anche con l’aiuto delle altre strutture, per arrivare poi ad una discussione specifica sulla base di proposte concrete.
Per cui le cose su cui possiamo deliberare oggi mi sembrano queste: possiamo decidere una valutazione positiva dell’ipotesi di accordo unitario, e dare un mandato alla segreteria perché vada avanti e cerchi di stringere l’intesa.
Sugli altri temi apriamo una discussione e non credo che possiamo chiuderla.
È una discussione che facciamo in vista di Montecatini e oltre Montecatini, che poi dovrà trovare qualche momento conclusivo, ma non oggi. E possiamo infine, sui temi della riforma organizzativa della CGIL, impegnare la segreteria perché organizzi una discussione e presenti un quadro concreto di ipotesi e di proposte.
Busta: 1
Estremi cronologici: 1992, 6 novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nota quindicinale della CGIL Lombardia”, n.13, 1992, pp. 1-6