ALLENDE E L’ESPERIENZA CILENA
Prefazione di Riccardo Terzi
L’esperienza del Cile del ‘70 al ‘73, dalla elezione di Allende al golpe reazionario di Pinochet, offre al movimento operaio il materiale, tuttora vivo e attuale, per una riflessione sulle condizioni entro cui si può percorrere una via democratica al socialismo. Tornare su questa vicenda storica e analizzarla in modo approfondito nella sua dinamica e nelle sue contraddizioni è cosa certamente utile e necessaria, e ancora troppo poco è stato fatto per illuminare appieno gli avvenimenti cileni e per trarne tutte le implicazioni di ordine teorico e strategico. Il Cile ha nell’orizzonte storico del nostro tempo un significato analogo a quello che ebbe la Comune di Parigi per il movimento operaio nella fase dei suoi primi tentativi rivoluzionari. Le sconfitte insegnano talora più delle vittorie, in quanto mettono a nudo le difficoltà, gli ostacoli, le asprezze della lotta. Bisogna essere impietosi e severi nell’esame critico, e insieme cogliere tutta la grandezza di una esperienza di popolo che ha posto all’ordine del giorno il tema della trasformazione socialista, che ha messo in moto il cammino travagliato della rivoluzione.
Lo studio di Garcés, che è stato collaboratore e consigliere di Salvador Allende durante il governo di Unidad Popular, è un esempio eccellente di analisi critica, e non ha bisogno di particolari presentazioni per essere immediatamente inteso nel suo significato politico. Garcés ci offre una documentazione concreta, rigorosa, in grande parte inedita, ci mette davanti al quadro definito dei rapporti di forza, dei conflitti, delle contraddizioni di classe e politiche che banno condotto all’epilogo tragico del colpo di Stato. Su questa base è possibile avviare un dibattito, una ricerca, che ci consenta di andar oltre le dichiarazioni di solidarietà, che sono talora appesantite dalla retorica e dal ritualismo. Il Cile e la sua vicenda politica non debbono essere, per la sinistra, un motivo di sola emozione e di sdegno, ma l’occasione e il terreno concreto per un approfondimento delle questioni cruciali di cui si compone il grande tema della trasformazione socialista nel mondo odierno.
In primo luogo, l’analisi della storia cilena dal ‘70 al ‘73 ci consente di cogliere nel suo contenuto concreto il concetto dell’imperialismo e di comprendere tutta la sua attualità, la sua incidenza reale.
Fin dal momento della vittoria elettorale di Allende viene impostata dai circoli dirigenti dell’imperialismo nordamericano la preparazione del colpo di Stato, e nello studio di Garcés è messa a nudo tutta l’intelaiatura dell’eversione reazionaria, che ha il suo centro operativo nella CIA e che coinvolge direttamente la destra democristiana di Eduardo Frei. Si tratta di cose abbastanza note nei loro lineamenti generali, ma spesso trascurate o conosciute solo superficialmente. Bisogna dunque aver presente in ogni momento che tutta l’esperienza politica di Unidad Popular si svolge in condizioni eccezionali, esposta alla pressione concentrica delle forze capitalistiche interne ed esterne, decise fin dall’inizio a stroncare con ogni mezzo e il più rapidamente possibile il governo di Allende. In sostanza appare qui con chiarezza il fatto che il funzionamento delle istituzioni democratiche vale, nell’ambito del capitalismo, solo come regolamentazione dell’assetto sociale dato, e viene invece rimesso in discussione qualora la democrazia tenda a realizzare cambiamenti sociali profondi e a svilupparsi in direzione del socialismo. È questa una tendenza generale, e non una prerogativa del Cile o dell’America latina. Sarà bene ricordarsene, per non costruire prospettive illusorie.
Tuttavia, se la democrazia costituisce un equilibrio instabile e racchiude in se stessa le forze che la possono sovvertire e distruggere, essa resta nel contempo uno degli strumenti fondamentali per l’iniziativa e la lotta del movimento operaio, e ciò soprattutto là dove il dominio, economico e militare, delle forze capitalistiche è predominante. In questo caso infatti una tattica insurrezionale sarebbe suicida, e l’unica possibilità che si offre al movimento operaio è quella di far leva sulle istituzioni democratiche, di utilizzarle per una politica di trasformazione e di raccogliere attorno a esse il consenso attivo degli strati fondamentali del popolo. In questo senso Garcés parla della necessità, per il Cile, di una tattica politico-istituzionale.
«Un processo rivoluzionario, che si sviluppa in un contesto internazionale dominato militarmente dalle forze capitalistiche, deve evitare a ogni costo di deviare verso una situazione di guerra civile. Più ci si avvicina alla guerra civile, più la controrivoluzione ha i mezzi per vincere militarmente l’avanguardia rivoluzionaria». In effetti, tutta la manovra dei gruppi reazionari tende a creare nel Cile una situazione di tensione e di conflitto tale da non poter più essere dominata con i normali mezzi democratici. E conseguentemente la politica di Allende è protesa a garantire la saldezza delle istituzioni democratiche, a evitare lacerazioni traumatiche, così da poter conseguire il consenso di larghi strati sociali e la fedeltà democratica dei corpi dello Stato, tra cui in primo luogo l’esercito. La politica militare assume un rilievo di primo piano, perché da essa dipende essenzialmente la possibilità di successo della nuova esperienza rivoluzionaria. Il punto di forza su cui può far leva il nuovo governo è la tradizione di lealtà e di fedeltà alla costituzione delle forze armate cilene, e su questo punto la scelta di Allende è netta fin dall’inizio, come è dimostra l’episodio ricordato da Garcés relativo alla nomina del nuovo comandante in capo dopo l’uccisione di Schneider. Allende si rifiuta di fare una scelta di parte, dettata da ragioni politiche, come in modo insidioso gli viene suggerito da Frei, e sceglie il generale che ha nell’ambito delle forze armate i requisiti naturali per la successione.
Ma nel complesso dello schieramento di sinistra manca una concezione chiara della tattica da adottare, e sono anzi frequenti i contrasti di valutazione. Soprattutto nel partito socialista sono presenti posizioni massimalistiche, che puntano a forzare la situazione, a procedere senza compromessi, a porsi obbiettivi che non sono compatibili con il quadro politico-istituzionale su cui si regge il governo.
È evidente come questa incertezza di linea offra il destro all’opposizione per mettere sotto accusa la coalizione di governo, tacciandola di ambiguità e cercando in ogni modo di accreditare l’immagine di una dittatura strisciante, di una tendenza alla prevaricazione e alla rottura della legalità democratica. L’attività delle formazioni estremiste svolge, in questo quadro, una funzione preziosa per le forze antisocialiste, dà alimento alla loro manovra politica. È in questo clima che può maturare il golpe militare, in quanto le forze armate possono essere spinte a un intervento diretto soltanto se esso può apparire come dettato dalla necessità di ristabilire una legalità violata, se cioè si è già creato nel paese un clima politico tale per cui la legittimità del governo è messa in questione.
Il presidente Allende, che ha una visione chiara delle insidie da fronteggiare, si trova spesso in difficoltà, non sorretto da un’azione solidale dei partiti di Unidad Popular, e la ricostruzione storica di Garcés ci consente di cogliere in modo preciso i lineamenti e le ragioni di tali contrasti.
La questione centrale riguarda la possibilità di raccogliere attorno all’azione del governo delle sinistre il consenso degli strati sociali intermedi, sia per il peso che essi hanno oggettivamente nel complesso della società, sia in particolare per il fatto che da queste classi traggono origine i quadri dell’esercito e degli altri corpi dello Stato. Si tratta allora di rendere chiara e plausibile la funzione che l’iniziativa privata può continuare ad assolvere nel quadro di una pianificazione dell’economia, in un rapporto di coesistenza e di collaborazione con il settore pubblico. Se appare invece da parte dei partiti del movimento operaio un atteggiamento solo tattico e transitorio, se dunque le classi intermedie sono solo tollerate nell’immediato e destinate nella prospettiva ad essere liquidate, è allora evidente che si favorisce la formazione di un unico blocco di tutte le forze capitalistiche, dominato inevitabilmente dai gruppi più reazionari.
Uno degli errori compiuti fu quello di non delineare con chiarezza la dimensione del settore di proprietà sociale, così da lasciare nell’incertezza e nel timore la grande massa delle piccole imprese, consentendo in questo modo alla destra di alimentare l’allarmismo e di trascinare sul proprio terreno forze economiche che erano potenziali alleati di una politica di progresso e di riscatto nazionale.
La questione delle alleanze sociali non si riduce al solo piano economico, ma ha un suo preciso risvolto politico e ideale. «Perché il movimento socialista, anche se è maggioritario prima e dopo la conquista del potere, accetta di coesistere con i settori non socialisti ma che non gli sono oggettivamente opposti, è necessario che riconosca loro, senza pregiudizi né calcoli equivoci, diritti politici ed economici che li facciano partecipare volontariamente a un progetto di avvenire nel quale i loro interessi specifici saranno compatibili con la transizione verso una società socialista». La democrazia politica appare dunque come una garanzia di equilibrio che è essenziale soprattutto per le classi intermedie, altrimenti esposte al rischio di essere schiacciate e di vedere vanificata l’autonomia della loro azione. Nel quadro di una tattica politico-istituzionale il movimento operaio può riuscire a neutralizzare e isolare le manovre controrivoluzionarie a condizione che sappia garantire un quadro politico ed economico nel quale non vi siano egemonie esclusive e tendenze dittatoriali, ma sia reso possibile il concorso di forze diverse così che il processo di trasformazione sia il risultato di una pluralità di forze politiche, del loro confronto, del loro apporto convergente e differenziato. Naturalmente le situazioni storiche non si presentano mai con la linearità che può essere tracciata nella teoria, e la vicenda del Cile presentava ostacoli e difficoltà particolarmente acuti.
Resta comunque il fatto che questo nodo politico non è stato risolto, nonostante gli sforzi compiuti, nonostante che la linea generale si muovesse nella direzione giusta mettendo in primo piano la difesa e la salvaguardia delle istituzioni democratiche.
Possiamo valutare tutto questo complesso di problemi guardando ai rapporti con la Democrazia Cristiana, che sono per molti versi la traduzione politica del rapporto con i ceti intermedi. La DC cilena aveva in sé una forte corrente progressista, e poteva essere un interlocutore non insensibile. Si creò invece una situazione di conflitto crescente, in forme sempre più acute, che portò al predominio delle correnti conservatrici e all’alleanza della Democrazia Cristiana con le destre.
Era possibile evitare questo sbocco? Vi era certamente una logica in tutto questo processo, dettata non solo dalle contraddizioni di classe, ma anche dallo «spirito di partito» che agiva con particolare vigore nei due campi, La critica che frequentemente rivolge Tomic ai dirigenti di Unidad Popular è quella di non aver saputo o voluto contrastare il settarismo, l’attacco indiscriminato ai militari della DC, così che si è creata nella base sociale una frattura e uno spirito di antagonismo e di contrapposizione non facilmente rimediabili.
Nel luglio del ‘71 Allende propone che in occasione delle elezioni suppletive di Valparaiso per la nomina di un deputato si stringa un accordo con la DC, concordando su un candidato della sinistra democristiana, per evitare uno scontro che avrebbe determinato la formazione di un unico blocco di destra, e che avrebbe avuto conseguenze rilevanti nel futuro sviluppo della situazione politica. È un esempio significativo, e il fatto che questa proposta, ragionevole e accorta, non venga approvata dai partiti di governo dimostra come non vi fosse consapevolezza della portata decisiva della questione democristiana.
In quello stesso periodo Tomic scrive ad Allende: «l’elezione di Valparaiso sarà l’occasione o per una convergenza unitaria con la UP e il governo, o per una rottura frontale e aperta. Impostata sui due fronti e nel disaccordo UP-DC questa campagna elettorale si trasformerà in uno scontro fra marxismo e democrazia. Questa campagna elettorale acquisterà una virulenza propagandistica tale che, di fatto, sfuggirà al controllo della direzione del partito. In questa scia di odio reciproco si effettuerà in agosto, un mese dopo le complementari, il congresso nazionale del nostro partito». L’orientamento della DC cilena era decisivo per l’equilibrio generale del paese, anche perché — occorre ricordarlo – lo schieramento di sinistra non poteva contare su una maggioranza elettorale. Fino a quando nella DC fu prevalente una posizione aperta al confronto e alla ricerca di possibili convergenze il governo di Allende riuscì a portare avanti, pur in mezzo a difficoltà immense, il proprio programma e a sventare i piani della controrivoluzione. La situazione precipita quando la DC si schiera apertamente per la liquidazione del governo popolare e per il boicottaggio sistematico del suo programma. A quel punto è aperta la strada che conduce al colpo di Stato.
Giungiamo così a quella questione fondamentale che metteva in luce nel suo articolo dell’ottobre del ‘73 il compagno Enrico Berlinguer.
A dimostrazione del valore esemplare che ha l’esperienza cilena, del suo significato generale e non circoscritto nei confini di quel paese, tutta la vita politica italiana di questi ultimi anni ha come suo tema dominante quel complesso di questioni che ci vengono dal Cile e che si riassumono nella formula del «compromesso storico».
Vi è stata però una distorsione, più o meno voluta, e ciò che era l’indicazione di un grande nodo strategico ha finito per assumere, nella pubblicistica corrente, e anche nella coscienza dell’opinione pubblica, il valore, assai più limitato e mediocre, di una linea di accomodamento. La discussione politica si è così immiserita, e si è ridotta alla contrapposizione di formule (compromesso storico o alternativa di sinistra), che in quanto tali sono troppo povere di contenuto per indicare davvero, in misura sufficientemente chiara, il cammino possibile della trasformazione socialista.
In realtà ci sono sempre due lati da tener presenti, tra loro complementari: il significato di cambiamento, di alternativa, che deve avere la politica del movimento operaio, e la necessità di un equilibrio, di un raccordo con le forze intermedie, di una duttilità dell’azione politica, di una valutazione prudente ed accorta dei rapporti di forza. È nella concretezza delle singole situazioni che vanno compiute le scelte di volta in volta necessarie ed adeguate, senza mai ritenere che la realtà si lasci racchiudere nelle formule.
Nel rapporto tra la situazione italiana e quella cilena occorre anzitutto evitare la conclusione superficiale e immotivata per cui il nostro paese sarebbe garantito dal rischio di esiti reazionari. La democrazia politica ha in Europa tradizioni profonde, ma ha nella sua stessa storia la prova della propria fragilità e dei violenti contraccolpi reazionari che in determinati momenti debbono essere fronteggiati. D’altra parte tutta la questione del compromesso storico non deve essere ridotta a una sorta di rassegnazione e di impotenza di fronte alla corposità del sistema di potere democristiano. Una tale concezione subalterna conduce alla conclusione, politicamente inaccettabile, che al di fuori dell’accordo con la DC vi sia spazio solo per l’avventura e per una linea politica irresponsabile. Si tratta invece di vedere più attentamente i possibili svolgimenti della situazione politica, l’articolazione delle forze in campo, considerando che è comunque matura, in una parte estesa della società, l’esigenza di uscir fuori da quella sorta di «regime» che intorno alla DC si è costruito in questo trentennio.
Il problema politico aperto è quello di individuare la via di questo superamento, di questa rottura del vecchio equilibrio di potere, che possa basarsi su una vasta base di consensi e che riesca a coinvolgere settori consistenti del movimento cattolico e a scongiurare in ogni modo una contrapposizione di ordine ideologico. Ciò richiede un’azione prudente, ma anche una capacità di iniziativa politica, di movimento, di innovazione, che spinga la situazione politica del paese fuori dalle secche dell’immobilismo e della stagnazione. La stessa esperienza cilena ci mostra, in sostanza, gli effetti negativi di ogni sorta di schematismo dottrinario e la necessità di guardar in modo più aperto alla realtà nel suo sviluppo concreto e di imprimere quindi all’azione politica una maggiore dinamicità e creatività. La lezione che dobbiamo trarre è essenzialmente quella che ci deve condurre a giudicare i fatti e le situazioni nei loro tratti specifici, nella loro particolarità storica non ripetibile, a esercitare con piena libertà di giudizio, senza ideologismi, la difficile arte della politica.
Busta: 21
Estremi cronologici: 1980
Autore: Joan E. Garcés
Descrizione fisica: Volume, b/n, 226 pp.
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: Teti, Milano, 1980, pp. 5-10